Marco Belpoliti
Le scuole nei boschi sono sempre esistite. Perché l’edificio scolastico era situato in una località montana, perché dietro l’aula c’era un bosco di querce o un faggeto, perché per andare a scuola a piedi, spesso d’inverno e con la neve per terra, si dovevano percorrere chilometri su sentieri o stradine in salita tra alti abeti, perché la Natura non era una cosa lontana, ma assai vicina, qualcosa più di temuto che non desiderato.
Chi viveva tra le montagne, Alpi o Appennini che fossero, amava la natura e insieme la pativa. Le scuole rurali italiane univano nella medesima aula scolari di età differenti, e offrivano loro nei momenti di pausa, negli intervalli, la possibilità di arrampicarsi sugli alberi, di lanciarsi palle di neve, di scorrazzare trai campi o di cercare tra i cespugli. C’è stato un tempo in cui la Natura era la presenza normale per milioni di bambini, un oggetto di gioco a tratti temibile, a tratti amichevole. Oggi le Forest Kindergarten nate in Danimarca negli anni Cinquanta permettono ai ragazzi di familiarizzare con tronchi e prati, rami e zone umide, di sdraiarsi su letti di foglie morte o di giocare a nascondino tra boschi di betulle, o ancora di scivolare giù da avvallamenti e dossi. La Natura è una realtà vicina e insieme remota. In Italia, poi, ci sono la tradizione delle Forest Kindergarten nate in Danimarca negli anni Cinquanta dove ancora adesso i bambini possono studiare e riscoprire il contatto con la Natura ogni anno migliaia di classi composte di ragazzini di città che s’approssimano alla Natura attraverso soggiorni settimanali in luoghi di mare o di montagna, che la scoprono o riscoprono mediante esplorazioni e sperimentazioni, sviluppando così una curiosità che i rari parchi urbani non consentono, oppure addirittura ostacolano. Siamo estranei alla Natura e nel contempo ambiamo profondamente il contatto con i suoi spazi, che immaginiamo incontaminati. La Natura pensata come un’immensa riserva a disposizione. Vedere questi scatti di ragazzini seduti in cerchio nel bosco, che scherzano inginocchiati nella neve o che giocano tra l’erba alta, suggerisce l’idea di un’identità naturale che non è più data immediatamente, ma che deve essere conquistata attraverso un’istruzione apposita, mediante una sorta di “istruzione” al naturale, e persino al selvaggio; è l’idea della Natura amica che pervade il nostro immaginario, a partire dal cibo fino ad arrivare a gesti e comportamenti quotidiani.
Riscoprire quello che abbiamo dimenticato attraverso i cuccioli d’uomo è un modo per restare umani: grazie a alberi, erbe e fiori. Ne scaturisce, dicono i pedagogisti del Nord, un benessere anche psicologico, una salute mentale, che solo il regno vegetale con le sue presenze ei suoi silenzi, i suoi tempi centenari, se non millenari, riesce a dare anche ai bambini. Serenità che non si ottiene passeggiando nelle città o nelle metropoli congestionate. Nella Natura ciascuno sembra ritrovare per incanto se stesso, il sé che è stato e spera che ancora sarà.
Qualcosa che abbiamo perso, ma che possiamo sempre ritrovare abbandonandoci a lei.
R, La Repubblica, giovedì 9 febbraio 2017