
Loris Malaguzzi
Pubblicato in “Zerosei”, ottobre 1981, Fabbri Editori, Milano – pp. 2-3
1.
L’ultima tegola sulla scuola è quella del decreto Andreatta del maggio u.s[1].
Un decreto che blocca le spese delle regioni e dei comuni. L’istituzione di nuove sezioni di scuola materna statale e di nuove classi nelle scuole di ogni ordine e grado.
Tra tutte le immagini richiamabili per concettualizzare la nostra scuola che riapre i battenti (per i piccolissimi come per i ragazzi e i giovani), quella del grande labirinto – oggi attualissima e riesumata da una recente mostra milanese di grande successo – incalza con efficace persuasione.
Archetipo tra i più oscuri e antichi e stracarico di simboli il grande labirinto cui si accenna non è quello cretese e medioevale, piuttosto quello barocco senza o quasi riferimenti e approdo centrale. Una sfida al filo di Arianna.
In effetti nella grande trappola labirintica sono cadute le grandi declamazioni ideologiche che profilavano subito dietro l’angolo il paradiso terrestre. Ma nei corridoi labirintici si aggirano ancora le progenie di quegli anni. La scuola assistita e assistenziale, lo scandalo dei 23.000 insegnanti distaccati (per 345 miliardi all’anno) nelle nicchie più incredibili, la proliferazione dei precari (sono più dell’80% dell’intera massa docente!) i contratti non rispettati dello stato[2] cui si contrappone il contratto non rispettato degli insegnanti[3], le paleo-culture delle formazioni docenti (a tutti i livelli) in età tecnologica e post-moderna, le circolari come sostituto del potere legislativo, i cento immaginifici e congelati progetti di riforma dei partiti politici, le dinosaurità burocratiche del ministero e dei provveditorati, i fantasmi patetici di una gestione democratica e partecipata.
Sono questi, con le ripercussioni morali che ne conseguono, i grandi ingombri (qualcuno li chiama eufemisticamente i grandi”King Kong”) che ingombreranno per anni le strade della nostra scuola, dei nostri figli.
2.
Nella grande trappola labirintica sono ipervisibili le enormi responsabilità della classe dirigente, dei ministeri democristiani succedutisi alla P.I. e, dobbiamo ammettere, talune complicità delle opposizioni laiche e di sinistra e dei sindacati, capaci di esprimere interessi, non altrettanto idee e prospettive: ma anche quelle della pedagogia nazionale[4], pervicacemente chiusa nelle accademie e nella diffusione di omelie itineranti, quanto lontana dai luoghi dove quotidianamente si fa scuola. Di giorno spesso acerrima nei confronti della politica, di notte spesso a lei voluttuosamente abbarbicata, incapace insomma di trovare la via di una sua ricerca a di una sua autonoma elaborazione da trasferire in confronti aperti e chiari.
3.
La situazione è tale che tra testi legislativi e scuola e insegnanti il filo di raccordo è divenuto quasi del tutto impalpabile: si veda la 517, la legge più innovativa (programmazione, obiettivi, valutazione, sostegni, verifica, recupero, curricolo), si veda la riforma della scuola media che pure ha portato avanti le richieste pedagogicamente più avanzate. I discorsi si sono in gran parte fermati sui testi e sulle riviste.
Che fine farà la riforma della scuola elementare la cui commissione di primo studio è già stata varata? E quelle della secondaria di cui non si sa niente? E quella universitaria? Ma è veramente credibile che si possa trasformare e innovare la scuola italiana (quella dei bambini e quella dei giovani), umanizzarla e modernizzarla, saldare i suoi processi formativi a quelli del lavoro (fare coerente cioè un lungo terreno di cultura) senza un progetto unitario che vada dalla scuola dell’infanzia all’università, che rifiuti i percorsi riformistici, parzializzati (solo illusoriamente più facili), secondo i vecchi ordinamenti e che osteggi con rigorosa fermezza la sottoccupazione, la sottoprofessione, la sottocultura della classe docente così come si è venuta determinando in questi ultimi anni e infine non parta da un gigantesco progetto di riacculturazione e riprofessionalizzazione di quanti scelgono il lavoro dell’educare?
Il discorso così globale e totalizzante, per quanto possa costare, è il solo credibile: e il solo che possa sventare il convincimento che la scuola sia oramai una variabile, anzi la variabile, impazzita.
4.
Il decreto Andreatta ha bloccato e riportato indietro molte cose. Anche nel settore più vicino alla rivista.
Non si faranno più le 4.500 sezioni di materna statale in programma per il prossimo triennio e che avrebbero portato dentro alla scuola 80-90.000 bambini dei 600 mila che ne sono esclusi.
Così si allontana il traguardo della scolarizzazione del 90% dei bambini che secondo i conti ottimistici dei sindacati sarebbe stato raggiungibile nel giro di 8 anni, includendo nei conti – se intendiamo bene il discorso di Franco Quercioli sul precedente numero di questa rivista – un’ipotesi di assorbimento di scuole non statali (il 40% addirittura!) che è una ipotesi decisamente da ributtare, politicamente controproducente, culturalmente retrograda e rozza. (Ma su questo argomento che continua di fatto un’equivocità comportamentale che trascende la sola sigla dei sindacati, ritorneremo certamente).
Non ci saranno più i finanziamenti che avrebbero dovuto consentire ai comuni di aumentare le loro prestazioni nei riguardi della materna statale.
In realtà tutte queste cose e lo slontanamento della piena scolarizzazione condannano la scuola del bambino a restare ancora, e chissà per quanto tempo, un’istituzione parziale e indefinita; e a esporla a modelli altrettanto incerti, volubili, approssimativi oltre che a prospettive e a soluzioni improvvise e imprevedibili come si confà … alle cose e alle questioni di minor conto. Vale a dire riferibili al bambino.
5.
Ma intanto accanto a provvedimenti di questa natura, profondamente deleteri, convivono situazioni caotiche, incontrollate, costose. A cominciare dai 6.000 (e forse passa) precari, fatti soprannumerari, dislocati a caso, in parte utilizzabili in supplenze, in parte destinati a far da palo presso le direzioni didattiche, negati per norma a qualsiasi altra mansione.
Nate senza programmazione, senza programmazione adesso, per il calo demografico, accade che scuole materne statali si sopprimano, si trasferiscano, distribuiscano e ammucchino insegnanti, legittimino situazioni con giochi sottobanco, affidino orari, didattiche, aggiornamenti quasi esclusivamente alla buona volontà dei docenti.
Come si vede le opportunità educative che anche ai bambini lo stato nazionale riserva per l’anno che si apre, sono tutte, anche loro, dentro al dramma che la scuola pubblica da troppo tempo vive, aggravata da un decreto-legge che particolarmente, per giunta, la colpisce. Analogamente a quanto all’incirca sta accadendo in tutto il mondo dove i diritti del profitto obbligano i bambini, per primi, a restituire quanto di reale e di speranze avevano accumulato in questi anni.
Pessimisti? Noi o le cose?!
Nemmeno la voce laica di Spadolini in occasione del suo insediamento a capo di governo, si è fatta sentire. Sentire sulla scuola, vogliamo dire. Una dimenticanza, forse una rimozione.
Nemmeno rimarcate, il giorno dopo, dagli organi di informazione. Compresi quelli dei partiti che stanno al governo e stanno all’opposizione.
[1] In “Zerosei”, ottobre 1981, F.lli Fabbri, Milano pp. 2-3.
[2] Si fa riferimento alla decisione governativa di rinviare il pagamento di competenze arretrate ai dipendenti pubblici, tra i quali gli insegnanti. «… Il rifiuto di pagare ai dipendenti le loro spettanze, se i miei ricordi sono esatti, fu Introdotto in Argentina dal generale Ongania nella seconda metà degli anni ’60… Il ricorrervi e prospettarlo come atto di governo degno di apprezzamento è un altro segno della decadenza del costume amministrativo che ha investito il paese». (Guido Carli: «Andreatta con i conti in rosso» – La Repubblica 21 luglio 1981). (Nota in originale).
[3] Si fa riferimento al monte ore di gestione sociale, aggiornamento ecc. previsto dai contratti e in gran parte disertato, e, quel che è peggio, con la complicità silenziosa delle autorità scolastiche. (Nota in originale).
[4] Ha scritto di recente una seria e nota docente di pedagogia: “In effetti la facoltà di magistero è divenuta in gran parte una sorta di dopolavoro per maestri e una fabbrica di titoli aggiuntivi”. (nota in originale)