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Un metodo per crescere i propri figli in Danimarca: la felicità

Enea Nottoli

Redattore e formatore RILA


Una moda o un reale sistema educativo? Una tendenza o una scelta calibrata e determinata? Un metodo alternativo e rivoluzionario oppure la riconquista del ciò che fu?

Sono questi alcuni dei quesiti o meglio, delle contrapposizioni che nascono sfogliando le innumerevoli pagine, reali e virtuali, che troviamo sul metodo danese di crescere i propri figli. Sfogliando queste pagine ci rendiamo conto di come l’idea del bambino stia prendendo forma, accompagnata nel suo percorso da un nuovo “tipo” di adulto, meno invasivo dal punto di vista “didattico” ma maggiormente invasivo dal punto di vista “empatico”.

Un messaggio semplice ma chiaro, un messaggio delicato ma allo stesso tempo talmente violento da spazzare, almeno in alcune realtà, anni e anni di teorizzazione e di indottrinamento pedagogico. La felicità che improvvisamente riprende il sopravvento e, con fare prepotente spazza via tutti quegli elementi che niente hanno a che fare con la crescita del bambino, con la realizzazione del suo percorso educativo, conoscitivo e accrescitivo; una felicità da condividere con i propri genitori e con coloro che li accompagnano giornalmente, attraverso le intricate via della crescita.

Parafrasando il titolo di uno straordinario romanza di Erich Maria Remarque[1], questa concezione educativa non dovrebbe portare niente di nuovo sul fronte pedagogico, in realtà sembra essere una rivoluzione epocale, che parte proprio da dove, in questi anni, la ricerca si è maggiormente concentrata sul benessere del bambino, sui suoi diritti e sul diritto ad avere un’infanzia “adeguata”.

Ma quali sono i capisaldi di questa felicità? Cosa vuol dire per un bambino e per la sua famiglia essere realmente felici?

Il tutto nasce, almeno dal punto di vista letterario, dal libro di Jessica Joelle Alexander e Iben Dissing Sandhal[2], le quali si sono chieste come mai, da tutte le ricerche effettuate in campo sociologico, emergesse un dato univoco: la Danimarca è il paese che più è in grado di rendere felici genitori e figli.

Ovviamente in un’analisi del genere sono molti gli elementi che vengono presi in considerazione, ma ciò che si evince, sin dalla prima osservazione, è che al centro di tutto c’è il benessere del bambino, dal quale partire per costruire una società all’avanguardia e in grado di soddisfare tutti gli standard qualitativi richiesti ad Paese civile e civilizzato.

 

La scelta di educare attraverso il PARENT

La tendenza è indubbiamente quella di lasciare al bambino il proprio spazio di crescita, la propria autonomia dentro la quale sviluppare le proprie caratteristiche emozionali, sociali ed anche culturali e, dove, la presenza dell’adulto debba ricoprire un ruolo di accompagnamento discreto e non invasivo e in contrapposizione.

Il gioco, l’autenticità, la ricostruzione degli aspetti negativi, l’empatia, il non dare gli ultimatum e l’intimità rappresentano[3] gli elementi essenziali dello sviluppo del bambino, di uno sviluppo equilibrato che li porterà, in un domani molto prossimo ad affrontare il proprio percorso accrescitivo, almeno nella maggior parte dei casi, in modo non solo “felice” ma anche estremamente costruttivo.

Il gioco assume un ruolo fondamentale, gioco inteso come attività libera e non condizionata da regole o imposizioni mediate dall’adulto; momento in cui il bambino possa sperimentare, conoscere e scoprire le proprie attitudini, i propri gusti ludici e le proprie inclinazioni. In questo frangente non solo riuscirà a sviluppare una serie di “destrezze”, ma imparerà anche a governare lo stress attivato dal rapporto con l’oggetto e dalla relazione con gli altri.

L’adulto non deve intervenire nei giochi, deve incoraggiare. Assegnare compiti, dare regole ai più piccoli può provocare una serie di situazioni stressanti, che non solo incidono nell’immediato, ma si ripercuotono indissolubilmente nei periodi successivi dello sviluppo.

Altro aspetto fondamentale è “educare” i bambini, sin da piccoli, all’onestà delle emozioni. Non sempre la vita ci riserva situazioni piacevoli, anzi, per questo è necessario essere onesti e preparare sin dalla tenera età i bambini anche alle emozioni negative, in modo che il sopraggiungere di esse non crei uno squilibrio troppo grande; solo in questo modo possiamo dotarli degli strumenti giusti per affrontare qualsiasi situazione si ponga di fronte a loro. La negazione della negatività non fa parte della vita reale, al contrario educare a trovare in ogni circostanza, anche la più spiacevole, dei dettagli positivi, permetterà di percorrere una via meno difficoltosa. Ristrutturare è una qualità che può essere appresa, per questo va insegnata ai bambini sin dall’inizio del loro percorso educativo e accrescitivo.

Spiegare e rispiegare; pensare che le parole spese non siano vane. Spiegare le regole e le ragioni per le quali dovrebbero essere seguite; far si che la realtà prenda il sopravvento sulla finzione in modo che possano fidarsi. Punire e minacciare non serve, al contrario è fondamentale spiegare come le cose funzionano realmente, in modo che il percorso sia una continua scoperta e riscoperta.

La felicità dunque passa attraverso una serie di fasi semplici ma allo stesso tempo complesse. Il rapporto che si crea tra adulto e bambino è quello che deve esistere tra pari, dove ognuno porta la propria struttura biologica e culturale e, dove, alla fine non prevale la legge del più forte. Lo sviluppo, dunque, si manifesta attraverso un processo in cui le difficoltà reali diventano un momento di crescita e accrescimento e non, come spesso avviene, un ostacolo da aggirare. Essere felici, per il bambino, equivale a crescere all’interno del contesto che lo circonda, vedendo riconosciuti quelli che sono i propri diritti.

 

Hygge

L’hygge[4] è un termine danese che indica la tendenza a trovare la felicità nelle piccole cose di ogni giorno. È, probabilmente, la riscoperta di un mondo semplice, ma allo stesso tempo ricco di elementi concreti in grado di accompagnarci in un percorso di crescita completo e rassicurante.

Nel suo libro Il metodo danese per essere felici hygge[5], l’autrice Marie Tourell Sǿderberg prova ad applicare il termine hygge al processo di crescita del bambino, mettendo in evidenza alcuni elementi molto interessati, colpevolmente passati in secondo piano nella ricerca sfrenata di una teorizzazione del tutto.

Secondo l’autrice includere l’hygge nel processo educativo del bambino, significa “fargli comprendere il significato di comunità e di presenza. Se i bambini hanno sperimentato spesso la presenza dei genitori durante l’infanzia, sanno cosa significa sentirsi riconosciuti a un livello puramente esistenziale – sono stato visto, ascoltato e conosciuto”[6].

Essere visti, ascoltati e conosciuti. Sembrerebbero dei diritti piuttosto semplici e acquisiti da parte di un bambino, ma spesso non è così. Più spesso il bambino risulta essere osservato, per poi essere collocato in una realtà quasi “parallela” rispetto a quella degli adulti, escludendolo così dal concetto di comunità sin dalla tenera età.

Ma non è solo una questione di comunità, è anche un fattore di concretezza: “coinvolgete i vostri bambini in incarichi concreti – assegnate dei compiti a ciascuno. Lasciate che vi aiutino a preparare la cena e cercate di mangiare insieme quanto più possibile”[7]. Ci riallacciamo dunque alla semplicità del gesto, dell’attività concreta che può diventare un’attività ludica libera: aiutare a preparare il cibo, in modo anche simbolico, vuol dire giocare con la manualità e con i prodotti naturali. Il gioco è libero, perché in grado di portare verso creatività diverse e molteplici.

Piccoli gesti, gesti concreti e quotidiani. Elementi che accompagnano e ci accompagnano sin dal primo giorno della nostra nascita. Il contatto, la considerazione, la gestualità semplice ma allo stesso tempo in grado di accompagnare.

Strumenti che ci appartengono ma che tendiamo a reprimere, attraverso la strutturazione del tutto che ci proietta nel caos attuale.

Allo stesso modo, dall’analisi dell’autrice, emerge un altro fattore primario, il diritto all’ozio.

“Nell’asilo di mio nipote, poco prima delle vacanze di Pasqua hanno appeso questo cartello:

Non dimenticate di dedicare un po’ di tempo al relax. È importante che i bambini passino del tempo a oziare in ciabatte senza tanti progetti, per quanto concepiti con le migliori intenzioni, come andare allo zoo, al cinema, ecc.

 

Con “oziare” intendevano dire trascorrere del tempo girovagando senza meta, staccare la spina e rendersi conto che l’hygge si può nascondere persino in un paio di ciabatte”[8].

Un termine che molto spesso viene utilizzato in modo dispregiativo, viene riconvertito nel suo valore originario, in grado di dare un senso positivo ad un’azione che aiuta il bambino nel proprio sviluppo. Non è importante occupare il tempo sempre e comunque, il bambino infatti non necessita di continui stimoli, bensì di utilizzare il proprio tempo in modo autonomo.

 

Conclusione

Essere felici dunque è una prospettiva importante non solo in relazione all’aspetto socio, politico economico; è una prospettiva che parte dalla nascita e da essa deve essere implementata continuamente.

Le tecniche, secondo gli insegnamenti che giungono dalla Danimarca, sono semplici, ma soprattutto sono all’interno del nostro percorso naturale.

La natura come contorno, il gioco come attività principale, la comunità come elemento di continuità. La Danimarca sembra aver preso una strada molto decisa nell’educazione dei bambini, una strada che porta direttamente alla felicità o, quanto meno, gli si avvicina molto.

Riprodurre un modello non è certo la strada giusta per imparare, ma forse provare ad utilizzare alcuni passaggi potrebbe essere interessante, soprattutto nella prospettiva di accedere ad una visione diversa e diversificata.

Riscoprire ciò che ci appartiene, sembra essere questo il messaggio che ci giunge dalla Danimarca. Un messaggio sicuramente da recepire.

 

 

[1] Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, 29 Gennaio 1929.

[2] Jessica Joelle Alexander, Iben Dissing Sandahl, Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori, 2016, Newton Compton, Roma.

[3] play, authenticity, reframing, empaty, no ultimatum, togeterness (PARENT)

[4] La parola hygge funziona come verbo, aggettivo e sostantivo: stiamo hygg-ando (verbo); la casa è hyggelig (aggettivo); è ora di un po’ di hygge (sostantivo).

[5] Marie Tourell Sǿderberg, Il metodo danese per essere felici hygge, 2016, Newton Compton Editori, Roma.

[6] Ibidem, pag. 53.

[7] Ibidem, pag. 55.

[8] Ibidem, pag. 57.

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