Chiara Saraceno
Diventano padri sempre più tardi, ma sono padri sempre più coinvolti. Prima ancora della nascita del/della figlia sono presenti accanto alla futura madre nei corsi pre-parto e soprattutto sulla scena stessa del parto. Se c’è qualcuno accanto alla donna in sala parto, infatti, in oltre il 90 per cento dei casi si tratta del padre (era il 60 per cento nel 2000), anche se con una differenziazione tra Centro-Nord (dove la percentuale è sempre superiore al 90 per cento) e Mezzogiorno, dove (salvo che in Molise) è sempre inferiore, toccando il punto più basso, 57,6 per cento, in Campania. Soprattutto i padri sono presenti nelle attività quotidiane di cura dei figli piccoli, di nuovo, più al Centro-Nord che al Sud.
Il primo Rapporto sulla paternità in Italia, frutto di una collaborazione tra ISP (Istituto di studi sulla paternità) e Dipartimento di Scienze della formazione di Roma Tre, utilizzando dati del1’Istat e di ricerche specifiche, offre uno spaccato di come stia cambiando anche in Italia, come in altri Paesi sviluppati, il modo di essere e fare i padri. Un modo in cui tenerezza e cura sono rivendicati e agiti come propri anche della paternità e non solo della maternità e dove la collaborazione tra padri e madri è intensa, anche se non del tutto paritaria, stante che le madri, anche quando sono occupate, effettuano in media il 61 per cento del lavoro di cura e hanno anche la responsabilità delle attività più di routine (dar da mangiare, vestire, far addormentare i bambini o semplicemente tenerli sotto controllo), laddove i padri hanno la maggioranza delle attività ludiche.
Solo una piccola percentuale dei padri italiani (il 13 per cento secondo i dati Inps), inoltre, prende almeno una parte del congedo genitoriale, a differenza di quanto succede in altri Paesi, come quelli nordici, Germania e anche Portogallo, dove il congedo genitoriale è molto meglio compensato, senza trascurare il fatto che la precarietà riduce di fatto o di principio la possibilità di chiederlo.
La maggiore presenza dei padri nella cura dei figli piccoli, la loro rivendicazione al diritto alla tenerezza, rappresenta una rischiosa “femminilizzazione” della figura paterna a scapito dell’autorevolezza e della capacità (e responsabilità) di dare regole e stabilire confini? È una preoccupazione, ben nota nel dibattito pubblico, che aleggia qua e là anche nel rapporto ed è, a mio parere, fondata su una concezione dell’autorevolezza basata sulla distanza più che sull’assunzione della responsabilità dell’educazione nella vita quotidiana e tramite 1’agire quotidiano. Dopo tutto, le madri possono e sanno essere autorevoli anche nelle e tramite le attività di cura (dando regole, indicando procedure, rassicurando e spronando). Perché non dovrebbero esserne capaci anche i padri? Certo, c’è il rischio, per i padri come per le madri, che si scambi il rifiuto dell’autoritarismo per rifiuto dell’autorevolezza tout court, quindi per rifiuto dell’assunzione di responsabilità. Ma è un rischio, appunto, non un destino inevitabile.
Piuttosto, nel rapporto viene segnalato un altro possibile rischio: che finita l’ubriacatura del periodo “eroico” della paternità nella primissima infanzia, i padri si ritirino in buon ordine, tornando a vecchi modelli, senza affrontare le difficoltà e le sfide di una paternità che, analogamente alla maternità, deve essere costruita e cambiata ogni giorno, man mano che i figli crescono.
Il rapporto denuncia anche che, a fronte di questi cambiamenti nella paternità, in caso di separazione coniugale, i figli continuano a essere affidati prevalentemente alle madri. E vero, infatti, che, dopo 1’approvazione della riforma dell’affido nel 2006, nella stragrande maggioranza dei casi i tribunali decidono per l’affido condiviso. Ma, secondo i dati raccolti dagli estensori del rapporto, è un fatto solo formale e le cose sono rimaste sostanzialmente come prima, con i figli collocati presso la madre, che perciò mantiene più facilmente l’abitazione coniugale, mentre il padre ha “diritti di visita”, non una presenza paritaria come dovrebbe essere in linea di principio.
La Repubblica, 24 marzo 2017