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Un romanzo del Dottor Korczak

Dario Arkel

Pedagogista e docente universitario


(riflessioni intorno a “Quando ridiventerò bambino”, 1925)

 

“Ma quali doveri dovrebbe avere il bambino di per sé che non siano retaggio annoso e trafelato dell’adulto e delle istituzioni da lui create e mai riviste nei principi?”

Al lettore adulto

Dite:
È faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
Perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati
a innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

 

Con questa celebre “poesia-preludio” si apre il testo di Janusz Korczak “Quando ridiventerò bambino”, scritto nel 1925. Essa enuncia fin da subito quanto il lettore troverà all’interno di questo libro di piccole, quotidiane, domestiche/scolastiche avventure di un bambino di circa 12 anni.

Si tratta di uno dei lavori in prosa maggiormente significativi del Pan doktor. Spicca per la costruzione narrativa e, considerando l’epoca, per l’insolita trama.

Fin dall’inizio colpisce che il nome del protagonista bambino-adulto-bambino resti sconosciuto al lettore. Nessuno dei coetanei o degli insegnanti lo chiama per nome/cognome: già questo è un indizio significativo che induce a pensare che, tra i banchi dell’aula scolastica, il bambino non è riconosciuto come bambino, ma come alunno, allievo, compagno di banco, disperdendo la propria identità in un informe collettivo dove i giudizi divengono spesso pre-giudizi e facilmente si incappa negli specialismi dell’effetto “alone” o “pigmalione”, due forme penalizzanti di giudicare i comportamenti e il così detto profitto dello studente.

Nonostante la mancanza di un nome, si intuisce che molte delle vicende narrate derivano dalla memoria di Korczak e/o forse anche da altre storie raccolte durante l’ascolto dei suoi piccoli orfani.

L’invenzione narrativa del romanzo consiste infatti nella trasformazione di un adulto maestro di scuola che, tramite un incontro immaginato e fortemente desiderato, ottiene la possibilità di tornare bambino, là nella stessa sua scuola, con gli stessi compagni dell’adolescenza, e nelle medesime situazioni dell’epoca trascorsa.

Con la vigilanza e l’attenzione dell’adulto accorto, Korczak scruta l’animo dei bambini, riconoscendone il valore creativo perché ne sia garantito il Diritto al rispetto.

Per capire meglio questo testo occorre fare un esempio circa la sua sostanza che del resto è strettamente collegata allo stile fresco e diretto, assolutamente inedito per l’epoca. L’originalità la si può evidenziare nell’uso promiscuo della funzione del narrante, primo esempio di un soggetto bambino-adulto-bambino:

“Siamo come un popolo di nani soggiogato da giganti, sacerdoti, che conoscono la forza dei muscoli e la scienza occulta. E noi siamo troppo deboli, poco dotati dalla natura, ci date la vita senza però voler fare le pur minime rinunce o il più leggero sforzo.

Siamo creature complicate oltreché introverse, diffidenti e chiuse.

Siamo inutili per tutti coloro che non hanno fiducia in noi e che non condividono i nostri sentimenti.”

Il protagonista in prima persona possiede di fatto un’inusitata duplicità: la coscienza dell’adulto nel suo corpo animato di ragazzo. Le considerazioni sopra riportate risultano infatti essere quelle di un adulto “interno al bambino”, e non viceversa. Questo rovesciamento di una consuetudine letteraria può riassumersi con la metafora cinematografica nella quale è reso prevalente il sentire dell’attore (il ragazzo) più di quello del regista (il grande). Le riflessioni sono da adulti, ma le risultanze di esse implicano la presa d’atto del bambino.

Il libro è ricco di spunti per una riflessione sul pensiero di Korczak, più ancora che sul suo metodo-non-metodo.

“Gli adulti non sanno quanto il giovane subisca i soprusi dei più vecchi e dei più forti […] E tu non puoi farci niente, ne escono sempre indenni perché sono scaltri e furbi. Non sempre hai voglia di raccontarlo, di lamentarti, tanto nessuno può darti una mano e poi gli altri, i più forti, potrebbero vendicarsi.” L’interpretazione korczakiana fa sì che il ragazzo parli e racconti le sue disavventure fornendo ad esse i contorni della consapevolezza di un adulto. Di un adulto complice.

E ancora, il pensare bambino si ripresenta con constatazioni evidenti e trancianti:

“Nessuno direbbe Fuori!  ad un adulto, ma quando si tratta di un bambino… Ed è la stessa cosa per tutto quanto: un adulto si dà da fare, un bambino crea scompiglio; un adulto scherza, un bambino fa il buffone; l’adulto piange, il bambino piagnucola; un adulto può mostrarsi intraprendente, un bambino, soltanto insopportabile; un adulto può mostrarsi a volte distratto, un bambino sarà sempre uno svampito o uno sbadato; e se un adulto non ama spicciarsi, un bambino è lento come una lumaca.”

Si incontra in questo passo la grave situazione della mancata emancipazione dei bambini e dei ragazzi, coloro ai quali gli adulti applicano dei doveri talvolta incomprensibili, come lo stare fermi e non poter correre, come tacere quando si vorrebbe comunicare. Più i cosiddetti minorenni sono sensibili più patiscono questa condizione di affermata e ineludibile inferiorità. “Il peggio” ci informa Korczak “è essere sensibili. Perché gli adulti hanno la mania di metterci tutti nello stesso sacco, innocenti e colpevoli. Quando cominciamo a rognare, li si sente sempre urlare: “Vi conosciamo, Sempre con le vostre scuse! Non si può mai avere fiducia in voi!”

 

In questo confronto, è certo, il Pan doktor, rivela crudamente l’essenza del problema dell’inferiorità che costantemente viene ribadita nelle parole e negli atteggiamenti di genitori e insegnanti. Se i genitori vengono ritenuti non all’altezza della situazione, sarebbe necessario sapere che tutti i bambini vogliono cambiare, vogliono crescere, anche i “peggiori” tra loro. Mentre gli adulti no. Gli adulti si dicono, seguendo il testo di Korczak, “Alla malora!” perché ci hanno già provato, e più di una volta, ma hanno fatto fiasco. Mentre i bambini lottano ancora, e le loro promesse sono davvero sincere, solo che, al minimo errore, tutti saltano loro addosso!” Distinzione tra gli uni e gli altri di profondità, che va a colpire il centro della sensibilità dei bambini i quali vengono sovente tacciati di cattiva volontà, scarsa collaborazione, mancanza di doveri. Ma quali doveri dovrebbe avere il bambino di per sé che non siano retaggio annoso e trafelato dell’adulto e delle istituzioni da lui create e mai riviste nei principi?

In modo molto delicato, appena accennato, il protagonista senza nome, scopre l’amore, un sentimento, uno sfioramento, sorrisi e sguardi. È il capitolo quinto del testo. Platonica situazione, inespressa, ma molto evocativa. È in questa parte che l’autore sembra entrare maggiormente “in diretta” narrativa. Maria, Marushka, è una pulsione, un simbolo dell’avanzare di un piccolo cuore che, alla fine, sceglie di rivelarsi, seppur timidamente, accennando, alludendo ad un qualcosa di stupefacente (l’amore, appunto) e imprendibile. Un germoglio formativo del carattere, della ricerca di un rapporto non più obbligato, come quello della famiglia o della scuola, un qualcosa che si apre e chiude come porte automatiche nei cui finestrini si riflette la propria immagine e, subito dietro, l’ombra del viso agognato.

Per chi ha seguito la nostra rubrica ricorderà il significato delle cartoline edite dal Dom Sierot (la Casa degli orfani diretta da Korczak). Esse evocano, danno gioia o forniscono la speranza vista come il motore del superamento della sofferenza. Ci vuole pazienza per raggiungere la speranza, ma il ricordo di chi è lontano per lo meno si avvicina e fornisce il proprio contributo alla resilienza, al superamento del danno. La traccia di un’altra giovane vita in ascolto è giunta infine al nostro protagonista senza nome, è una cartolina postale e giunge da Vilno, la città di Marushka, e gli porta 1000 baci!!! Questa è la felicità, essere vicini col cuore!

 

n.b. Le frasi di Janusz Korczak quivi riportate sono tratte da “Quando ridiventerò bambino”, Luni ed., Milano, 2005

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