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Osare le relazioni. Una ricerca sul rapporto educatrici/genitori nella comunità francese del Belgio

Nima Sharmahd, Università di Liège (Belgio), Dipartimento di Scienze dell’Educazione e Psicologia (Faculté de Psychologie et de Sciences de l’Education).

Introduzione

La Commissione Europea ha recentemente sottolineato che gli Stati Membri dovrebbero «rivedere e migliorare il profilo professionale di educatori e insegnanti, preparandoli a relazionarsi con le differenze socio-culturali» (European Commission, 2013, 2.2). Questa raccomandazione conferma quanto ormai è noto ai ricercatori ed esperti del settore (Children in Europe, 2012; Oberhuemer, 2005; UNICEF, 2008), ossia il fatto che, per realizzare esperienze di qualità, occorre oggi puntare sulla costruzione di un “sistema competente”(Urban et al., 2011), all’interno del quale le competenze individuali delle educatrici possano prendere forma, con particolare attenzione alla capacità di accogliere e gestire costruttivamente differenze e comunanze. Un sistema competente dovrà allora valorizzare la formazione iniziale degli educatori e sostenerla con quella in servizio, nonchè con un coordinamento pedagogico capace di stimolare la riflessività individuale e di gruppo. Negoziare, stare nell’incertezza, contestualizzare, diventano concetti chiave. In questo senso, la relazione con i genitori assume nuovi significati, complessi e non sempre facili da gestire, ma potenzialmente ricchi e capaci di creare co-educazione.

La presente ricerca, finanziata all’interno del programma Wallonie-Bruxelles International, e realizzata presso l’Università di Liège (BE) sotto la supervisione della Prof.ssa Florence Pirard, si focalizza su questi temi, con particolare attenzione alle potenzialità insite nella capacità di assumersi il “rischio” della relazione educatrici/genitori. Il concetto di “rischio” viene oggi per lo più associato alle esperienze di gioco/esplorazione dei bambini, con riflessioni sul binomio rischio/sicurezza, dal momento che i regolamenti sulla sicurezza dei nidi portano con sé risvolti sempre più contraddittori che, se estremizzati, possono ostacolare la realizzazione degli obiettivi pedagogici dei servizi, legati al valore educativo del “rischio” inteso nella sua valenza costruttiva. La riflessione che proponiamo in questa sede riguarda il fatto che questo “timore” del rischio, e la conseguente chiusura in orizzonti apparentemente “sicuri”, sembra caratterizzare non di rado anche le relazioni del nido, come a “proteggersi” dalle diversità, dai possibili conflitti, dai disaccordi che possono affacciarsi. Protezione, questa, che ostacola però anche la creazione di una relazione autentica.

Quali sono le idee e percezioni delle educatrici al riguardo? Quali le forme di sostegno auspicate e possibili? La ricerca in questione ha cercato di rispondere a queste domande ascoltando la voce delle educatrici stesse.

  1. Il Belgio: un piccolo complesso paese

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Prima di addentrarci nei risvolti metodologici e analitici della ricerca, appare doveroso chiarire la cornice entro la quale l’indagine si è svolta, e dunque fornire alcune indicazioni sul sistema dei servizi alla prima infanzia in Belgio. Paese piccolo ma complesso, il Belgio è uno Stato federale costituito da tre Regioni (Fiamminga, Vallona e Bruxelles Capitale) con tre comunità linguistiche (fiamminga, francofona e germanofona). Lo Stato federale, le Regioni e le Comunità hanno responsabilità specifiche in settori differenti.

La ricerca di cui diamo conto in questa sede si è svolta nella Comunità francese del Belgio, coinvolgendo alcuni servizi di Liège. In particolare, nel contesto della Comunità Francese, l’ONE (Office de la Naissance et de l’Enfance – ente ministeriale) ha lavorato negli ultimi anni alla costruzione di orientamenti capaci di fornire una cornice coerente ai servizi,anche in riferimento alla relazione con le famgilie. Sono stati quindi realizzati due référentiels (equiparabili ai curricola sulla scena internazionale) (Pirard, 2009; 2011; Pirard, Dethier, François, Pools, 2015): 1) ONE, Accueillir les tout-petits, oser la qualité (2002) ; 2) Camus P., Marchal L. (2007), Accueillir les enfants de 3-12 ans, viser la qualité: un référentiel psychopédagogique pour des milieux d’accueil de qualité.

Dal punto di vista della ricerca, l’Unité PERF (Professionnalisation en Education: Recherche et Formation) della Facoltà di Psicologia, Logopedia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Liège ha lavorato su questi aspetti, soprattutto grazie a Florence Pirard, il cui lavoro si è negli anni sviluppato soprattutto attorno alle molteplici competenze che il personale dei nidi necessita, concentrandosi dunque sull’importanza della formazione iniziale, di quella in servizio, e di un accompagnamento costante alla co-riflessione. Tutti aspetti, questi, su cui necessita investire in Belgio, considerando il fatto che alle educatrici di nido non è richiesta qualifica specifica, e che non esistono sistemi strutturati di coordinamento pedagogico tesi a sostenere la riflessività dei gruppi di lavoro, nè è diffuso l’investimento in un monte ore non frontale.

Allo stesso tempo, alcune organizzazioni specifiche, come RIEPP (Reseau des initiatives Enfants-Parents- Professionnels) e AIFREF (Association Internationale de Formation et de Recherche en Education Familiale, diretta da Jean Pierre Pourtois, Università di Mons) lavorano da anni sui temi legati alla partecipazione delle famiglie, sottolineando un fermento riflessivo che non sempre trova forma nella pratica educativa.

  1. Obiettivi e metodo di ricerca

La ricerca in questione parte proprio dalla constatazione dello scarto che sembra esistere tra una dichiarata prospettiva di co-educazione e partenariato e una pratica educativa non sempre coerente con questo tipo di presupposti. Le educatrici chiedono sempre più spesso ‘quali solo i confini’ nella loro relazione con le famiglie, e sempre più spesso cercano ‘soluzioni rapide’ alle domande quotidiane che le relazioni con i genitori comportano, svelando una crescente difficoltà nello ‘stare nell’incertezza (Urban, 2008) per trovare di volta in volta strade contestualizzate (Vandenbroeck, 2012). È infatti solo ‘stando nelle domande’ che diamo spazio alla relazione, alla negoziazione, e dunque al rischio che le relazioni autentiche portano con sè (di conflitto, di disaccordo). Rischio inteso qui in senso costruttivo, come assuzione di responsabilità, come potenziale ricchezza.

Questa ricerca si colloca proprio in questa prospettiva, nell’intento di:

  1. esplorare le rappresentazioni e i vissuti delle educatrici su queste tematiche;
  2. analizzare le rappresentazioni della relazione tra educatrici e genitori, con un focus particolare sui concetti di ‘confine/limite/rischio’;
  3. esplorare i tipi di sostegno possibili nell’accompagnare la relazione con le famiglie al nido ;
  4. soffermarsi, come obiettivo trasversale, sul legame tra ricerca e autoformazione, considerando che fare ricerca partecipativa con le educatrici è già di per sè un modo per sostenerne la riflessività (Bove, 2009).

Nello specifico sono state condotte 24 interviste semistrutturate con 8 educatrici di 5 nidi di Liège (3 interviste con ogni educatrice), nell’intento di analizzare in profondità i loro vissuti. Le prime due interviste sono state ‘di contenuto’, l’ultima si è soffermata sui vissuti delle educatrici nel partecipare alla ricerca. Tra un’intervista e l’altra le educatrici ricevevano il testo sbobinato, in modo da poterci riflettere criticamente in vista dell’incontro successivo. Sono poi stati intervistati anche i cinque direttori dei nidi coinvolti.

  1. Risultati

I risultati della ricerca sottolineano le contraddizioni che contraddistinguono la percezione della relazione con le famiglie nelle parole delle educatrici.

    1. Bisogno di sicurezza/protezione VS bisogno di stare nell’incertezza

Le educatrici intervistate mostrano flessibilità e rigidità insieme. Da un lato i servizi sembrano infatti molto aperti a rispondere alle esigenze dei genitori. Un’educatrice ad esempio dice: «qui i genitori possono portare i bambini quando vogliono. Non ci sono orari di entrata”, confermando quanto già emerso da un’altra ricerca (Sharmahd, 2009), che sottolineava (generalizzando) la tendenza all’individualizzazione del rapporto nei nidi belgi, rispetto all’approccio ‘comunitario’più caratteristico dei servizi italiani.

Dall’altro lato le parole delle educatrici denotano una certa rigidità nell’approccio: “i genitori devono seguire il regolamento che hanno firmato. Se vogliono cambiare alcune cose, dico ‘no, avete firmato prima dell’iscrizione, qui è così’”, dice ad esempio un’educatrice.

In altri termini, il bisogno di sicurezza rispetto alle proprie azioni sembra convivere con la consapevolezza che questo tipo di professione necessita di flessibilità e di capacità di ‘stare nelle proprie incertezze’ (Urban, 2008). La sicurezza viene ricercata spesso nel regolamento, nonchè nella protezione garantita da un’organizzazione gerarchica del servizio, all’interno del quale le decisioni vengono prese dalla direttrice interna di cui ogni nido dispone. “se ho dei dubbi con i genitori, chiedo alla direttrice. È lei che interviene. Quindi non ci sono problemi”, dice ad esempio un’educatrice. Allo stesso tempo, però, la stessa educatrice afferma : “vorrei non essere giudicata dalla direttrice”. E un’altra dice: “[…] vorrei che venissimo interpellate di più su cosa fare. In fondo siamo noi che vediamo i bambini e le famiglie tutti i giorni”. Da un lato, la struttura gerarchica sembra dunque essere ricercata perchè protegge ed evita responsabilità; dall’altro questa stessa struttura viene rigettata perchè non consente quella valorizzazione che solo una partecipazione attiva in prima persona può garantire, con tutti i rischi che questo comporta e le conseguenti potenziali ricchezze.

Questo sistema gerarchico voluto/subito sembra doversi ripetere anche nella relazione con i genitori, laddove accanto a frasi ricorrenti quali “cerchiamo il partenariato con i genitori” ; “il rapporto con le famiglie è fondamentale”, ne convivono altre che recitano: “i genitori devono fidarsi di noi” ; “una volta che si rendono conto, poi va tutto bene”, a sottolineare il fatto che il dichiarato partenariato sembra spesso trovare un’interpretazione unidirezionale, nel senso che sono i genitori a doversi ‘modificare’o a dover ‘imparare’ dalle educatrici.

    1. Bisogno di sicurezza/protezione VS bisogno di riconoscimento

La protezione della gerarchia comporta senz’altro meno rischi, ma anche minore autonomia e coinvolgimento personale. Autonomia e coinvolgimento che vengono però espressi come ulteriore bisogno contraddittorio dalle educatrici intervistate, le quali da un lato vorrebbero essere maggiormente valorizzate nel loro lavoro, dall’altro sono loro però le prime a non riconoscere il pieno valore della propria professione. Aspetto questo che ha ovviamente radici storiche lontane, da ricercarsi nel basso riconoscimento sociale di un lavoro che è sempre stato considerato prerogativa della donna in quanto madre, e che ancora oggi fa fatica a conqistarsi un’identità autonoma, soprattutto in contesti come quello belga, caratterizzati da una forte tradizione medico-igienica.

In questo groviglio di contraddizioni, le prime persone alle quali le educatrici chiedono riconoscimento sono proprio le famiglie, dal momento che 1) è con loro che si interfacciano quotidianamente; 2) la valorizzazione cercata raramente arriva da altre fonti. Aspettarsi riconoscimento dai genitori porta però con sè risvolti ancora una volta contraddittori quando la valorizzazione sembra essere quasi ‘pretesa’, come si legge in queste parole: “[…] i genitori sono cambiati […], non hanno nessun tipo di riconoscimento verso il nostro mestiere. […] Alcuni genitori non dicono mai niente, tipo ‘grazie per quello che fate‘[…]”. In questi casi le educatrici di fatto chiedono riconoscimento a coloro che spesso si avvicinano al nido con un comprensibile misto di anise, paure, speranze. Vengono dunque ad incontrarsi due fragilità: quella delle educatrici che soffrono di un mancato riconoscimnto, e quella dei genitori, che cercano supporto nel lasciare la cosa più preziosa che hanno in mani non familiari.

Per garantirsi un minimo di riconoscimento, sembra che le educatrici sentano il bisogno di stabilire una certa superiorità di ruolo e saperi rispetto ai genitori. Da qui la necessità di definire confini e di fornire ‘consigli’alle famiglie. Dice un’educatrice in proposito: “voglio poter dare consigli ai genitori. Però prima li seguivano. Adesso chiedono consigli e poi non li seguono e fanno come vogliono”. E ancora: “devo sempre poter dare delle risposte ai genitori. Altrimenti non mi sento brava nella mia professione”.

  1. Quali possibili strade?

La domanda che possiamo porci in questa sede è: come possiamo sostenere le educatrici nel loro bisogno di sicurezza, nella loro necessità di sentirsi ‘sufficientemente sicure per potersi consentire di essere insicure’e di lasciare spazio al dubbio’?

Una professionalità complessa quale quella di educatrice forse non può che vivere in mezzo alle contraddizioni. L’obiettivo diventa allora non tanto quello di risolvere queste contraddizioni, quanto quello di imparare a conviverci, a ‘starci’. Compito questo non facile quando ci sentiamo deboli nel nostro ruolo, perchè sfidare le nostre certezze potrebbe allora compromettere la nostra fragile identità e mettere in discussione quei punti di riferimento che accompagnano le nostre scelte quotidiane. Sostenere le educatrici nel ‘sentirsi forti’nel loro mestiere diventa allora un fondamentale supporto alla loro capacità di apririsi all’incertezza, aspetto questo direttamente legato alla relazione con le famiglie. In questa prospettiva, la co-riflessione, la formazione, l’accompagnamento hanno un ruolo centrale, come sottolineato dalla ricerca internazionale (Urban, Vandenbroeck, Peeters, Lazzari,Van Laere, 2011; Peeters et al., 2015, ii).

Per lavorare in questa direzione occorre investire in :

  • Coordinamento pedagogico, perchè capace di rispondere al bisogno di orientamento/sicurezza delle educatrici, ma anche a quello di riconoscimento/apertura (Catarsi, 2011).
  • Monte ore non frontale, che risponde all’esigenza di riconoscimento e di riflessione.
  • Formazione iniziale e continua, che significa rafforzare la professione, incrementare la consapevolezza, e dunque sostenere l’apertura dei confini.
  • Legame ricerca/servizi, che significa rispondere al bisogno di valorizzazione delle educatrici, e sostenere allo stesso tempo la riflessività.

A proposito di quest’ultimo punto, un’educatrice intervistata dice: «È sempre bello rileggersi. Così posso ripensare a quello che ho detto […]. Cioè… A volte capisci meglio quello che pensi se lo dici a qualcuno, se qualcuno ti fa delle domande…». E un’altra aggiunge: «Ho rivisto il mio passato… Sono una persona che vive nel presente, e con le interviste sono stata obbligata a vedere il mio passato. Ed è stato arricchente. È stato anche valorizzante per il mio mestiere, perchè spesso le persone pensano che qui si cambino solo i pannolini. Ma è molto più di questo […]. E queste interviste le conserverò sempre, come memoria di questo percorso».

Riferimenti bibliografici

Bove, C. (2009).Ricerca educativa e formazione.Contaminazioni metodologiche. Milano: Franco Angeli

Camus, P., Marchal, L. (2007). Accueillir les enfants de 3-12 ans, viser la qualité: un référentiel psychopédagogique pour des milieux d’accueil de qualité. Brussels : ONE

Catarsi, E. (2011). Coordinamento pedagogico e servii per l’infanzia. Bergamo: Junior

Children in Europe. (2012). Valuing the work: a 0-6 profession and parity with school teachers. Children in Europe

European Commission (2013).Commission recommendation.Investing in children: Breaking the cycle of disadvantage. Brussels: European Commission

Oberhuemer, P. (2005). Conceptualising the Early Childhood Pedagogue: Policy Approaches and Issue of Professionalism. European Early Childhood Education Research Journal, 13(1), 5-16

ONE (2002).Accueillir les tout-petits, oser la qualité. Un référentiel psychopédagogique pour des milieux d’accueil de qualité.Brussels: ONE-Fonds Houtman

Peeters, J., Cameron, C., Lazzari, A., Peleman, B., Budginaite, I., Hauari, H., & Siarova, H. (2015).Impact of continuous professional development and working conditions of early childhood education and care practitioners on quality, staff-child interactions and children’s outcomes: A systematic synthesis of research evidence. Gent: VBJK. Dubin: Eurofound

Pirard, F. (2009), Oser la qualité. Un référentiel en Communauté française de Belgique et son accompagnement, in S. Rayna, C. Bouve, P. Moisset (coord.), Quel curriculum pour un accueil de qualité de la petite enfance. Toulouse : Erès, 85-105

Pirard, F. (2011).Développer des relations triangulaires enfants, professionnels, familles dans les services d’accueil: quel accompagnement ?,in E. Catarsi, J. P. Pourtois (Ed.), Educazione familiare e servizi per l’infanzia – Education familiale et services pour l’enfance, Acts du XIII Congrés International AIFREF, Firenze 17-19 novembre 2010. Firenze :Florence University Press, 101-105

Pirard, F., Dethier, A., François, N., Pools, E. (2015).Les formations initiales des professionnel-le-s de l’enfance (0-12 ans) et des equips d’encadrement: enjeux et perspectives.Rapport de recherché financiée par l’ONE

Unicef Innocenti Research Centre. (2008). Report Card 8. The childcare transition. Florence

Sharmahd, N. (2009).Parent participation(s): a glance at the belgian reality in relation to the italian one, in Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 2.Firenze: Florence University Press, 47-63

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Urban, M., Vandenbroeck, M., Peeters, J., Lazzari, A., Van Laere, K. (2011).Competence Requirements in Early Childhood Education and Care. CoRe Research Documents. Brussels: European Commission

Vandenbroeck, M. (2012). Moving beyond individual competences to competent systems in contexts of diversity and unpredictability, Keynote presented at the International Congress organized by ISSA-DECET, Co-constructing professional learning: pathways towards quality, equity and respect for diversity in ECEC, Opatija, http://issa-decet2012.com.hr/followup.php

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