
Francesco Tonucci
Nonostante tutto quelle che è stato scritto sull’importanza dei primi anni di vita, durante i quali si mettono le fondamenta su cui si costruiranno tutte le conoscenze e le abilità future, il bambino viene percepito dagli adulti come qualcuno che vale per quello che sarà, più che per quello che è. Il bambino continua ad essere il “futuro” cittadino e va preparato ad essere l’adulto che oggi nasconde e contiene solo in nuce.
Per questo tutta l’attività educativa, sia familiare che scolastica, mira a stimolare il bambino a lasciare al più presto possibile la sua infanzia, i suoi atteggiamenti e pensieri infantili per assumere conoscenze e atteggiamenti adulti. Così i bambini dimostrano di essere “educati”, di crescere e di meritare l’apprezzamento e il premio degli adulti.
A pensare bene questo progetto contiene una forte tentazione conservatrice, perché l’adulto al quale il bambino si deve ispirare e al quale deve tendere siamo noi, i suoi genitori e i suoi insegnanti e quindi il progetto educativo mira a riprodurre domani, quando lui sarà adulto, le condizioni e le caratteristiche di ieri. Ma nella lettera ai giudici don Milani scrive: “il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”.
Allora il bambino da tenere presente, da ascoltare, da difendere e da amare è il bambino di oggi, con quello che sa e che sa fare, con i suoi sentimenti. La nuova cultura dell’infanzia è la cultura del presente. Ma il bambino di oggi è preoccupante, eversivo, rivoluzionario, perché è diverso da noi adulti: pensa diversamente da noi; vede le cose da un altro punto di vista; vive sentimenti profondi, esplosivi; ha bisogni spesso conflittuali con i nostri. Questo bambino così lontano da noi e così bisognoso del nostro aiuto e del nostro affetto; difficile da ascoltare e da capire, ha in sé una forza rivoluzionaria: se siamo disponibili a metterci alla sua altezza e dargli la parola, sarà capace di aiutarci a capire il mondo e ci darà la forza per cambiarlo.
Sembra che ai bambini spettino i doveri e a noi adulti i diritti. Si considera che il bambino debba imparare ad obbedire, a rispettare i diritti degli altri, ad assolvere ai suoi doveri. Nelle mie esperienze di partecipazione dei bambini alla vita della città sono stato spesso rimproverato perché tali proposte avrebbero potuto sviluppare nei bambini atteggiamenti aggressivi, irrispettosi nei confronti degli adulti. È vero invece che l’educazione al rispetto passivo e acritico dei doveri induce un forte desiderio di trasgressione. L’essere sempre sottoposto a tutela, ai tanti divieti poco ragionevoli e comprensibili, fa desiderare di poter evadere il controllo, di poter approfittare di un calo di vigilanza. Al contrario, in tutti questi anni di esperienze in tante città, abbiamo potuto constatare come il riconoscimento ai bambini del diritto-dovere di difendere i loro diritti, di usare forme adeguate di protesta e di rivalsa nei confronti dell’adulto prevaricatore, produca un forte rispetto per i diritti degli altri, affetto per la città, responsabilità e quindi un forte senso di cittadinanza.
Trovo estremamente interessante questa visione e credo molto nelle potenzialità e irriverenza dei bambini. Sono però convinta che tutto questo si possa realizzare dando anche uno spazio importante ai doveri per evitare che il bambino venga lasciato in balia di se stesso. E per quanto riguarda i doveri dobbiamo mettere in discussione noi adulti, in prima persona.
Dal mio punto di vista lasciare che i bambini siano “liberi a 360 gradi” significa anche, in qualche modo deresponsabilizzare gli adulti che si prendono cura di loro. Su questo punto non sono d’accordo. All’interno di questo quadro l’adulto deve comunque ripensarsi e trasformare i suoi interventi, in un circolo virtuoso a feedback aiutando i bambini a stabilire il confine tra diritti e doveri.