
Enea Nottoli
Ogni cambiamento racchiude in se una serie di criticità che devono portare il gruppo di lavoro ad una riflessione attenta e profonda, evitando di prendere la strada apparentemente più semplice
Aprire i propri servizi al Lavoro Aperto vuol dire aprire le proprie menti ad un modo nuovo di concepire il bambino, di vedere i suoi bisogni e le sue esigenze; vuol dire mettere realmente il bambino al centro di un progetto pedagogico, che preveda una serie di interventi mirati al benessere dello stesso e di coloro che gli ruotano intorno.
Uno degli elementi fondamentali su cui dobbiamo assolutamente riflettere è la contestualizzazione in cui andiamo ad operare, solo così facendo potremo individuare l’elemento o gli elementi da cui partire per la nostra “apertura”.
Ciò che però deve caratterizzare ogni tentativo di entrare in un’ottica di apertura del proprio servizio è la capacità, da parte del personale di aprirsi al lavoro aperto. Il gioco di parole rende molto bene l’idea e ciò di cui parliamo, in quanto un vero e proprio percorso di cambiamento deve prendere il via dalla mente di chi andrà a lavorare in questa direzione.
Pensare di cambiare una routine, una dislocazione, un arredo o una modalità pedagogica senza aver prima riflettuto sul cambiamento ha poco senso e, anzi, rischia di creare una inutile confusione all’interno della struttura educativa.
Il cambiamento parte dunque dalla capacità di mettersi in gioco delle persone, dalla volontà del personale educativo e non di rimettersi in discussione e di colmare quelle che possono essere lacune più o meno evidenti. Deve dunque nascere un movimento interno, una riflessione continua e duratura che analizzi in modo razionale tutti i pro e i contro di un cambiamento più o meno radicale.
Dubbi, incertezze, certezze, volontà, contrasti, pro, contro: tutto deve essere messo sul tavolo della discussione in modo che ognuno possa sostenere liberamente le proprie idee e possa o meno, sposare un nuovo metodo di approcciarsi al bambino.
Ogni partecipante alla fase decisionale dovrà spogliarsi, o provare a farlo, di ogni pregiudizio regresso e provare a mettersi in discussione, non perché sino a quel momento sia stato un cattivo o un buon educatore ma perché da questo momento in poi dovrà valutare le situazioni in un’altra ottica.
Ciò che assolutamente non dovrà mancare in questa fase di cambiamento sarà il dialogo, che in alcuni momenti potrà essere anche critico, conflittuale, poiché ad essere messe in discussione saranno anni di buone pratiche e di “successi educativi”.
Concedere maggiore autonomia al bambino non vuol dire perdere il proprio ruolo educativo, ma anzi è il segno che al centro del nostro progetto c’è proprio il personaggio principale, colui che un domani dovrà necessariamente beneficiare delle nostre scelte.
Ecco, dunque, che in questo contesto, sicuramente più complicato e articolato vanno ad inserirsi una serie di considerazioni e riflessioni, che non devono fermarsi al solo momento o alle sole routine, ma che deve abbracciare un parterre più ampio.
È dunque opportuno soffermarsi su alcuni aspetti fondamentali, per far si che la riflessione progredisca in modo corretto e soprattutto in modo completo.
Non è cambiando le routine, o almeno non è solo attraverso questa azione che si abbraccia il lavoro aperto; non è dunque una questione che riguarda esclusivamente il pasto o il sonno del bambino a mettere sotto esame anni di pratiche, bensì è la nostra capacità di mettersi in discussione, di sradicare un passato prossimo fatto di tutta una serie di indottrinamenti e abitudini, pregiudizi e giudizi, che devono essere presenti in ognuno di noi ma che non devono condizionare completamente le scelte rendendole unidirezionali.
Che senso avrebbe presentare un diverso modello di pranzo se ciò non è stato preceduto da una riflessione più profonda? Che senso avrebbe arrivare una mattina nel servizio mettendo in discussione ciò che fino a ieri ha funzionato, almeno per noi, in modo corretto?
Ovviamente sarebbe un esercizio inutile, capace di creare solo confusione nei bambini e malumore in coloro che lavorano all’interno del servizio.
Ogni possibilità o opportunità di cambiamento deve partire dalla base, dalla volontà di chi vuole realmente cambiare. Tutti gli elementi che fanno parte del servizio educativo, coordinatore, educatori, ausiliari e genitori devono essere coinvolti in questo processo accettando quelle che possono essere le eventuali criticità, pronti a rimettersi in gioco continuamente.
Alla base di ogni cambiamento, piccolo o grande che esso sia, c’è sempre un percorso lungo e faticoso che alla fine esclude inevitabilmente qualcuno o qualcosa. In questo percorso bisogna avere la giusta lucidità per capire quali siano i campi su cui poter intervenire e quelli in cui, almeno inizialmente soprassedere.
Copiare, scimmiottare gli esempi che vengono proposti è sicuramente un errore, in quanto ogni realtà è diversa dall’altra e soprattutto, ogni gruppo di lavoro è diverso dagli altri ed ha una storia a se.
Aprire, dunque, non vuol dire far si che il pranzo diventi un qualcosa che non ci appartiene, bensì vuol dire mettere la nostra professionalità continuamente in discussione, partendo da una visione bambino-centrica e non adulto-centrica. Non sarà dunque il modo in cui mi approccerò al cibo, ma il significato che ad esso darò cercando di salvaguardare la tradizione, ma evitando per questo di togliere al bambino la possibilità di esprimersi.