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Sguardi sulle routine quotidiane

Birthe Hedegaard Jensen

Direttrice del Junibakken, Aarhus, Danimarca (Centro per i bambini 0-6 ans)


Traduzione : Monica Corbani 

Secondo quanto afferma, la Bellmunt Nursery School di Barcellona non si accontenta di garantire semplicemente che i bambini siano sazi in occasione dei pasti, che diventano anzi un’occasione di apprendimento di autonomia, linguaggio, relazioni, abilità motorie, competenze necessarie per imparare a mangiare da soli. Al nido l’accento è posto soprattutto sull’attenzione al bambino, sull’assistenza e sul contatto fisico – particolarmente durante il pasto. La relazione tra bambino/a e educatore/trice diventa quindi una priorità.

Durante la mia visita, ho assistito ad un pasto svoltosi secondo le modalità tipiche di un nido catalano, che, a dire il vero, assomigliano molto a quelle di un nido danese. Anche se bisogna riconoscere che, a Belmunt, esso assume un’importanza molto maggiore, sul piano culturale e valoriale, che in Danimarca. Il pasto principale si compone di diverse piccole portate, e i bambini mangiano uno dopo l’altro. I più piccoli sono sistemati in braccio a due studenti che ogni giorno danno una mano all’ora dei pasti, mentre i più grandi mangiano a un tavolino in compagnia di un educatore o un’educatrice. Anche i piccoli di età tra uno e due anni sanno che devono aspettare il loro turno giocando in una stanza adiacente. Ciò non toglie che possano avvicinarsi ai tavoli, scambiare due parole con l’educatore e tornare a giocare. Per ogni turno ci sono tre gruppi di bambini che assumono il pasto con calma, senza fretta. La priorità viene data al contatto fisico tra i più piccoli e gli adulti.

Anche nei nidi danesi i bambini mangiano a gruppetti, ma di solito tutti insieme. All’arrivo dei carrelli con le vivande, tutti i bambini sono già seduti a tavola e pronti a mangiare. Non appena un bambino è in grado di mangiare da solo, sta seduto su un seggiolone, accanto a un adulto. In genere il cibo è fornito da un servizio di catering. Nei centri di accoglienza diurna danesi, di solito i bambini mangiano pane di segale, perché è compito dei genitori preparare un pasto caldo per il pasto serale.

Tra un pasto a Barcellona e un pasto in Danimarca c’è quindi una notevole differenza sia di struttura che di significato. Tuttavia, in entrambi i paesi il pasto sembra essere un momento di tranquillità in cui tutto ruota intorno alla convivialità – buon umore, presenza gradevole, assistenza affabile, rapporti cordiali – e allo sviluppo delle abilità adeguate (bere da una tazza, mangiare da soli, assaggiare nuovi alimenti). Nel centro danese di accoglienza diurna abbiamo sperimentato diversi modi di assumere il pasto. A volte molti bambini mangiano insieme nella stessa stanza, a volte hanno una “lunch box” da consumare all’aperto indipendentemente dal tempo atmosferico. Di anno in anno, abbiamo concentrato le nostre sperimentazioni sull’importanza attribuita all’allestimento delle strutture e alla concezione degli spazi interni, legati alla pedagogia adottata. Ci siamo allontanati dalla psicologia dello sviluppo tradizionale, in cui si considera la pedagogia all’interno del rapporto bambino/a-educatore/trice.

Sul piano teorico, in Danimarca, ci sono stati di grande ispirazione Dion Summer e l’americano Jerome Bruner che, negli anni ‘90, hanno allargato il concetto di accoglienza tradizionalmente limitato al rapporto bambino/a-educatore/trice. Adesso il termine “accoglienza” si applica in modo più ampio ai programmi e alle situazioni quotidiane.

L’accoglienza di un bambino può quindi essere pensata in due diverse prospettive:

  • quella dei programmi e delle strutture
  • quello dell’incontro bambino/a-educatore/trice.

Quello che ci interessa, oggi, è sapere se gli educatori organizzino la struttura e un programma specifico basandosi su valori scelti in funzione della prospettiva peculiare del bambino o se tengano conto unicamente di esigenza di ordine pratico, quelle che permetteranno al centro di accoglienza di affrontare nel migliore dei modi una giornata impegnativa. L’approccio pedagogico deve naturalmente essere presente, ma può essere gratificante per il personale analizzare se una data struttura si fondi su valori prodotti da matura riflessione o sulla pratica di routine implicite, tipo “cos’è che di solito funziona meglio”.

In Danimarca si è appena concluso un dibattito professionale di alto livello, particolarmente costruttivo, su quelli che potremmo chiamare “tempi transitori nell’accoglienza”. Cosa succede (in termini puramente pedagogici) nei momenti di transizione tra un’attività e l’altra? Una riflessione che è emersa in tutta la sua importanza con l’elaborazione dei programmi nazionali relativi alle competenze da acquisirsi da parte dei bambini da 0 a 6 anni. Con l’attuazione dei temi del curricolo nazionale, probabilmente l’attenzione si è concentrata eccessivamente sulle attività dei centri di accoglienza. Adesso stiamo definendo i requisiti in termini di obiettivi e criteri nei percorsi che mirano allo sviluppo del linguaggio dei bambini, alle loro abilità sociali, allo sviluppo psicomotorio, alla creatività e alla consapevolezza della natura.

Nell’elaborare contenuti e obiettivi legati ai programmi educativi, si rischia di perdere di vista la pedagogia, in particolare in molte situazioni quotidiane: i pasti, i momenti in cui ci si veste per uscire, quelli di transizione tra un’attività e l’altra, ad esempio tra il pasto e il riposo. È appassionante riflettere su queste routine quotidiane e individuare con precisione l’importanza della presenza vigile di ciascuno, dello spazio lasciato all’autonomia, all’empatia, alla capacità di arrangiarsi da soli o di saper chiedere aiuto ad altri nelle molte situazioni in cui il bambino non fruisce dell’accompagnamento di un adulto. Tutte situazioni che si riproducono un giorno dopo l’altro. Spesso ci limitiamo a pensare l’apprendimento attraverso il programma, ma dedichiamo un’attenzione sufficiente agli apprendimenti che si realizzano in occasione delle routine quotidiane – come il pasto?

Anche durante quelle routine il bambino apprende: quando comunichiamo con lui, quando giochiamo con lui, quando facciamo sciocchezze insieme, quando ci vestiamo per uscire, quando lo coinvolgiamo in un’attività di ordine pratico, …

In futuro i programmi saranno sicuramente più interessati alla creazione di un contesto di apprendimento che agli apprendimenti realizzati nelle attività volutamente organizzate. Con questo, respingiamo l’idea che il bambino apprenda solo durante le poche ore di attività del mattino.

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