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A proposito di tirocinio 0-3 anni
La realizzazione del percorso di tirocinio

Moira Sannipoli

Ricercatrice

Manuela Cecotti

Psicologa e pedagogista


NB : in corsivo le domande originali del questionario

 

Premessa

Questa riflessione documenta un’altra tappa nella presentazione dell’indagine promossa lo scorso anno dal Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia (per l’inquadramento generale si veda n.04/20) e dedicata all’analisi dei percorsi di tirocinio proposti agli studenti che si apprestano a diventare professionisti dei servizi 0-3.

Gli aspetti che verranno approfonditi in questo contesto sono legati nello specifico alla realizzazione del percorso di tirocinio dal punto di vista degli Atenei e degli Enti che hanno partecipato alla ricerca.

 

  1. Le finalità e gli obiettivi del Corso di studio

Iniziamo dai dati relativi all’esplicitazione delle finalità e degli obiettivi del tirocinio previsti dal Corso di studio da parte delle Università. E’ possibile raccogliere le risposte fornite in base a due principali categorie: una che comprende insieme tirocinio diretto e tirocinio indiretto, la seconda riguardante le risposte fornite esclusivamente rispetto al tirocinio diretto. Nella tabella che segue (Tab. A) riportiamo direttamente dai questionari compilati, in elenco decrescente per frequenza, le voci così come sono state declinate dai diversi Atenei.

 

Risulta evidente, tautologico persino, che quando viene previsto un doppio piano di approccio al tirocinio, vale a dire sia diretto che indiretto, l’attenzione formativa venga rivolta non soltanto all’attività svolta sul campo, ma anche a tutta una serie di competenze complementari più articolate. E questo per quanto riguarda diversi aspetti: da un lato le conoscenze, come ad esempio la normativa, da un altro lato le capacità di comprensione dei contesti, come ad esempio la lettura dei bisogni, infine, da un altro lato ancora, una visione della formazione stessa più complessa, inserita in un panorama culturale ampio, quando viene menzionata l’integrazione tra teoria e pratica.

Non sembra dunque di poco conto la rilevanza relativa alle risposte date in merito alle domande: E’ previsto il tirocinio diretto? E’ previsto il tirocinio indiretto?

Mentre alla prima richiesta la risposta risulta affermativa per tutti gli atenei, le risposte alla seconda ci mostrano un orientamento spaccato a metà, come evidenziato nel Grafico A: quasi la metà delle sedi intervistate non prevede un tirocinio di tipo indiretto.

 

Tabella A

 

 

Pur non indagando i motivi dell’assenza di una modalità indiretta di tirocinio, la nostra indagine stimola a proporre una riflessione in merito alle differenze e alle opportunità formative di queste due diverse modalità di svolgimento.

 

  1. La comunicazione di finalità e obiettivi

Dal punto di vista comunicativo, sostanzialmente tutte le Università sono attive rispetto all’azione di far conoscere tanto agli studenti quanto agli Enti accoglienti le finalità e gli obiettivi del tirocinio. Le modalità predisposte sono numerose e interessanti da conoscere, perciò le abbiamo riportate in frequenza, accorpate in categorie, nei Grafici B e C.

 

Finalità e obiettivi vengono fatti conoscere agli Enti attraverso (Università):

  • sottoscrizione progetto formativo (4)
  • in fase di convenzione (2)
  • condivisi nel contratto di tirocinio (1)
  • riunioni dedicate – incontri periodici – (5)
  • corsi formazione per i tutor Enti (1)
  • rapporti telefonici (2)
  • scambi diretti tutor univ – tutor Enti (1)
  • gli studenti (2)
  • documenti in rete – regolamento (3)

 

 

Finalità e obiettivi vengono fatti conoscere agli studenti attraverso (Università):

  • didattica in aula – incontri collettivi – (8)
  • tirocinio indiretto (3)
  • sottoscrizione del progetto formativo (6)
  • condivisi nel contratto di tirocinio (1)
  • colloqui (1)
  • sito – regolamento (3)

 

 

Come si evince dai grafici il tirocinio indiretto risulta essere una sede privilegiata per poter coinvolgere gli studenti all’interno di una collettività in formazione. Frequente, ma non totale, è la sottoscrizione di un progetto formativo o di un contratto in merito.

Nel rapportarsi agli Enti che accolgono le Università concordano nell’esplicitare finalità e obiettivi attraverso modalità che vanno dalle più formali, come le sottoscrizioni di progetti, convenzioni e contratti, a modalità più dialoganti, che prevedono l’incontro diretto e la co-costruzione del percorso.

 

  1. Le modalità del tirocinio diretto

Nella maggior parte dei casi il tirocinio diretto si svolge attraverso l’utilizzo sia di modalità osservative che di intervento diretto con i bambini.

In due sedi universitarie si preferisce proporre modalità prevalentemente osservative. Per un Ateneo la modalità è ancora da definire (Grafico D).

 

 

 

  1. Organizzazione del tirocinio indiretto

Alla domanda: come è organizzato il tirocinio indiretto? (es. individualmente, a gruppi, periodicità, incontri con esperti, visite,…) le risposte pervenute ci informano che prevalgono gli incontri collettivi in presenza, organizzati in diverse forme, soprattutto con i tutor, con esperti nella forma di seminari tematici e con i responsabili degli Enti.

Colloqui individuali sono previsti da due Università, mentre altre indicano come attività individuale lo studio e la consultazione di materiali online.

Un unico caso cita la supervisione in piccolo gruppo come modalità scelta per il tirocinio indiretto, in un altro unico caso vengono organizzate delle visite.

Un ateneo è ancora in fase di organizzazione e non offre informazioni in merito.

 

 

  1. Spunti di riflessione

Le informazioni raccolte, pur non essendo esaustive dell’intero panorama accademico, ci offrono numerosi elementi intorno ai quali soffermare l’attenzione e su cui sarebbe interessante approfondire e confrontare i ragionamenti.

L’articolazione tra tirocinio diretto e indiretto emerge come tema centrale, sia a livello organizzativo che per quel che concerne i contenuti rilevanti nel processo formativo.

Un altro spunto di riflessione intorno al quale potrebbe essere opportuno uno scambio di idee per l’ampia ricaduta che ne deriva riguarda il come, dove e quando, nel percorso di tirocinio, esplicitare e far convergere le scelte dell’Università con quelle dei singoli Servizi rispetto a temi cruciali e di fondo come possono essere l’idea di infanzia e di educazione.

Un’ulteriore questione, infine, forse la più genertiva, la possiamo formulare così : come porre in dialogo funzione formativa del tirocinio per lo studente, per il contesto che accoglie e per l’Università? Dunque come valorizzare le potenzialità del tirocinio per tutti i soggetti coinvolti?

Pensiamo che il tirocinio possa configurarsi come un’opportunità unica e di notevole portata per i pensieri intorno all’infanzia di cui la società tutta si potrà giovare nel presente e nel futuro.

 

  1. Il punto di vista degli Enti tra riflessioni e modalità di attuazione

La prima domanda di ricerca che ha riguardato i servizi coinvolti è stata quella relativa alle modalità di tirocinio attivate, se prevalentemente osservative o di intervento diretto con i bambini. L’indagine ha permesso di mettere in evidenza come nella maggior parte dei casi il tirocinio diretto si svolga attraverso l’utilizzo di entrambe e solo quattro Enti, pari al 22%, preferiscano proporre modalità prevalentemente osservative.

In merito a quest’ultime gli Enti stessi hanno riferito diversi focus su cui orientare lo sguardo tra cui i flussi operativi – per riconoscere i principali passaggi della giornata educativa e il personale educativo al lavoro.

Si è evidenziato anche come le pratiche osservative, se ben condotte, rappresentino una sorta di ambientamento da parte del tirocinante, che gradualmente diventa una figura familiare anche per i più piccoli, in una sorta di “addomesticamento” reciproco e fecondo.

In merito agli strumenti utilizzati le risposte non entrano nel merito del dettaglio della cornice teorica di riferimento: si parla di strumenti predisposti dall’Università, di “Guida al tirocinio”, di modelli osservativi proposti dal servizio. Si citano invece da un punto di vista metodologico la possibilità di utilizzare griglie osservative, schede fornite anche dall’Ente per analizzare l’organizzazione.

Relativamente agli interventi diretti concessi allo studente-tirocinante, si evidenziano le opportunità di partecipare ad esperienze di gioco, condividere momenti specifici a richiesta, vivere e collaborare nella quotidianità del servizio. Si segnala anche la possibilità regalata agli studenti di progettare alcune attività specifiche. Interessante che vengano menzionate tra le attività anche momenti di riflessione con il tutor dell’Ente sull’idea di bambino, di spazi, di materiali, di documentazione, momenti per una restituzione delle osservazioni.

Relativamente alla seconda domanda, che andava ad investigare eventuali altre attività oltre quelle già descritte, gli Enti hanno menzionato in maniera prioritaria la partecipazione agli incontri collegiali, a cui segue l’opportunità di dare il proprio contributo alla stesura e alla presentazione del progetto educativo. Sono state citate anche la possibilità di prendere parte ad incontri con le famiglie, a momenti indiretti di riflessione sull’esperienza prassica e a spazi formativi, di festa e convivialità.

 

  1. Quali traiettorie possono essere immaginate?

Le risposte degli Enti permettono di configurare interessanti domande di ricerca. La voce dei professionisti dell’educazione consente di superare alcune cattive credenze sull’esperienza di tirocinio e di individuare possibili cadute nella sua realizzazione.

Il tirocinio non è chiamato ad essere un’esperienza tecnicistica, non deve regalare tecniche e procedura per la pratica, il “che si fa?” e il “come si fa?” in maniera rigida e verticale. In questa dimensione chi si appresta a prendere la misura rispetto alla propria professione, sperimenta subito l’impossibilità di vivere alcune posture eccessivamente atomistiche, fintamente obiettive e meramente razionalistiche: il tirocinante non è isolato e decondizionato rispetto al contesto e fin da subito impara a fare i conti con dimensioni emotive e relazionali, che vanno oltre i sentieri prettamente cognitivi dell’agire educativo.

Il tirocinio è una forma di sapere pratico che dovrebbe consentire l’esercizio del pensiero riflessivo, quello stare pensoso che consente ai vissuti (il modo diretto e naturale di vivere nel mondo) di diventare esperienza (quando quel vissuto è messo sotto possibiltà di com-prensione e significazione). L’osservazione è momento privilegiato in questo spazio riflessivo. Nel suo essere guidata dalle mappe di chi la pratica, sia in termini epistemologici che metodologici, è momento assolutamente soggettivo che non ha da solo le coordinate per essere conoscenza. Se infatti, al di là della scelta del metodo e degli strumenti che si ritiene possano essere più opportuni, l’osservazione è pratica descrittiva chiamata in un secondo momento, distanziato e preferibilmente socializzato, ad arricchirsi dei costrutti interpretativi. Una buona osservazione è consapevole della sua parzialità e della sua perfettibilità, ma è anche desiderosa di aprirsi a più punti di vista possibili che permettano ad alcuni resoconti di diventare narrazioni significate, mai complete ma certamente condivise. Osservare fa bene anche all’intervento diretto: non è solo la possibilità di incontrare in maniera autentica i più piccoli, ma anche tentativo di interrogare le proposte educative e il loro valore, la centralità di chi le conduce, l’attenzione e la cura che chiedono.

Se allora per il mondo accademico l’esperienza di tirocinio diventa un’occasione per stare in ascolto del reale, per concepire la ricerca e la formazione come più servizievoli, per i servizi è opportunità privilegiata per riconoscersi ed esercitarsi come ricercatori riflessivi.

I servizi educativi sono per natura delicati ed è molto facile che si ammalino, perdano la qualità della loro proposta: la possibilità di incontrare sguardi “ingenui” rispetto alla professione può diventare preziosa occasione di manutenzione vitale, di attenzione pensata sugli «incidenti critici» dell’esperienza e della professione.

Riteniamo allora che le forme di tirocinio più o meno dirette, attivate dagli Enti, in accordo e continuo confronto con il mondo universitario, possano diventare un autentico luogo di formazione sia per gli studenti che per i professionisti, contro gli innamoramenti dei percorsi di informazioni che promuovo una logica delle «ricette», del “questo mestiere si fa solo così”. In particolare il tutor dell’Ente che accoglie lo studente può essere egli stesso testimone privilegiato di relazioni di accompagnamento, individuando la «zona di sviluppo prossimale» in termini professionali di quello specifico tirocinante, dando vita ad un insieme di azioni di scaffolding, di mediazione tra il suo «da dove» e il suo «poter fare ed essere», sostenendo in maniera ermeneutica quanto osservato in termini educativi.

L’esperienza di tirocinio diventa palestra di sperimentazione non soltanto di pensieri e prassi educative, ma anche di un atteggiamento non arrogante tra tutti gli attori coinvolti, che scoprono in questo momento il valore di esercitare cornici che accolgono uno spazio di confronto, di crescita comune, che supera sia le distanza generazionali che quelle legate ai differenti percorsi di studio di provenienza, specialmente in questo particolare situazione storica di transizione.

Può forse esserci in questa occasione il ponte tra Università e mondo educativo, tra ricerca e prassi, tra teoria e azione educativa, da tanti dichiarata, da molti cercata e veramente da pochi vissuta?

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