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Contributi brasiliani per pensare alla multiculturalità e all’educazione delle(dei) bambine(i) piccole(i)

Solange Estanislau dos Santos

Professoressa Instituto

Elina Elias de Macedo

Professoressa Universidade

Ana Lúcia Goulart de Faria

Docente


 

Se addirittura nel contrasto c’è l’armonia, il tutto persiste anche nella riconciliazione (…). Ci sono forze dell’antagonismo all’interno delle forze di adattamento, di accomodamento, di assimilazione nella stessa maniera in cui le forze di accomodazione ci sono all’interno delle forze in conflitto e nel gioco dei contrasti. Quindi il sociologo che studia il Brasile non sa più quale sistema di concetti deve utilizzare. Tutte le nozioni che ha imparato nei paesi europei o dell’America del Nord non valgono qui. L’antico si mischia con il nuovo. Le epoche storiche si intrecciano fra loro. Gli stessi termini come “classe sociale” e “dialettica storica” non hanno lo stesso significato, non riguardano le stesse realtà concrete. Al posto dei concetti rigidi bisognerebbe scoprire le nozioni liquide in certo modo, capaci di descrivere fenomeni di fusione, di ebollizione, di interpretazione, nozioni che verrebbero modellate conforme a una realtà viva in perpetua trasformazione. Al sociologo che vuole capire il Brasile occorre spesso trasformarsi in un poeta. (BASTIDE, Roger. Brasil, terra de contrastes. SP:Difusão Cultural, 1971, 5).

 

 

Il Brasile è noto per essere un paese multiculturale e meticciato, il che ha fatto sì che il razzismo, il pregiudizio e la discriminazione fossero storicamente mascherati sotto la fallacia secondo cui viviamo in una democrazia razziale. Ma i tre secoli di schiavitù si riverberano finora, o come sottolinea Djamila Ribeiro in un’intervista al sito Geledés: “Siamo un paese che non ha mai abolito materialmente la schiavitù”. I dati sono allarmanti: a San Paolo la popolazione nera è il 75,4% delle 6220 persone uccise nelle azioni di polizia; il 61% delle 1206 vittime di femminicidio e della violenza domestica sono nere. Inoltre, la maggioranza di quelli che sono in galera sono neri. Quindi viviamo ancora un quotidiano segnato dalle scene di sterminio della popolazione nera come mostrano i dati dell’Annuario Brasiliano di Pubblica Sicurezza – 2019.

Il fatto è che la colonizzazione/lo sfruttamento e il dominio/l’invasione hanno promosso/promuovono le disuguaglianze e hanno strutturato/strutturano le relazioni sociali, economiche, politiche ed educative. Ciò significa affermare, con Walter Benjamin, che quando “l’oppressione è la regola” la popolazione vulnerabile vive un’ “inclusione escludente” e che “quando la realtà diventa oppressora implica l’esistenza di quelli che opprimono e di quelli che sono oppressi”, come ha detto Paulo Freire, uno dei primi in Brasile a esprimere un pensiero post-colonialista riguardo all’educazione. Questo autore l’ha fatto fin dalla prima edizione del libro Pedagogia dell’oppresso, scritto in esilio in Cile nel 1968.

In base alla linea del multiculturalismo critico, non si vuole che i conflitti vengano placati o ignorati, bensì che gli stereotipi e il mito dell’uguaglianza razziale vengano decostruiti e che tutte le forme di esclusione vengano combattute. Per farlo bisogna creare altre pedagogie, altri concetti e altre epistemologie, come propone il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos, visto che nemmeno il concetto di multiculturalismo sembra spiegare le specificità dell’origine e della costituzione della società brasiliana, nonché delle (dei) bambine(i) e della loro educazione. Quindi per provare a capire la complessità del Brasile, un território radicato nei conflitti, occorre andare oltre le epistemologie eurocentriche, oppure come ha detto Bastide, sarebbe necessario trasformarci in poeti.

 

 

La maggioranza degli oppressi brasiliani sono storicamente le(i) bambine(i) e le donne nere, povere, indigene, cioè le minoranze che sono la maggior parte della popolazione e esprimono i paradossi del capitalismo e le eredità di questa colonizzazione/ sfruttamento/invasione.

È in questo contesto che ci sono le(i) bambine(i), figlie e figli degli oppressi e delle oppresse, “salvate(i)” da politiche compensative ma ignorate(i) come se non facessero parte della società, abbandonate(i) nel presente e forgiate(i) come promesse per il futuro dell’umanità. Dunque si ritiene che la subordinazione dell’infanzia, oltre alle disuguaglianze di classe, razza, etnia e genere, sia anche una delle espressioni di queste relazioni disuguali. Questa disuguaglianza diventa più sconvolgente quando attraversiamo una crisi politica e epidemiologica.

Quindi è sempre urgente che i movimenti sociali e le università discutano e decostruiscano dal punto di vista epistemologico tutte le gerarchizzazioni sociali che permeano la società e si pongano sempre questa domanda: come educare per far sì che fin dalla nascita si affermino e si riconoscano le differenze come un’arma per combattere e lottare contro le disuguaglianze?

In questo senso bisogna diffondere, stimolare e produrre studi che rendano visibili il protagonismo delle (dei) bambine(i) brasiliane(i) indigene(i), nere(i), quilombolas (comunità, con terra, nate dagli africani schiavizzati), quelle(i) che vivono lungo i fiumi, senza terra (MST), immigrate(i) (tra altre, i venezuelane (i), peruviane(i), boliviane(i), haitiane(i). La differenza di età è un’opportunità per mettere in discussione e problematizzare le pedagogie conservatrici nel tentativo di allontanarsi dall’adultocentrismo e dal colonialismo, nonché rompere con le prospettive scolarizzanti che modellano le conoscenze e le frammentano nelle materie scolastiche.

Si tratta quindi di un movimento di costruzione di pedagogie decolonizzatrici che mettono in discussione i modelli sviluppisti e l’idealizzazione dell’infanzia e promuova un’educazione emancipatoria fin dalla nascita.

L’Educazione dell’Infanzia brasiliana ha fatto progressi nella ricerca delle pratiche decolonizzatrici e nella forte militanza. Ci sono già state molte lotte, con vittorie e sconfitte, con aggiustamenti e disaggiustamenti, in cui si mettevano/si mettono in risalto le minoranze e le loro priorità di vita, la loro (ri)esistenza e il loro diritto all’educazione pubblica, gratuita, laica e di qualità, nonché un’educazione inclusiva antipatriarcale e anticapitalista.

In questo contesto proponiamo la Pedagogia “macunaímica” (si riferisci al capo lavoro della letteratura brasiliana scritto da Mario de Andrade), una pedagogia dell’ascolto, delle relazioni e delle differenze, che si basa sulla scienza, sull’arte e sulla tecnica. Questa Pedagogia porta con sé le molteplici culture che costituiscono il contesto brasiliano (il bianco/nero/indigena) e sottolinea questa molteplicità come una potenza educativa nell’affermare le differenze e vivere con e a partire da esse, affinché si costruisca un multiculturalismo brasiliano proveniente dalla nostra diversità e delle nostre specificità culturali.

Si tratta di valorizzare i modi di essere e di vivere delle (dei) bambine(i), che fin dalla nascita incorporano, reinterpretano, (secondo Corsaro) innovano, inventano, e così le praticano nei servizi.

Quando si considera che i bambini ci presentano sempre nuove sfide e portano all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia le conoscenze delle culture infantili, ci vuole veramente una docenza che condivida e valorizzi le esperienze delle (dei) bambine(i) e stia attenta alle differenze; che non faccia lezione e non abbia contenuti prestabiliti perché costruisce collettivamente le conoscenze in base alla ricerca, all’ascolto, alle relazioni e ai diversi contesti storici e socioculturali delle (dei) bambine(i), che sono le(i) protagoniste(i) dell’azione pedagogica.

Tocca anche alle maestre e ai maestri degli nidi e delle scuole dell’infanzia lo svelamento delle gerarchizzazioni delle relazioni di potere che producono pratiche razziste e pregiudizievoli, affinché si realizzi un’educazione antirazzista e antifascista che promuova davvero l’emancipazione delle (dei) piccole(i) brasiliane(i) che muoiono o soffrono ogni giorno per le crudeltà del sistema capitalista.

In questo momento della pandemia del Covid-19, in cui le disuguaglianze sono ancora più crudeli, con una grande minaccia alla vita delle (dei) bambine(i) povere(i), nere(i), indigene(i), immigrate(i), che quando non muoiono per il virus, muoiono per la negligenza dello Stato oppure per la violenza del razzismo in una necropolitica che tutti i giorni distrugge i sogni delle bambine e dei bambini, piccole(i) brasiliane(i), siamo in lutto e in lotta!

 

 

Quelle (quei) piccole(i) brasiliane(i) che giocavano, studiavano, giocavano a calcio, cantavano, sognavano. Quelle (quei) piccole(i) brasiliane(i) che volevano guardare i Mondiali di Calcio e le Olimpiadi a Rio, che volevano vedere le favelas pacifiche, le scuole tranquille, i loro genitori occupati, i loro fratelli all’università.

Le (i) piccole(i) brasiliane(i) che sono scomparse(i) così presto; che non hanno potuto aspettare il futuro, che suppostamente avremmo costruito per loro; che non hanno avuto l’opportunità di diventare giovani, adulti e vivere pienamente la vita.

Le (i) piccole(i) brasiliane(i) che sono la maggioranza dell’infanzia e della gioventù in Brasile, ma che non sono considerati il centro della discussione fatta dai media, sono discriminati e invisibilizzati, tranne quando succedono tragedie.

Finché tutti noi non ci sentiamo piccole(i) brasiliane(i), con le loro speranze e le loro fragilità, le loro volontà e le loro frustrazioni, i loro sogni e i loro incubi, e non lottiamo insieme a tutte(i) loro, le(i) piccole(i) brasiliane(i) saranno soltanto le (i) bambine(i) povere(i), bisognose(i) e disagiate(i).Un Brasile per tutti deve essere innanzitutto un Brasile di tutte(i) le(i) piccole(i) brasiliane(i).

(SADER, Emir. Os brasileirinhos. Revista Carta Maior. 9 abril de 2011).

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