Login
Registrati
[aps-social id="1"]

Francesco De Bartolomeis
un maestro di umanità, un pedagogista e critico d’arte anomalo

Lorenzo Campioni

Pedagogista


Una presenza ancora attiva

L’apprendimento può essere piacere in gruppo e scoprire che si hanno insospettate / energie intellettuali. Avventurarsi in un mondo sconosciuto, fare scoperte sulle proprie capacità, vedere le cose secondo leggi, regolarità, opposizioni. Le cose del mondo esterno acquistano nuovi significati, si apprendono le ragioni dei fenomeni, si scoprono tanti modi di stare insieme nel variare delle attività e dei rapporti. (Un sistema educativo ramificato, Bergamo, Zeroseiup, 2023, pp. 55-56)

Questa frase ben esprime il pensiero di Francesco De Bartolomeis sull’educazione come vita in sviluppo dal nido all’università e oltre. Il 28 giugno u.s. ci ha lasciato De Bartolomeis, che l’ex ministro Luigi Berlinguer riconosceva come il maggiore pedagogista della seconda metà del Novecento e, oggi, potremmo aggiungere anche del primo Ventennio di questo secolo.

La vita culturale di Francesco è stata eccezionale e fino all’ultimo ha lavorato sui suoi due grandi amori: la pedagogia e l’arte con sempre maggiori approfondimenti, visioni innovative, apporti fondamentali per il progredire delle scienze dell’educazione e la qualificazione dell’insegnamento/apprendimento. Un dinamismo che meravigliava non solo chi ha avuto la fortuna di averlo amico ma anche lui stesso. Certo un mix tra Dna, esercizio fisico come il nuoto, curiosità, desiderio di capire, volontà di mettersi alla prova con se stesso, una vita culturale e relazionale impegnata e ricca… l’hanno accompagnato per tutta la sua lunga esistenza. In un raro passaggio autobiografico ci ricorda:

Ho sempre avuto interesse per l’infanzia, ma le mie ricerche si estendono su tutto il sistema formativo e anche oltre con lunghe esperienze. Anche come coordinatore e consulente della formazione nell’industria all’Olivetti fino a quando era dominante l’influenza di Adriano.

Quanto all’interesse per l’arte risale agli anni degli studi all’Università di Firenze. Ammiravo disegni, dipinti, sculture, architetture, ma volevo andare oltre per conoscere il che cosa fa la qualità di un’opera e il processo di formazione, con attenzione anche ai materiali e agli strumenti. Inoltre non potevo non incontrare fatti culturali, dalle scienze alla psicologia, che riguardavano non solo i miei studi di pedagogia e di filosofia ma tutti i modi di apprendere. Si aggiunga la mia attività di critico d’arte, una occasione per apprendere, per conoscere artisti. (Parliamone. Educazione arte e altro, Bergamo, Zeroseiup, 2023, p. 14)

Ci sarà tempo per riprendere il suo apporto complessivo alla pedagogia e all’educazione militante, grazie ai suoi numerosi scritti, che hanno anticipato e accompagnato le molte riforme e che lo tratterranno tra noi per lungo tempo[1]. Sarà compito di studiosi e ricercatori del settore pedagogico e artistico valorizzarne l’apporto critico e nello stesso tempo propositivo.

Francesco infatti accanto alla pars destruens, al riguardo rimane esemplare la sua opera La ricerca come antipedagogia (1969), pone sempre una pars construens dalle solide basi teoriche e possibilità produttive per l’intero sistema non solo scolastico.

Più ci si allontanerà dalla sua dipartita più si apprezzerà la sua opera come ‘classico della pedagogia’ antipedagogica. Come ci ricorda «La “pedagogia pedagogica” che non sente il bisogno di scendere sul campo e collegarsi ad altri settori culturali, questa pedagogia è noiosa e dannosa». (Un sistema educativo ramificato, cit., p. 17)

De Bartolomeis ha dato, inoltre, contributi culturali non usuali alla critica d’arte per superare letture superficiali ed estetizzanti e ha introdotto nei suoi numerosi laboratori d’arte con le educatrici e insegnanti il metodo della valutazione produttiva, facendo vivere esperienze culturali coinvolgenti agli adulti, ai ragazzi, ai bambini, iniziando già dalla scuola dell’infanzia, e superando la visione distorta ma diffusa del ‘giocare con l’arte’ per una visione produttiva del ‘lavorare con l’arte’.

 

Incontrare l’ultima sua produzione

Cercherò in questo articolo di dare brevi ma indicativi assaggi della sua produzione di questi ultimi due anni su alcuni temi fondamentali dell’educazione riprendendo stimoli, riflessioni, affermazioni, slargamenti… attraverso citazioni dalle sue recenti pubblicazioni, impegnate e lievi nello stesso tempo:

  1. Pensieri su cui pensare, con un intervento di Claudio Strinati, 2022;
  2. I bambini, l’arte, la cultura, 2022;
  3. Percorsi educativi nello spazio e nel tempo, 2022;
  4. Un sistema educativo ramificato. Formazione e produzione, 2023;
  5. Parliamone. Educazione arte e altro, con un contributo di Rita Margaira, 2023. [2]

Alcuni concetti basilari ritornano in tutti i cinque volumetti visti da ottiche diverse, come onde marine, in un procedere mai usuale: umanità, sistema, metodologia, didattica, contenuti, formazione degli insegnanti, politiche scolastiche, valutazione produttiva, accenni a esperienze didattiche, prescuola (nidi d’infanzia e scuola dell’infanzia)…

La strada maestra, che ha frequentato tutta la vita e che addita non solo agli insegnanti, è la ricerca:

La ricerca prima di essere un metodo è una attività necessaria della mente per risolvere problemi in funzione delle varie esigenze di vita. Ma la funzione mentale solo come metodo acquisito con una formazione sperimentale ha i requisiti per affrontare problemi con mezzi adeguati in tutti i campi, si tratti di scienze e di tecnologie, di costruzioni. È quanto occorre anche alla funzione educativa, nelle ricerche sul campo, nello studio delle discipline. Una nuova didattica che si estende ai valori dei comportamenti e dei rapporti. (4, p. 18)

Il mio apporto sarà limitato a rimarcare alcuni passaggi di collegamento. De Bartolomeis in queste ultime cinque pubblicazioni affronta tutti i temi caldi dell’educazione visti e relativizzati grazie alla visione sistemica per questo complessa e dinamica di chi ha vissuto intensamente dall’interno, dando un proprio contributo non scontato, tutti i passaggi culturali, compreso l’ultimo che attraversa l’educazione e la didattica oggi: cosa significa insegnare e apprendere nell’epoca dei nativi digitali.

Sorvolerò solo alcune tematiche: l’umanità in educazione, la sua visione sistemica, l’importanza data alla formazione di base e in servizio, la responsabilità delle comunità verso le nuove generazioni e la garanzia di qualità da offrire nelle istituzioni educative.

Questi volumetti dovrebbero fare parte del bagaglio personale di ogni educatore e insegnante e oggetto di confronto negli incontri di formazione e di progettazione della vita scolastica; costituiscono un corpus che va al cuore dei fatti educativi, che non concede terreno alle mode, apre a nuovi orizzonti, stimola considerazioni e propone ipotesi di lavoro, che hanno alla base esperienze e strumenti collaudati che necessitano di essere adattati alla singola realtà.

 

 

Alla base di tutto, in particolare dei processi educativi, ci stanno i valori umani

Mi trovo spesso a dare particolare importanza ai mutamenti di significato delle parole a cui corrispondono rovesciamenti di comportamento: è quanto accaduto per i termini “rispetto” e “umano”.

Il rispetto comunemente è interpretato come comportamento non privo di vivacità degli studenti, ed è giusto. Ma io insisto soprattutto sul rispetto dell’insegnante nei rapporti con / gli allievi così, che senza compiacimento, diventa la base dell’educazione. Il risultato è una reciprocità da conquistare per reggere a immancabili sfasature.

L’umano è strettamente legato al rispetto come qualità generale; consiste nel non fare valere nei rapporti meriti e riconoscimenti di ogni tipo, la propria posizione sociale per professione e censo. E fa emergere dal profondo quello che ci rende eguali, l’umano appunto, un nucleo vitale di valori che si manifesta nei rapporti quali siano le persone che abbiamo di fronte.

Il rispetto e l’umano hanno la forza di entrare nella funzione dell’educazione con fermezza teorica: fuori di particolari ruoli professionali fanno emergere il meglio della vita. (5, pp. 20-21)

Quindi si eleva a livello di metodo il rispetto dell’altro, del bambino o ragazzo. Il rispetto viene identificato come la dote umana principale dell’educatore e dell’insegnante.

Mi riferisco al comportamento dei docenti verso gli allievi; un comportamento professionale e umano che il docente deve avere con gli allievi. La sua realizzazione rivoluziona la didattica. Le lezioni, i compiti a casa, le interrogazioni dove resistono anche con attenuazioni e mutamenti, è una triade che è una grave mancanza di rispetto, va eliminata.

Una seria preparazione, viva di sensibilità umana, deve diventare un metodo educativo: l’insegnamento in funzione dell’apprendimento è il rispetto che fa degli allievi protagonisti collaborativi. I loro interessi e le loro esigenze devono trovare nell’ambiente educativo sviluppi culturali e affinamento di sensibilità per i valori della comunità. (4, p. 88)

Francesco è ben consapevole, dato che le sue opere nascono dalla frequentazione intensa delle situazioni formative, che il rispetto come metodo non è di facile realizzazione come modalità di accostamento, di impostazione di rapporti e di vera reciprocità in contesto non solo scolastico.

Il rispetto deve riuscire a operare come un metodo per generare la competenza e capacità di cambiare. Chi lo adotta deve aggiungervi una competenza sia in una varietà di strumenti sia nei contenuti culturali. Sono tanti e imprevedibili i tanti problemi che si devono affrontare. […]

Il metodo è frutto di lunga esperienza. La platea deve ravvivarsi di domande, di discussioni, di posizioni diverse. È una partecipazione che forse non tutti gli allievi apprezzano, ma certamente molti ne sono conquistati. Una delle principali finalità del metodo è quella di conquistare il maggior numero di persone a un nuovo apprendimento. (4, p. 32)

Gli insegnanti nella grande maggioranza ignorano questo metodo [il rispetto] che si oppone alla frontalità in tutte le situazioni educative. (4, p. 35)

La preparazione dell’insegnante, come è attuata oggi, è palesemente inadeguata a svolgere un ruolo impegnativo come la formazione delle nuove generazioni, anche se non mancano realtà innovative nonostante la carenza istituzionale, di mezzi e di condizioni facilitanti. Infatti per aumentare il benessere delle comunità prescolastiche e scolastiche «Si può contare solo su non frequenti iniziative istituzionali e sul volontariato di singoli e di organizzazioni». (5, p. 21)

La loro preparazione professionale [degli educatori e insegnanti] ha seguito vie diverse, adattandosi alle condizioni della scuola in cui devono svolgere l’attività. Il lavoro degli insegnanti è impegnativo e non può contare su un sostegno istituzionale che vada oltre la propria scuola. Consideriamo un insegnante preparato e con l’amore del suo lavoro nei vari gradi. Deve organizzare una classe, realizzare un accordo su regole di comportamento condivise, scegliere dai programmi argomenti su cui fare ricerche, indispensabili per apprendere, assicurarsi che tutti collaborino, che non ci siano sopraffazioni. Se ci sono buoni risultati la fatica non è avvertita. Al suo posto una sorta di soddisfazione non per insegnare, ma di fare apprendere. Insegnanti di questo tipo non si comportano con il distacco di dipendenti, ma con la dignità e il piacere di persona che porta nel lavoro aspetti della vita che non possono essere sospesi in una parte essenziale a favore delle richieste prevalentemente convenzionali della scuola. (4, p. 35)

Al di là dell’organizzazione, la scuola è un luogo di vita, e quindi i comportamenti dei docenti sono variabili non meno di quelli degli allievi. Ma non è difficile distinguere tra chi si comporta come un impiegato della formazione e chi ama il suo lavoro e si spende a favore degli allievi. Gli insegnanti di primo tipo giocano al risparmio, sono ripetitivi, quelli di / secondo tipo sono interessati alle cose nuove e puntano su un insegnamento a favore dell’apprendimento, sperimentano i mezzi digitali, curano i contatti con realtà nelle sue differenziazioni, aprono la discussione su fatti attuali. Che comprendono il senso della giustizia e largamente la vita umana. (4, pp. 33-34)

 

[1] Francesco De Bartolomeis nelle sue numerose opere ha anticipato e accompagnato le principali riforme e innovazioni nell’ambito prescolastico, scolastico e delle scienze dell’educazione. Alcuni titoli: La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953; Il bambino dai tre ai sei anni e la nuova scuola infantile, Firenze, La Nuova Italia, 1968; La ricerca come antipedagogia, Milano, Feltrinelli, 1969; Scuola a tempo pieno, Milano, Feltrinelli, 1972; Il sistema dei laboratori, Milano, Feltrinelli, 1978; Produrre a scuola, Milano, Feltrinelli, 1983; Lavorare per progetti, Firenze, La Nuova Italia, 1989; Il colore dei pensieri e dei sentimenti, Firenze, La Nuova Italia, 1990; Riflessioni intorno al sistema formativo, Bari, Editori Laterza, 2004; L’antipedagogia incontra l’arte, Roma, Anicia, 2016.

[2] Le ultime cinque pubblicazioni su tematiche formative sono state edite da Zeroseiup. D’ora in poi queste pubblicazioni verranno citate con i numeri che precedono i titoli delle opere.

Lascia un commento