Renzi ha detto che in Italia c’è un milione di bambini poveri che vanno aiutati dal governo.
Poiché a suo tempo sono stato bambino povero anch’io, provo a ricordare come ho vissuto la mia povertà. Appena nato abitavo in Via Carteria 44 in centro a Modena. Nella casa vecchia e buia abitavamo noi tre e la nonna con lo zio Carlo.La casa era buia perché le finestre guardavano su di un cortiletto interno che era il retro di un’osteria. C’era un’unica finestra che dava sulla strada, ma la strada era così stretta che il signore che abitava dall’altra parte della strada poteva tranquillamente lanciarmi delle caramelle ogni volta che mi vedeva. Poi le sorelle del papà sono diventate maggiorenni e sono dovute uscire dal collegio delle suore dove erano state messe alla morte del nonno, perciò in quella casa non c’era più posto per tutti. Così io e la mia famiglia abbiamo traslocato agli “stalloni”un lungo stabile così chiamato perché erano le stalle del duca di Rainusso e al primo piano, nei fienili, avevano ricavato trenta stanzette ognuna delle quali ospitava una famiglia in attesa di ottenere la casa popolare. I gabinetti erano quattro per tutti in fondo al corridoio. Il bagno lo facevamo dentro ad una vaschetta scaldando l’acqua con la stufa a legna. Siamo arrivati agli stalloni quando io facevo la prima elementare, ma la casa popolare ce l’hanno assegnata che io facevo la quinta. In prima ho dovuto cambiare scuola e da una scuola del centro città sono passato in una piccola scuola di periferia dove ho fatto la figura del “cittadino”perché scrivevo già con la penna a inchiostro mentre loro scrivevano ancora a matita. In quinta invece ho continuato ad andare nella stessa scuola per non cambiare proprio prima dell’esame d’ammissione alle medie. Semplicemente mi toccava alzarmi presto la mattina, inforcare la bicicletta e fare un bel po’ di strada per arrivare a scuola.
Le case popolari erano una decina tanto che lo chiamarono “Villaggio spontaneo”e le riempirono con le famiglie di sfollati che avevano trovato una sistemazione provvisoria come la nostra. Nel quartiere eravamo tutti bambini poveri, quasi tutti, finite le elementari andavano a lavorare come garzoni, o al più provavano a frequentare il primo anno dell’Avviamento professionale, ma quasi sempre venivano bocciati e raggiungevano quelli che già lavoravano.
Io fui uno dei pochi che riuscì ad andare alla scuola media e addirittura a proseguire gli studi alle superiori. Anche se dovetti rinunciare al Liceo perché figlio di operai e i miei genitori accettarono che andassi alle magistrali perché almeno dopo quattro anni avrei avuto in mano un pezzo di carta.
Sulla base della mia esperienza di bambino povero posso affermare che per aiutare i poveri anche oggi occorre che i genitori lavorino, possano abitare in una casa degna di questo nome e magari non in un ghetto. Non serve un’elemosina di 100 euro ma occorrono degli investimenti strutturali sulla qualità della vita di questi bambini. A Modena ad esempio era stato istituito un fondo per le famiglie che avrebbero rinunciato a mettere il bimbo al nido per le tariffe troppo elevate.
Un bambino nato in Italia dovrà avere i genitori in possesso del “permesso UE per soggiornanti di lungo periodo”. Per ottenerlo bisogna dimostrare un reddito superiore a 5.830 € annui e aver superato un test di conoscenza della lingua italiana. Inoltre la famiglia deve avere “un alloggio idoneo secondo i parametri sull’edilizia residenziale pubblica e che risponda ai requisiti certificati dalla ASL”. Inoltre il papà e la mamma devono essere non pericolosi per l’ordine pubblico.
Io avendo vissuto fino all’età della classe quinta negli alloggi sopra descritti, non avrei mai ottenuto la cittadinanza italiana. Inoltre il mio papà non avrebbe certamente superato il test di conoscenza della lingua italiana perché aveva potuto frequentare solo fino alla terza elementare. Mi avrebbe consentito di avere la cittadinanza, con 11 anni di ritardo, Amintore Fanfani (padre nobile di Renzi) concedendo alla mia famiglia la casa popolare idonea e corrispondente ai parametri.
Se vuoi la cittadinanza, “devi studiare” l’italiano, ma il verbo studiare non ammette l’imperativo come il verbo amare. Il problema è piuttosto: il nostro governo ama i bambini poveri o ha anticipato la campagna elettorale?
Tremate bambini, Renzi vuole occuparsi di voi!!! Aiuto si salvi chi può!