Login
Registrati
[aps-social id="1"]

Che ci fanno i bambini di 2 anni con quelli di 12?

Amilcare Acerbi

Formatore, pedagogista


Terza pillola

 

Sono scuole rurali, quelle di Zizurkil e di Abaltzisketa, paesi piccoli, case e aziende sparse tra le colline. Ben tenute e coltivate. Animali, non molti: pecore, capre, qualche bovino e qualche cavallo al pascolo. La maggior parte dei bambini torna a casa a pranzare, poi rientra a scuola, fino alle 16.30.

Come si mantiene, come si aiuta una comunità di famiglie che vivono e lavorano sparpagliate? Con figli giovani e giovanissimi? È una bella domanda, vero?

Le scuole rurali sono una risposta intelligente. In Italia le denominiamo “pluriclasse”, con un certo disprezzo; tendiamo ad abolirle ed a caricare i bambini sui pulmini, così si addestrano subito a fare i pendolari per quando saranno adulti (!); i genitori appena possono si trasferiscono a vivere a valle, dove ci sono più servizi. Senza scuola, senza bambini, senza ricambio generazionale, i paesi si inaridiscono, si estinguono.

A Zizurkil e di Abaltzisketa, nei gruppi misti, da 2 a 12 anni, i più piccoli osservano i più grandi, li ascoltano, li ammirano, li imitano. I più grandi li accolgono, spesso gli insegnano a gestire strumenti e in qualche modo, quando necessario, li proteggono, con naturalezza, anche negli spostamenti interni da un piano all’altro, nelle uscite in cortile o per strada. Talvolta li tengono in braccio, per esempio durante le assemblee settimanali. Imparano a vivere insieme, a conoscersi profondamente; si addestrano a gestire simpatie, amicizie, antipatie. Creano una storia comune, giorno per giorno.

Nelle due giornate trascorse nelle due scuole, nei sei gruppi che ho seguito, non ho colto gesti di impazienza o disagio, negli uni o negli altri. E neppure tra le insegnanti.

In tutti e tre i paesi visitati i Comuni (ma anche le chiese) hanno costruito grandi portici e “tettoie” dove i bambini possono ritrovarsi liberamente a giocare, anche quando piove. I cortili delle scuole sono sempre aperti.

D’altra parte se è veritiera la scoperta dei “neuroni specchio” da parte dei neuroscienziati e la conferma scientifica (ma già lo sosteneva la Montessori all’inizio del ‘900) che il cervello dei giovanissimi si sviluppa meglio se “fanno, trafficano, si muovono, giocano, si misurano con operazioni concrete”, perché temere i gruppi misti per età? Perché non incentivare momenti comuni e classi aperte?

Sono convinto che si tratta di prepararsi, come adulti, ad una gestione diversa e riflettere, analizzare, smontare i comportamenti ereditati, figli di una scuola ad impostazione autoritaria, ma soprattutto dove si credeva che insegnare significasse “riempire” con modalità standard e non “scoprire”; scoprire le cose insieme agli allievi e scoprire i talenti e le curiosità di ciascuno.

 

Lascia un commento