Della proposta di legge (prima 1260, poi “buona scuola” legge 107 del 13/07/2015) se n’è parlato molto. Ci si è impegnati moltissimo per cercare di inserire e conservare punti ritenuti qualificanti. Per oltre un anno c’è stato un grande impegno a molti livelli di cittadini/e attenti/e all’infanzia per sostenere un disegno di legge che si proponeva di aggiornare la normativa sul Nido (dopo oltre quarant’anni dalla legge istitutiva) e di avviare una prima riflessione sui diritti all’educazione dei bambini e delle bambine fin dalla nascita. Poi i testi ci sono cambiati tra le mani. Sembrava che … e poi sembrava …
Finalmente adesso una legge c’è. Non entriamo in valutazioni complessive, né in giudizi di merito. Proviamo ad attenerci ai fatti e limitiamoci all’articolo che delega il Governo a intervenire sullo zerosei.
Tutte le proposte legislative (d’iniziativa popolare o parlamentare) negli ultimi decenni sono sistematicamente naufragate all’ultimo passaggio nonostante le promesse della classe politica.
Questa volta siamo un piccolo passo avanti: ci sono le premesse perché nei prossimi 18 mesi qualcosa si muova. Ma quel qualcosa è tutto nelle mani nel Governo e nessuno oggi può darci certezze su cosa sarà quel qualcosa.
Dipende da noi, dalla pressione che riusciremo a sostenere per riempire di contenuti quell’evanescente qualcosa.
Il vero impegno e la vera mobilitazione devono partire da oggi. Ci sono aspetti su cui già ora si manifesta un consenso pressoché incondizionato: la generalizzazione della Scuola dell’infanzia, l’affrancamento del Nido dai servizi a domanda individuale, la necessità che ci sia un piano di sviluppo e di finanziamento pluriennale certo e consistente.
Se riuscissimo a garantirci questi risultati, già sarebbe una conquista e un passo avanti di non poco conto.
Ci sono poi questioni ancora in ombra e che qualche dubbio lasciano aperto.
Si parla di “zero-sei”: finalmente da un certo punto di vista, perché il bambino e la bambina non nascono a 36 mesi, perché ci sono più elementi di continuità nello sviluppo dal primo al sesto anno che dal terzo agli anni della primaria, perché per ragioni storicamente comprensibili hanno calcato il piede sulla definizione della Scuola dell’infanzia come “prima scuola” scivolando forse un po’ troppo nella scuola e trascurando il “prima”.
Ma buttar lì un’affermazione senza declinarla non serve a nessuno, crea solo confusione e disagio.
Qui si apre un impegnativo campo d’impegno:
– Quali sono le caratteristiche per sviluppare un progetto che riporti al centro il bambino, rispettandone i tempi e i ritmi di crescita e di sviluppo? Il Nido e la Scuola così come si sono articolati (direi “ingessati”) in questi anni rispondono ancora alla centralità del bambino? La grande professionalità messa in campo da educatrici e da insegnati per costruire una cultura dell’infanzia nel nostro Paese, come può contribuire a far crescere un approccio rinnovato all’educazione dei piccoli? Come possiamo affrancarci dall’appiattimento professionale che il richiamo verso la primaria esercita sulla Scuola dell’infanzia per ridar fiato all’orgoglio di lavorare con l’età più preziosa e strategica, con l’orgoglio di “educare” perché consapevoli che il bambino è corpo e intelletto e non ridurci a “insegnare”, a trasmettere contenuti? E come posiamo salvare l’equilibrio di una continuità educativa che inevitabilmente deve prendere il via dalla nascita e quindi saldare lo zero-tre con il tre-sei, senza strappi con il ciclo che viene dopo e accompagna il bambino almeno fino ai 14 anni?
– Si parla di poli infanzia che facciano dialogare tutto lo zerosei. Questa è una scommessa su cui dobbiamo sfidare la politica. Non basta affermare una potenzialità: vanno esaminate le condizioni e precisati gli strumenti. Dobbiamo mettere allo stesso tavolo gestori diversi: Governo centrale, enti locali, privato di vario genere. E tutto questo mentre il principio dell’esternalizzazione tout court sembra diventato un mantra, una legge naturale a cui non si può resistere. La certezza del posto di lavoro (per poche ormai, una specie in estinzione) non può renderci ciechi di fronte al depauperamento e alla deprivazione culturale e professionale che la mancanza del ricambio generazionale e la creazione di “riserve” chiuse e protette sta provocando al nostro lavoro rendendolo più faticoso, sempre meno gratificante, emarginandoci da quello che sognavamo potesse essere la nostra vita professionale con i bambini.
– Si parla di coordinamento pedagogico. Certamente un elemento positivo. Ma da chi dipenderà, da chi sarà formato, con che autorevolezza potrà muoversi tra tanti soggetti diversi e spesso tra loro competitors? E come può essere valorizzata l’esperienza e la competenza di chi da decenni lavora nei “servizi educativi” (servizi nel senso più alto della parola – senso che vale molto di più del termine scuola se appena appena ripensiamo alla lezione di don Milani e dell’educazione popolare)? Vogliamo mettere sul piatto anche il tema della possibilità di progressione di carriera anche per chi lavora con i più piccoli? Il coordinamento non è un passaggio molto più significativo e importante dell’ufficio di direzione risucchiato negli aspetti amministrativi e senza più anima?
La conclusione è che inizia adesso la vera battaglia. Perché nasca un vero ciclo educativo da zero a sei anni, c’è molto da definire e presidiare: ci aspetta il compito di vigilare, pressare, sollecitare perché gli scarsi cenni della delega non si trasformino in una manciata di mosche, perché dalle scrse indicazioni della delega emerga un progetto che apra prospettive d’innovazione e di attenzione ai bambini.
Forse non ce ne rendiamo pienamente conto, ma in questi mesi ci giochiamo i prossimi decenni. Le leggi che verranno abrogate e sostituite dal decreto del Governo hanno regolato il settore a partire dagli anni settanta del secolo scorso. È credibile che la normativa che uscirà entri prossimi diciotto mesi resterà in vigore per i prossimi decenni. Possiamo permettere di lasciarci scappare di mano il futuro nostro, dei nostri figli e dei nostri nipoti?
Possiamo nasconderci?
Le settimane, i giorni a partire da ora sono preziosi. Non possiamo lasciarci scippare l’occasione di essere protagonisti e costruttori/costruttrici del futuro.