Loris Malaguzzi
É importante e molto utile per tutti, soprattutto per i giovani che lavorano nel nido, cercare di riagganciare la loro storia a quel po’ di storia che, avendoli preceduti, ha consentito il superamento e il conseguimento di una serie di studi e di obiettivi; ed è per questo che e stato possibile avere nel nostro paese un’istituzione cosi nuova, cosi isolata anche sul piano della cultura nazionale, rispetto e in confronto al livello europeo e mondiale; un’istituzione cosi concretamente importante, luogo di ulteriore conferma di molte ipotesi e di molte speranze. I nidi vengono dopo una lunga storia, non nascono all’improvviso, hanno dietro di loro un lungo processo, un duro e travagliato processo di avanzamento e di maturazione.
Senza le lotte, le battaglie che, dal Sessanta-Settanta ininterrottamente, il mondo femminile soprattutto e poi le organizzazioni sindacali e i partiti hanno saputo compiere, difficilmente il nostro paese avrebbe potuto conseguire nel 1971 la 1044, istitutiva finalmente dell’asilo nido.
Nella nostra società si fa sempre fatica a conseguire e a ottenere un’istituzione che veda protagonista lo Stato, l’azione pubblica, la responsabilità pubblica; ma finalmente anche nel nostro Paese lo Stato ha saputo arrivare alla scelta di produrre una propria scuola per i bambini dai tre ai sei anni, la scuola materna. Questa scuola, da noi, è una scuola che incombe, e una scuola che si intreccia con il nido ed è una scuola nei cui confronti non è improbabile che in tempi non lunghi noi dovremo scendere a una contrattazione estremamente ravvicinata su problemi e destini che ancora non abbiamo con molta chiarezza esaminati. Voglio dire che lo Stato italiano ha impiegato otto anni di battaglia parlamentare accesissima dal Sessanta fino al Sessantotto, per assumersi finalmente la gestione diretta, quindi la responsabilità, dell’educazione dei bambini fra i 3 e i 6 anni.
Tutto questo a sottolineare che la battaglia per realizzare qualcosa per i bambini è una battaglia lunga, oggi molto lontana dall’essere affrontata e superata e vinta. L’infanzia è un’entità che si presta al gioco più truccato: si bara sull’infanzia, si bara sul bambino, si bara sull’anziano, si bara su tutte quelle parti della vita di un individuo non direttamente connesse con valori di alta efficienza e di produttività. Questa è ancora la chiave culturale con cui noi dobbiamo avvicinare la totalità e la pluralità degli aspetti che sono dentro e fuori anche a un lavoro specifico qual è il nostro. (….)
Ci sono alcune considerazioni da fare, perché sono le questioni che dovremmo ritrovare nel nostro lavoro al di là delle proposizioni di ordine pedagogico.
In questi ultimi anni c’è stato un calo dell’attenzione dei politici nei confronti non tanto del nido, quanto dell’intera area dei problemi dell’infanzia. Dobbiamo prendere atto che anche i movimenti femminili hanno preferito perseguire altri modelli, altre questioni, altre rivendicazioni, altri principi. Fatto sta che le istituzioni infantili dal 1976 a oggi vivono in uno stato, dobbiamo denunciarlo di isolamento ideologico. Anche i sindacati credo si siano mossi e si muovano attraverso molte difficoltà, non solo perche oggi hanno grossi problemi rispetto all’occupazione. Ma anche perché i sindacati possono veramente attingere a livelli elaborativi alti e solo in un confronto serrato con le forze politiche: e là, dove le forze politiche da cinque o sei anni tacciono sui problemi dell’infanzia e della scuola, rinunciano a produrre scelte, i sindacati, volenti o nolenti, sono indotti necessariamente a camminare con le loro gambe: e molte volte le loro gambe conducono lungo strade sulle quali non è facile trovare il nostro filo conduttore.
I problemi del bambino non sono disgiunti dai problemi generali
Restano i problemi di ordine più sottile, che stanno vicino a noi che viviamo un’esperienza specifica qual è quella dell’asilo nido.
Di fronte alla crisi nazionale che investe il Paese dobbiamo stabilire qual è il tipo di comportamento che noi dobbiamo assumere nei confronti di quei problemi che sono strettamente intrecciati con il mestiere, con il lavoro, con i tempi, con i rapporti con i bambini, con i rapporti con le famiglie, con la qualità dell’offerta nostra ai bambini e con la qualità, la serenità, la tranquillità, la fiducia, con cui le famiglie aderiscono all’invito del nido e lì portano i loro bisogni e lì trovano una garanzia qualitativa di risposta. C’è un punto sul quale richiamare il nostro interesse; non credo che un’operatrice di nido possa possessivamente consumare i propri occhi solo in direzione del bambino e invece non li sappia arricchire continuamente attraverso l’attenzione per il bambino e insieme l’attenzione per i grossi fatti che condizionano anche la qualità del nostro guardare il bambino. C’e un tentativo di ridurre i Comuni ad agenzie di spesa per conto dello Stato. I Comuni oggi sono le istituzioni elettive, più intimamente dentro le situazioni del territorio; e una nostra capacità e anche quella di essere loro interlocutori, in un confronto anche duro ma in situazioni reali.
Dobbiamo richiamare la nostra attenzione su alcune circostanze.
La prima: e in atto una contrazione del sistema pubblico del nostro Paese. Cosa significa? Che c’è un tentativo in atto di scardinamento di una serie di conquiste fatte anche attraverso decreti legislativi, per ricostruire invece una piena pertinenza dello Stato a decidere su una linea di tendenza che contrae il suo investimento, la sua capacità di presenza protagonistica all’interno dell’efficienza delle strutture. Il che vuol dire una contrazione del sistema pubblico, vuol dire esattamente aprire, dilatare invece un’esperienza di ordine privato: per cui non saremo solo chiamati a misurarci nei confronti dei problemi che ci arrivano dalla stretta finanziaria ma dovremo anche trovare un modo con cui dare tanta identità al nido, e al nostro lavoro, da far sì che chi voglia far passare l’istituzione privata venga a trovarsi di fronte ad uno scontro al più alto livello possibile e non al più basso livello possibile. E vero che una parte dei servizi pubblici non funziona, ma non è vero assolutamente che da qui si possa derivare una filosofia totalizzante che nega la possibilità da parte del servizio pubblico di trovare i mezzi per impostare i servizi in termini di efficienza, di correttezza, di sensibilità, di civiltà; o la capacità di portare ulteriori materiali di riflessioni, di arricchimento rispetto ai problemi che investono le questioni.
Sul piano pedagogico sta passando la linea che dice: ma come, cosa parlate di pedagogia, di didattica, di osservazioni, di ricerca? … oggi, visti guasti che la scuola fa, visti i guasti che i servizi pubblici fanno, conviene andare verso un ritorno, verso forme più semplici di rapporto, più sane, eticamente più corrette, moralmente più capaci di far fronte ai problemi attuali.
Chi ha questa immagine di un’educazione affidata alla passione, all’istinto, ai vecchi modi di una volta, di qui a poco introdurrà il modello del bambino che può come una volta andare a balia, che può andare verso le balie di palazzo: alcune proposte cercano di enunciare un modello di rapporto eminentemente affidato a una risposta di semplice bisogno, dove nessuna cultura è necessaria, con nessuna preparazione specifica a monte, con nessuna necessità di aggiornamento che salvaguardi la qualità del rapporto.
I maestri vengono ripresi e ridecantati nelle riviste come animatori di vocazione di solitudini e voi capite quanti discorsi che avete fatto fin qui oggi siano lontani da immagini di questo tipo, che sono immagini spaventosamente liriche e spaventosamente false, per cui il bambino viene ricondotto a essere un libero, fiero, autonomo pensatore che cresce per conto suo.
Vengono avanti ancora altre questioni sottili, come la solidarietà fra gli oppressi, gli emarginati, gli handicappati, indicata come traguardo di avanguardismo operativo: e allora si creano le associazioni, e le vediamo già crescere, per cui gli handicappati assistono gli handicappati, gli alcolisti allevano e curano gli ex; è una mitologia che ritorna con una forza prorompente cercando anche di trovare una sua quadratura, estremamente pericolosa, da un punto di vista teorico. Tutto questo per dire che la questione non è semplice e che noi dobbiamo decidere alcune cose rapidamente. Dobbiamo capire che l’asilo nido deve farsi carico di tutte queste responsabilità e riflessioni e ripartire di qui per ricostruire un’identità di lavoro, una professionalità dell’adulto, un orientamento di carattere culturale a livello dell’educazione del bambino piccino: deve ritrovare rapidamente una sua identità chiara, dove viene espresso il meglio della ricerca teorica, che e molta, e riuscire a ritrasferirla in chiave didattica e operativa, tessendo un dialogo, un colloquio, un rapporto con le famiglie, con l’esterno; l’asilo nido deve cioè rapidamente assumere una sua identità culturale, una sua capacità di risposta piena, accomodando tutte le questioni a monte, che abbiamo visto essere ancora così numerose e che sono quelle che puntualmente interferiscono ogni giorno col lavoro che noi facciamo: perché di fronte ai piani di lavoro, alle programmazioni nostre troviamo ogni giorno una specie di controforza che smorza, che uccide, che soffoca, che supplica le questioni già molto impegnative che noi dobbiamo andare ad affrontare. (….) .
Pedagogia tra attenzione sociale e impegno politico
Questo vuol dire che, mentre affrontiamo i problemi del nido, della pedagogia, dobbiamo anche tener presenti alcune linee di condotta.
Bisogna che noi riusciamo a sprigionare le forze, le energie, le attenzioni e una voglia di creare movimenti di lotta anche perché la 1044 non si fermi.
Dovremo fare in modo che la 1044 continui esemplarmente a funzionare e a costruire i nidi laddove la domanda sociale c’è.
Dobbiamo bloccare la chiusura dei nidi. É probabile che anche nelle nostre zone la tentazione di chiudere qualche nido possa esserci, magari facendo affidamento sul calo della natalità e giocando su quella, con armi direi sopraffine; magari col meccanismo cinicamente attuato in alcune parti del nostro Paese, che è quello di alzare il costo della retta fino a rendere impossibile all’utenza di poter approfittare del nido; dopodiché, avendo potuto dimostrare che il nido c’e, ma che viene frequentato da pochi bambini, si può affermare che è molto meglio tenere i bambini a casa e semmai dare cinquanta, cento mila lire alla famiglia perché se lo tenga a casa: badate che anche questa non è una questione da dimenticare.
Abbiamo da richiedere la messa in funzionamento di tutti i nidi costruiti e non funzionanti.
Dobbiamo fare in modo di ricreare un movimento; da soli non ce la facciamo, ma se abbiamo con noi i movimenti delle donne, i movimenti dei sindacati, i movimenti dei partiti, se abbiamo con noi le riviste specializzate, se i ricercatori non fanno solo i ricercatori di laboratorio ma fanno i ricercatori anche fuori dal laboratorio, bene, allora saremo ancora più forti per cercare di sbloccare una situazione simile.
Abbiamo bisogno che vengano accelerati i lavori di costruzione dei nidi: ci sono nidi che vengono costruiti in archi spaventosi di tre, quattro anni, per cui quando sono conclusi occorre pagare un alto scotto ad una manutenzione che non c’è stata per gli stessi materiali.
Dobbiamo non consentire che, come sta già accadendo, si faccia una proposta di utilizzazione diversificata dell’immobile, garantendo che si tratta di una soluzione provvisoria.
Dobbiamo fare una battaglia contro i residui passivi. Nel nostro Paese, nel meridione, esistono duecento miliardi di residui passivi che nessuno può spendere in altro modo se non facendo i nidi; i nidi non vengono, i nidi non nascono, duecento miliardi stanno lì fermi.
Il che vuol dire che il tema prospettiva dei nidi in tutto il sud si sposta letteralmente per decenni e forse per secoli in avanti, con implicazioni che investono non solo il nido e i bambini, ma il costume, la cultura, l’identità delle donne, delle madri, delle famiglie; un blocco che ulteriormente immobilizza nel tempo un’evoluzione che pure aveva in qualche modo iniziato il suo corso.
Quindi si tratta di parlare di nido in un contesto di analisi anche di ordine politico, che tenga conto di questi fatti. Occorre probabilmente immettere nelle cose che noi vogliamo fare anche il tema dei rapporti con la scuola materna, con la scuola dell’infanzia, scuola statale, scuola dell’ente locale, scuole private. Credo che i nidi debbano tutti inserire nell’economia generale del loro lavoro anche agganci, possibilità di scambi e di contatti, di colloquio o di azioni magari realizzate insieme, con la scuola materna o con l’istituzione che immediatamente segue.
Abbiamo bisogno di migliorare i rapporti con gli Enti comunali; capisco che il rapporto con i Comuni può essere un rapporto non sempre pieno, non sempre capace e sollecito, però badate che il nostro destino è legato necessariamente alla sensibilità che i Comuni devono acquisire anche tramite il nostro intervento; qualcuno diceva ieri che gli amministratori dovrebbero fare con noi corsi di aggiornamento, e qui c’è veramente la chiave non tanto per l’aggiornamento dell’amministrazione, ma per una definizione corretta e produttiva dell’aggiornamento. Occorre distinguere aggiornamento da aggiornamento.
Io sono del parere che noi andiamo verso un’epoca in cui il fervore, il fragore degli aggiornamenti, se non stiamo attenti, per molti aspetti ottunderà l’autenticità dei problemi e l’oggettività primaria dei temi, delle questioni su cui noi invece dovremmo avere una capacità anche di misurare la qualità dell’aggiornamento; il che vuol dire che l’aggiornamento vale solo se garantisco possibilità di cambiamento e di modificazione dello stato, della condizione di lavoro. Se l’aggiornamento non produce un arricchimento, una modificazione, un cambio della situazione, fallisce tutti i suoi obiettivi salvo forse quelli di dare lustro, penne di pavone a qualcuno e a livello della Regione, a livello forse dei Comuni. Il che vuol dire che l’aggiornamento per noi è un aggiornamento di ordine sferico, dove la totalità dei componenti in qualche modo trova la sua capacità di partecipazione e di adesione, poiché quando si parla di pedagogia si parla anche di modificazioni sul piano amministrativo, sul piano delle scelte politiche e viceversa. Ciò vuol dire che dovremmo veramente andare verso un incontro in cui i nostri problemi sono francamente visti insieme a quelli degli amministratori, dei politici. Non abbiamo altra strada, è questa la strada che noi dobbiamo percorrere. Credo che si vada verso la necessità di dare una connotazione molto più esplicita e uniforme ai nidi, senza con questo dire che i nidi devono seguire una connotazione rigida.
I nidi devono costruirsi sulla base di un’identità personale legata alle situazioni locali, ma al di là di questo, i tratti non possono essere né forzosamente uguali, identici, né forzosamente diversi, diversificati per una polemica di “distinguo” assolutamente piccolo-borghese. Noi abbiamo bisogno di dare quindi un’identità seria ai nostri asili nido.
Avere l’orario di lavoro, per la situazione di lavoro del personale che ci lavora dentro è un fatto determinante. Dobbiamo andare verso un orario di lavoro che possa consentire all’adulto di esprimere il contenuto di un mestiere così delicato, che sappia come tempo e come qualità adeguarsi alla domanda che viene da parte del bambino, da parte della famiglia, che sappia scomporsi subito in due parti: una parte dell’orario che va in direzione di un lavoro immediato con i bambini, e una parte di lavoro che va rigidamente, rigorosamente, fattivamente salvaguardato, che difende i tempi attraverso i quali l’adulto prende le sue distanze, riflette sulla giornata, pensa ai problemi che ha avuto, raccorda gli strumenti per il giorno dopo, pensa con gli amministratori, ragiona con le famiglie, produce tutta una serie di altre operazioni senza di cui la connotazione del nido non c’è, non può esistere. Si chiude al sabato, se il sabato consente una riduzione e un miglior impiego delle ore di lavoro; andiamo verso la difesa di una quota di lavoro che vada in direzione di una trilogia di obiettivi:
1) l’autoaggiornamento, che vuol dire autoverifica del collettivo attorno ai problemi concreti, urgenti, caldi, immediati che quotidianamente affronta;
2) la gestione sociale. Il nido non sta in piedi se non partecipa, ma non sta in piedi se non è partecipato; fate tutte le operazioni che volete, ma se la famiglia non l’avete con voi, se la famiglia non c’è, se la famiglia non vive, se la famiglia non è problematizzata dentro con noi, le vostre capacità diventano inutili;
3) tutti gli aspetti organizzativi, didattici, etici, comportamentali, tecnici che occorrono per salvaguardare un intreccio tra l’utenza interna e l’utenza esterna; non per cercare un obiettivo di egualizzazione, ma per conseguire l’individuazione di un terreno agibile su cui le esperienze dei bambini e delle famiglie da una parte e le esperienze del nido dall’altra, possano confrontarsi continuamente lasciando aperto un modello interlocutorio che è il modello permanente dell’educazione che noi dobbiamo conseguire.
Le ultime questioni a me pare siano quelle capaci di darci qualche indicazione di lavoro per il futuro. Non possiamo perdere il patrimonio di questi giorni.
Credo sia possibile anche creare gemellaggi, li dovete chiedere voi, gemellaggi tra situazioni periferiche e altre situazioni più o meno periferiche. Credo sia possibile a tutti voi cercare di organizzare un’incentivazione dello scambio conoscitivo, cercando, con libere scelte, l’interlocutore con cui incominciare a tessere un rapporto di scambio e un rapporto di conoscenza; credo che anche questa sia una delle questioni che può portare a risultati positivi.
Intervento al Convegno “Il nido educativo”
Castelfiorentino, aprile 1981