L’esperienza di Emmi Pikler.
(rielaborazione di un intervento svolto a Udine, il 3 dic. 2012, nell’ambito di un percorso formativo rivolto ad educatrici nei servizi per la prima infanzia)
Emmi Pikler e l’educazione attiva
Emmi Pikler è nata all’inizio del ‘900 e morta nel 1984 ed è uno dei tanti medici (nel suo caso pediatra) che , pur continuando a fare i medici, sono diventati dei grandi educatori , si sono appassionati di attività educativa, del benessere dei bambini non solo dal punto di vista della salute fisica ma dell’insieme del loro benessere: salute, educazione, sviluppo. Si sono occupate del benessere dei bambini e di chi si cura di loro. Il fatto di essere ungherese mentre L’Ungheria era parte dell’impero austroungarico ha fatto sì che la sua carriera di studio e di lavoro si svolgesse in territori che oggi sono diverse nazioni, Austria, Ungheria, Italia. Ha operato stabilmente a Budapest dagli anni ’30 in poi.
Emmi Pikler condivide con Maria Montessori e con altri grandi educatori dell’altro secolo come Decroly e Korczak la formazione medica e anche l’affiliazione, l’appartenenza ad un idea di educazione che è quella del grande movimento dell’Educazione attiva. Si tratta di un orientamento pedagogico educativo che appare e scompare nella storia dell’educazione da molti secoli, e ha avuto un momento di grande rilievo all’inizio del 900, con educatori che non si sono occupati in particolar modo di bambini piccoli. Ricordo, fra altri, C. Freinet e tutta la Scuola Cooperativa, il Movimento di Cooperazione Educativa, che in Italia e, in particolare in Veneto è molto radicato e molto diffuso. Un altro grande educatore della Educazione attiva è R. Baden Powell che immagino conoscete perché è la persona che si è immaginata lo scautismo. È una famiglia che comprende educatori che sono intervenuti nei confronti di soggetti di diverse età, in diverse situazioni; l’idea che caratterizza tutti gli educatori di questo movimento è che chi è protagonista dell’esperienza formativa, dell’esperienza educativa è il bambino o il soggetto in formazione.
Il protagonista dell’educazione è chi è in formazione. Gli insegnanti, gli educatori, le educatrici sono le figure che creano un ambiente e facilitano la possibilità per i bambini, i ragazzi, gli adulti, di esprimere la propria iniziativa, di realizzare delle esperienze in prima persona ed è attraverso queste esperienze, queste iniziative che si costruisce l’esperienza educativa.
Ho un po’ brutalizzato l’Educazione attiva. Se avete voglia, cercando in biblioteca o in internet i nomi che vi ho fatto, troverete di più e di meglio. Qui vi parlerò del lavoro, delle idee di Emmi Pikler che colloco in questa famiglia nella quale, del resto, possiamo collocare anche due educatrici su cui lavorerete nei prossimi due incontri, e cioè Elinor Goldschmied e Maria Montessori. Le possiamo collocare dentro questa famiglia, anche se dal punto di vista della ricerca pedagogica, possono essere collocate in questo movimento un po’ si un po’ no ma, l’idea di fondo che vi ho detto, la condividono di sicuro.
Così come ve l’ho formulata l’idea è un idea semplice, viene un po’ da dire: ma chi non è d’accordo? È chiaro, se c’è un bambino al nido, un bambino alla Scuola dell’Infanzia, a scuola o in una pattuglia scout è lui che fa l’esperienza. È un’idea che può essere condivisa facilmente, ma praticarla non è altrettanto facile e noi, stamattina, ragioneremo, entreremo un po’ dentro al cosa vuole dire praticare questo progetto educativo nei confronti di bambini molto piccoli, di bambini che ancora non parlano e che quindi non hanno la possibilità di manifestare le loro intenzioni, le loro iniziative attraverso la parola, che è un grande veicolo di soggettività. Se parliamo di bambini che non hanno, ancora, l’uso della parola o ne hanno un uso non disinvolto, non perfezionato… allora, rispettare il loro essere soggetti protagonisti, implica una grande attenzione, una grande intenzione da parte degli adulti.
Emmi Pikler e le altre educatrici, di cui parlerete, condividono questo orientamento e condividono anche un’altra condizione di lavoro: quella di avere realizzato i loro progetti educativi in situazioni di difficoltà.
Faccio un esempio, abbiamo con noi Maria Pia Fini che è una delle grandi rappresentanti, una delle grandi operatrici sulle tracce di M. Montessori in Italia oggi. Noi siamo abituati a conoscere Maria Montessori come una educatrice, una studiosa… ideatrice di un modello educativo che spesso è un modello realizzato in situazioni di benessere. Le scuole Montessori, sono, generalmente pensate come scuole frequentate da famiglie piuttosto benestanti, dove i genitori hanno delle idee sull’educazione abbastanza elaborate…, possono fare delle scelte…, genitori che, spesso, possono pagare dei servizi… però la prima esperienza di Casa dei Bambini è stata un’esperienza realizzata in una situazione di grande disagio sociale a Roma.
A Maria Montessori era stato chiesto di intervenire per organizzare la vita quotidiana di bambini che erano figli di famiglie in grande difficoltà, per cui il comune di Roma agli inizi del ‘900, aveva creato delle residenze, una forma di edilizia popolare. Erano famiglie molto disordinate – per usare un eufemismo – in cui i genitori non lavoravano oppure per lavorare dovevano abbandonare i figli tutto il giorno e c’erano ragazzini, o bambini, che giravano su e giù per le scale e nei cortili di queste case popolari, non facendo niente o facendo danni… La prima Casa dei Bambini è stata creata per offrire un quadro di vita sensato in cui i bambini (M. Montessori pensava anche alle mamme) potessero fare delle esperienze educative, entrare in un buon contatto con l’apprendimento, a partire dalla situazione in cui si trovavano.
Emmi Pikler – ho già detto – era una pediatra, e per molti anni si è occupata di bambini in famiglia. Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale è diventata responsabile di una residenza per bambini sotto i tre anni che uscivano dalla guerra orfani, oppure con famiglie in condizioni tali per cui i bambini non potevano stare con i genitori .
Casi di questo tipo sono stati molti, non siamo qui per parlarne, ma sottolineo il fatto che progetti educativi che noi oggi conosciamo per la loro qualità sono nati spesso per fronteggiare situazioni di bisogno anche estremo. Emmi Pikler, Elinor Goldschmied e Montessori – Elinor Goldschmied ha una storia per certi versi simile a quella di Emmi Pikler -, hanno immaginato modi di lavorare con i bambini che a noi, oggi, sembrano così interessanti, così capaci di innalzare la qualità o l’offerta educativa nei servizi, per rispondere a situazioni di emergenza, di grande bisogno… e la loro genialità sta nel fatto di essere riuscite a rispondere non ghettizzando le persone che avevano dei bisogni particolari.
Non dicendo: c’è questo bisogno ed io ci metto questa pezza… bisogno particolare →risposta speciale…, hanno risposto ai bisogni, anche molto pesanti e molto urgenti, immaginandosi un modo di fare educazione che ha innalzato la qualità dell’educazione per tutti.
Hanno saputo fare delle situazioni di difficoltà e di bisogno dei laboratori di conoscenza e di innovazione e l’hanno fatto in un modo di estremo successo.
Lo dico con una certa enfasi perché, penso, dovrebbe confortarci e farci venire voglia non dico di fare altrettanto, ma quasi. Non conosco bene la situazione friulana, ma penso che condividiamo, dall’Emilia Romagna alla Toscana al Friuli, attualmente, una situazione che non è delle più brillanti per quello che riguarda le risorse disponibili per l’educazione e penso che viviamo dei momenti di difficoltà che, grazie a Dio, non sono estremi come quelli in cui si sono trovate alcune delle educatrici di cui parliamo, però sono delle situazioni di difficoltà la cui soluzione non è per domani. Siamo in una situazione di difficoltà, ci resteremo per un po’ ed ecco, allora, queste educatrici ci aiutano, oltre al fatto di essersi immaginate questo e quell’altro modo di lavorare con i bambini, ci aiutano anche ad assumere una posizione di affermazione di possibilità e di ricerca. Una formula efficace: fare delle situazioni di difficoltà e dei bisogni, dei laboratori di innovazione e di ricerca.
Questo è lo sfondo sul quale cerco di mettere prima qualche parola e poi delle immagini. Più in particolare, più nel dettaglio sulla esperienza di Emmi Pikler e sulla principale realizzazione che ne è derivata, il centro di via Loczy, a Budapest.
Dentro il grande movimento dell’Educazione Attiva, Emmi Pikler si distingue per tre caratteristiche. In primo luogo, rispettare il soggetto che il bambino è, anche nel momento in cui dipende totalmente da noi. La prima coppia pensiero-azione particolarmente propria di Pikler è l’aver applicato il tema di fondo dell’Educazione attiva lavorando con bambini molto piccoli.
Emmi Pikler ha lavorato in particolare con i bambini fra 0 e 3 anni. È chiaro che un bambino di due anni, di due mesi, di due giorni, se noi non ci occupiamo di lui non vive, quindi la sua situazione di dipendenza è totale e anche in questa situazione di dipendenza è necessario che noi permettiamo a lui o lei di essere protagonista della situazione educativa, anche se è un bambino o una bambina di due giorni.
L’esperienza di Maria Montessori è partita dal lavoro con bambini disabili, poi con bambini in età di scuola materna, poi è stata elaborata anche in riferimento a bambini piccoli ma, diciamo, c’è un nucleo originario che fa più attenzione ai bambini un po’ più grandi perché i casi che Montessori ha incontrato, l’hanno portata ad occuparsi di quei bambini… Emmi Pikler ha iniziato immediatamente ad occuparsi di bambini sotto i tre anni.
Legata a questa condizione di attenzione ai bambini nei primi tre anni di vita, la seconda caratteristica di Emmi Pikler, dentro la famiglia degli educatori attivi, è quella di avere messo al centro della sua attenzione il movimento.
Una terza caratteristica è quella di avere lavorato inizialmente con bambini che vivevano tutta la giornata senza una coppia genitoriale di riferimento, quindi con educatrici che avevano la responsabilità totale dei bambini. Questo punto lo lasciamo da parte perché, qui, non ci interessa e non riguarda da vicino chi è qui, oggi, e mi concentro sul tema del movimento.
Movimento, attività, pensiero
Quando Emmi Pikler parla di movimento non parla di quello che noi oggi siamo abituati a trattare come ‘attività psicomotoria’, ‘attenzione psicomotoria’ ma parla del movimento come di una trasversalità, come di una attenzione, come di un dispositivo che ha a che fare con due aspetti dell’attività educativa e dell’esperienza educativa.
Il primo aspetto è legato alla costruzione dell’autonomia del soggetto in formazione nel senso che il movimento è la prima attività del bambino.
Per Emmi Pikler dire ‘movimento’ e dire ‘attività’ è un po’ dire la stessa cosa.
Certamente il movimento è fatto di posture, spostamenti ma l’attenzione di Emmi Pikler non si ferma qui. Le posture, gli spostamenti sono l’introduzione, sono il modo attraverso cui il bambino realizza la sua attività, il movimento è la prima attività dei bambini e per molto tempo, molto rispetto alla vita dei bambini da 0 ai 3 anni, è l’unica attività.
Un bambino che esce dalla pancia della mamma e già prima, quando è nella pancia della mamma, che cosa fa? Si muove. È l’unica cosa che fa di sua iniziativa. Si muove.
Il collegamento immediatamente successivo fra movimento e attività, che è stato introdotto dalla lettura dell’educatrice, è quello fra attività e pensiero. Quindi movimento-attività-pensiero sono un tutt’uno.
Ri-sottolineo: per un periodo di tempo, che non è breve, quello che noi vediamo è il movimento. Il movimento, per un po’, si esprime in modi dentro cui, noi, non vediamo, a prima vista, un’attività e tantomeno vediamo un pensiero. Mentre il movimento lo possiamo vedere chiaramente.
Osservare il movimento: rispettare il bambino…
La seconda attribuzione di senso e di importanza al movimento che è presente nel pensiero e nella pratica di Emmi Pikler consiste nella convinzione che l’attenzione al movimento dei bambini è la guida all’azione dell’adulto, in due sensi:
È l’attenzione che, secondo Pikler, ci permette di rispettare, come dicevo prima, il soggetto che il bambino è. Il bambino di un giorno, il bambino di dodici mesi, il bambino di sedici mesi dipende totalmente da noi per la sua sopravivenza. La sua dipendenza radicale, però, non ci esime dallo stabilire, con lui o con lei, un rapporto educativo.
In che cosa, un rapporto educativo, si differenzia da un rapporto di addestramento o peggio anche di violenza? Si distingue perché il rapporto educativo rispetta, lascia essere il nostro interlocutore il soggetto della sua storia. Io posso proporre, posso avere dei progetti, posso offrire delle condizioni al mio interlocutore di due giorni, di due anni, anche di 20 anni ma o ad un certo punto, o il mio interlocutore fa propria, elabora la proposta che io gli faccio oppure non c’è educazione.
L’attenzione al movimento è l’atteggiamento, è la pratica che permette a un’educatrice che lavora con i bambini piccoli, di realizzare questo rispetto del soggetto che non è, inizialmente, qualcosa di relazionale… affettivo… La relazione e l’affettività sono fondamentali, ma si costruiscono nel tempo.
La professionalità di un educatore, di un’educatrice consiste nel non agire guidati dalla spontaneità affettiva. La spontaneità, dentro la dimensione professionale, la dobbiamo costruire perché non è una spontaneità senza una connotazione. È una spontaneità che deve essere fondata dentro un’intenzione professionale, è una spontaneità di secondo livello. L’attenzione al movimento ci permette di costruire questa seconda spontaneità che rispetta il soggetto che i nostri interlocutori sono.
…costruire una relazione empatica
Il secondo senso che l’attenzione al movimento dei bambini porta alla competenza professionale degli educatori, delle educatrici, è la possibilità di costruire una relazione empatica. E’ il partire dall’attenzione a quello che il bambino fa di sua iniziativa che ci permette di costruire un rapporto con quel bambino o con quella bambina, dentro cui, il bambino o la bambina, abbia voglia di accettare le nostre cure.
Noi possiamo volere tutto il bene che ci immaginiamo, che sentiamo nei confronti di un bambino o di una bambina e curarli -uso il termine cura in senso ampio, cioè occuparci di loro dal punto di vista fisico, intellettuale-, nel modo che per noi è migliore ma se quel bambino o quella bambina non hanno voglia di approfittare, di usare quello che noi diamo a loro, noi possiamo fare le cose più meravigliose di questo mondo senza che servono a niente. È un’altra formulazione di quello che vi dicevo prima. Noi possiamo fare ma se non c’è l’accoglienza da parte di quello o quella per cui noi facciamo qualcosa, se non c’è la disponibilità di questo bambino o di questa bambina a ricevere, prendere quello che di buono noi facciamo per loro, quello che facciamo non serve, e viviamo in un grande equivoco.
L’attenzione al movimento è l’atteggiamento, il dispositivo che ci permette di entrare in relazione con la disponibilità dei bambini, con cui lavoriamo, ad accettare le nostre cure. Questo nell’idea di Emmi Pikler.
Il tema delle cure più limitate all’eccezione delle cure del corpo, è un tema molto importante nel progetto educativo di cui parliamo, ma io seguo il filo di questo incontro, che è il movimento e ne affronto un altro aspetto, il rapporto movimento – autonomia.
…sostenere l’autonomia
Il movimento è la prima manifestazione di attività e quindi la prima manifestazione di autonomia.
Evidentemente è molto importante che noi si sia consapevoli del fatto che un bambino è capace di fare molte cose, l’autonomia ha a che fare con il sapere fare, però per Emmi Pikler il motore fondamentale dell’autonomia è una caratteristica interna ed è il piacere di fare.
Quindi l’autonomia non sta o, almeno non sta principalmente, nel fatto che mi so infilare la giacca a vento oppure so salire due gradini verso il fasciatoio, l’autonomia implica che io sappia fare questo e lo faccio con piacere, perché, altrimenti, ricadiamo nella confusione fra educazione e adattamento, istruzione, addestramento…
Il fare con piacere è una condizione che, di nuovo, ci chiede di preoccuparci di come il bambino accoglie quello che noi gli proponiamo.
…il movimento libero
Il modo in cui noi adulti possiamo fare attenzione a come il bambino desidera ed è in grado di accogliere le nostre proposte per farne un uso da protagonista ha a che fare con l’osservazione. E questa ci introduce a una dimensione operativa, sempre rispetto al tema movimento, autonomia.
Emmi Pikler quando parla di movimento e di attenzione al movimento del bambino, s’immagina e propone – lei direttamente ha proposto alle educatrici con cui ha lavorato e chi oggi lavora sulla sua traccia continua a proporre – , una condizione definita e precisa perché bambini e adulti possano realizzare, attorno al movimento, l’esperienza che ho descritto: la libertà di movimento da parte di ogni bambino.
Ogni bambino è in grado di acquisire tutta l’abilità motoria di sua iniziativa, senza che nessuno gli insegni a muoversi, e, se gli viene offerta questa possibilità, la qualità dei suoi movimenti sarà migliore di quella che raggiungerebbe se sollecitato. All’adulto compete creare le condizioni ambientali dentro le quali i bambini possano realizzare le loro iniziative rispetto al movimento.
Le affermazioni che adesso argomento rapidamente, sono affermazioni che nel servizio che Emmi Pikler ha diretto, sono state oggetto di ricerche realizzate dall’organizzazione Mondiale della Sanità, sono state verificate come fondate e generalizzabili…
L’idea dell’importanza del movimento libero dei bambini, si basa dunque sulla considerazione che i bambini nei primi 3 anni di vita, bambini in condizione di salute buone, sono in grado di acquisire e padroneggiare tutte le abilità motorie di loro iniziativa. E che questa opportunità permette loro di acquisire abilità che saranno in grado di usare con maggiore sicurezza e padronanza per tutta la vita.
Nella letteratura pediatrica appare ricorrentemente il dibattito sulla opportunità di mettere un bambino neonato in posizione prona o supina. La scelta di chi lavora nella linea di Emmi Pikler, è quella di mettere i bambini neonati sulla schiena e disporli in quella posizione fino a quando non sono loro in grado di cambiarla di loro iniziativa… perché un bambino sulla schiena ha maggiore possibilità di appoggio e movimento.
Un bambino molto piccolo, per restare in equilibrio, ha bisogno di un piano d’appoggio ampio e sulla schiena ha un piano d’appoggio che va dal capo alle spalle, ai fianchi e alle gambe… ed è in quella posizione di equilibrio, che ha la maggiore possibilità di prendere iniziative di movimento.
È evidente. Un bambino di un mese, o di due mesi, messo sulla schiena ha tutta la possibilità di muovere le braccia e le mani e le gambe… mentre un bambino messo sulla pancia, questa possibilità di iniziativa non l’ha. Quindi un bambino viene messo di schiena e non viene mai messo sulla pancia finché non ci si mette da solo.
Un bambino che si muove di sua iniziativa prima di mettersi sulla pancia, per un lungo periodo, prova a spostarsi dalla posizione distesa alla posizione su un fianco. Questa è una posizione che riduce il piano d’appoggio, però permette sempre un appoggio abbastanza ampio e lascia comunque tutta la libertà a una gamba e a una mano: è, una posizione intermedia.
Il tema delle posizioni intermedie è un tema molto importante per Emmi Pikler: sono quelle posizioni che nei manuali di pediatria sono spesso trascurate. Siamo abituate, genitori o educatrici, ad aspettare l’apparire delle posizioni che sono socialmente valorizzate: seduti, gattoni, in piedi, mentre, per esempio, la posizione sul fianco è una posizione che i bambini possono raggiungere e tenere per molto tempo, in cui possono essere molto attivi… Anche strisciare sulla pancia da distesi, e non gattonare, è una attività che i bambini, lasciati liberi di farlo, gradiscono molto, non tutti, ma molti gradiscono fare per molto tempo.
I bambini che possono sperimentare il movimento libero arrivano attorno ai tre anni all’acquisizione completa dell’abilità motoria di base: camminare, correre, saltare. Ma nel percorso, diversi bambini possono presentare differenze anche significative quanto al momento in cui appaiono le abilità e questo non pregiudica per niente la qualità del loro sviluppo.
Per vedere quanto questa considerazione riguarda anche noi, vi propongo una considerazione.
Che ognuna di noi si sia messa in piedi o abbia imparato a camminare a 12 mesi o a 17 mesi… oggi non ha nessuna importanza per noi. Se ce lo dicono lo sappiamo, ma per come ci muoviamo oggi, se abbiamo fatto i primi passi a 10 mesi o a 20 non vuol dire niente. Invece, il fatto che noi si abbia un buon assetto, per esempio della spina dorsale, una buona abilità di movimento, delle spalle che si muovono con scioltezza rispetto alcollo… questo, invece, incide molto sulla nostra qualità della vita, oggi.
Il momento in cui abbiamo acquisito una certa abilità è insignificante mentre la qualità con cui noi abbiamo acquisito quell’abilità è qualcosa che ci accompagna per tutta la vita.
Sempre nel pensiero e nell’esperienza di Emmi Pikler e delle sue colleghe, è forte la consapevolezza che quello che è importante rispetto allo sviluppo motorio non è la velocità ma è la qualità dell’acquisizione e la qualità va di pari passo con la possibilità del bambino di regolarsi, secondo il suo tempo, nella pratica delle diverse abilità.
Molte delle abilità motorie che un bambino incontra, acquisisce, sperimenta nel corso dei primi 3 anni di vita sono poi abilità che scompaiono con l’apparire delle abilità successive, ‘assorbite’ in queste ultime.
Per esempio, strisciare sul ventre, o gattonare, è qualcosa che noi oggi possiamo ancora fare (magari in una situazione di gioco oppure se siamo… speleologhe), però nella vita quotidiana, quasi nessuna di noi si muove e si sposta in quel modo… invece, sono movimenti che sono (stati) molto importanti nella costruzione della qualità del nostro assetto fisico, del nostro assetto corporeo.
Ci può essere un bambino che striscia per due giorni, ci può essere un bambino che striscia per due mesi ed è importante che questo tempo possa essere deciso da ogni bambino per se stesso e che egli non riceva, in questo tempo, delle interferenze (di solito sono delle sollecitazioni) da parte esterna.
Quindi secondo Emmi Pikler, per chi lavora in educazione, è interessante la qualità del movimento, l’evoluzione secondo la quale le diverse posture e i modi di spostamento appaiono, il momento in cui succede, è meno interessante. Anche in presenza di ritmi lenti, sempre secondo Pikler, c’è da preoccuparsi solo se lo sviluppo, la crescita del bambino appariono bloccati in tutte le loro manifestazioni.
Restando sulla continuità discontinuità fra l’esperienza di movimento nostra e quella dei bambini, propongo alcune slides che hanno a che fare con il pensiero su come ci muoviamo noi, che cosa caratterizza per noi un movimento che sia piacevole e come vanno le cose per i bambini… Vedremo che vanno più o meno allo stesso modo (la formulazione delle considerazioni esposte nelle slides riprende il pensiero di Agnès Szanto, una psicologa franco ungherese che lavora su i bambini e il movimento nella prospettiva Pikler).
Muoversi è piacevole se possiamo farlo a nostro gusto e ritmo.
Lo stesso per i bambini.
Essere maldestri non è piacevole.
Un bambino realizza goffamente un gesto o un’azione
che non è ancora in grado di compiere.
Noi rischiamo spesso di chiedere ai bambini di fare qualcosa che non fanno di loro iniziativa, non sanno già fare e, in molti casi questa richiesta, non ha nessun fondamento… è solo un seguire i nostri tempi anziché i tempi del bambino o essere un po’ troppo radicate nel nostro presente e non lasciare lo spazio allo sviluppo, alla maturazione.
Così l’idea della goffaggine è un’idea costruita perché un bambino che si può muovere di sua iniziativa – lo vedremo dei filmati -, non è mai goffo, non è mai maldestro perché potersi muovere di propria iniziativa porta con sé tutta la prudenza
e l’attenzione che sono necessari per muoversi in equilibrio. La goffaggine e l’essere maldestri sono legati alla perdita dell’equilibrio che non è per niente necessaria nello sviluppo motorio.
… L’equilibrio. Il movimento sicuro. La percezione dell’equilibrio.
Ci sono progetti, proposte e attività che si definiscono psicomotorie e che sono basate sull’induzione di perdita di equilibrio perché poi la persona, bambino o adulto, realizzi un movimento che glielo faccia recuperare … Questo passaggio dall’insicurezza alla sicurezza, secondo Pikler, non è necessario. Se un bambino non incontra delle situazioni di questo tipo non è mai goffo o maldestro. Quella sulla goffaggine e’ una considerazione che bisogna elaborare, far sedimentare… perché a noi un bambino maldestro, spesso, ci sembra anche carino, ci fa tenerezza… a volte sorridiamo… Lanciare un bambino in aria, farlo saltellare sulle ginocchia… c’è una serie di comportamenti che proponiamo o addirittura facciamo fare ai bambini che hanno a che fare con perdita di equilibrio/ riequilibrio e che fanno passare il bambino per una situazione di grande insicurezza…
Noi siamo sicure perché sappiamo che poi ci sono le braccia del papà o le mie per riprenderlo, ma il bambino questa sicurezza non c’è l’ha e quindi il momento della perdita dell’equilibrio, dell’insicurezza è un momento di paura reale… che poi si recupera. E’ chiaro che una relazione fra padre, madre, nonni, familiari, bambini… è una relazione di fiducia e la fiducia incide sicuramente su quello che il bambino prova.
Diciamo allora che per quanto riguarda la famiglia possiamo lasciare da parte questa considerazione, ma all’interno di un servizio va presa sul serio. Penso che al nido non c’è nessuna educatrice che fa ballonzolare un bambino in aria e lo riprende… sono altre le situazioni a cui fare attenzione, per esempio gli inviti, le sollecitazioni a muoversi, a camminare senza sostegno quando non è il bambino a prenderne l’iniziativa… a muoversi con degli attrezzi… ci sono situazioni in cui, penso, invitiamo i bambini a perdere l’equilibrio… conviene che ci pensiamo un po’. Non è necessario.
Prima di agire ci assicuriamo che non ci capiti niente di brutto.
È il bambino che sa cosa è in grado, o meno, di fare.
Se possiamo scegliere agiamo in stato di equilibrio.
Anche il bambino, se gliene lasciamo la possibilità.
L’attenzione all’equilibrio è un punto molto importante, ovviamente è quasi lapalissiano: se parliamo di movimento parliamo di equilibrio. Il movimento sicuro, il movimento piacevole è un movimento in condizione di equilibrio. Lo sappiamo benissimo perché se perdiamo equilibrio… per esempio se qualcuno di voi volesse scendere e inciampasse in un gradino sa benissimo che non potrebbe fare niente finché non avesse ritrovato l’equilibrio… per terra se cade, o, meglio, in piedi sul gradino successivo… Ecco, la situazione di assenza di equilibrio è una situazione che ci distoglie da qualsiasi intenzione, azione, etc. Noi possiamo agire in sicurezza solo in una situazione d’equilibrio e per i bambini è esattamente la stessa cosa.
E’ importante considerare che l’equilibrio è una percezione interna.
Noi dall’esterno possiamo fare delle ipotesi sulle condizioni di maggior o minore equilibrio, di una persona che vediamo, ma non possiamo averne la certezza. È solo la persona che ha il controllo della sua situazione di equilibrio. Allora per esempio… io so
fare sci di fondo ma se mai mi dovessi mettermi a fare dello snowbord finirei presto in una buca di neve e li resterei finchè qualcuno non me ne tirasse fuori. Può anche darsi che se mi applicassi e imparassi a fare lo snowbord potrei stare bene anche volteggiando in aria, ma ci vorrebbe del tempo…
L’osservazione
L’equilibrio è una condizione che, a parità di attività, di gesto, di movimento può cambiare da soggetto a soggetto e nello stesso soggetto in momenti diversi, e sono solo io che so se mi sento in una situazione di equilibrio oppure no. Con questo torniamo di nuovo all’importanza dell’osservazione perché è solo osservando i bambini che noi possiamo avere un’idea discretamente fondata di quando e come sono in una condizione di equilibrio e quando no.
Ci sono degli indicatori… per esempio lo sguardo. Questo è, forse, l’indicatore principale esterno, coglibile dall’esterno, rispetto al fatto che il bambino sia in una situazione di sicurezza oppure no.
Un bambino che può muoversi ed agire di propria iniziativa:
– è prudente,
– regola gli sforzi,
– utilizza possibilità di apprendimento variate,
– usa il corpo in modo economico,
– impara ad imparare.
Infine c’è una serie di qualità del movimento che sono legate al fatto che il bambino possa muoversi in situazioni di equilibrio successive e secondo i suoi tempi.
La percezione di equilibrio in determinate posture o movimenti, può essere modificata, si può acquisire o perdere. Questo spiega e invita a rispettare certi comportamenti dei bambini , per esempio oggi, il bambino Mario non vuole assolutamente fare un percorso su un’ asse… oppure va ai giardini e sale la scaletta però poi quando si tratta di scivolare non scende e torna indietro… e domani invece lo fa… Conviene non insistere perché Mario faccia quell’attività, oggi, perché può avere una percezione di sé che gli suggerisce di fare o non fare… E’ chiaro che poi c’è il gioco relazionale… può anche non farlo perché io glielo chiedo e lui decide invece di opporsi alla mia richiest però noi non lo sappiamo,e ci conviene immaginare che oggi non lo faccia perché lui non si sente pronto a fare quel movimento, mentre domani…
Domani quel bambino potrà essere contento di fare quello che ieri non voleva fare… e questo ci invita al rispetto di quello che i bambini ci fanno vedere circa la loro disponibilità a fare o non fare delle cose.
Dire: non far fare ai bambini dei movimenti che non fanno di loro iniziativa è un’affermazione chiara e comprensibile e applicabile in qualsiasi situazione. Da qui ad adottarla come un comportamento che regola l’azione dell’adulto… bisogna un po’ pensarci, lavorarci, capire i pro e i contro delle abitudini, o precedenti o attuali, quelle acquisite con l’ esperienza.
Ho trovato il libro davvero interessantissimo. Vorrei però segnalare la presenza(nell’edizione del 2016) di moltissimi errori di battitura.