
Loris Malaguzzi
Pubblicato in “bambini”, gennaio 1991, Elemond, Milano – pp. 6-7
1.
Non è facile fare entrare Cipputi nel discorso. Le riviste, le guide, i manuali di pedagogia e tanto meno le scuole non prevedono per lui la porta d’ingresso. Di uscita sì, e che faccia presto. Ma io ho un’antica ammirazione e un antico rispetto per l’uomo di Altan. Un uomo cui molto si deve per questo benessere da cui è escluso. Un uomo che sta in fabbrica per quaranta ore e si porta a casa poco più di un milione di lire. Conosco molti figli di Cipputi. Sono quelli che a scuola hanno più sonno, quasi dovessero aiutare a smaltire il sonno paterno.
Cipputi per rifare il suo contratto ha camminato per quasi un anno. Negli ultimi mesi ha gridato e lanciato uova. Solo le uova pare abbiano messo a rischio i Mortillaro della Repubblica.
Adesso la busta sarà di 170/250.000 lire lorde in più. Non subito. Nel giro di tre anni.
Le sedici ore annue di lavoro in meno sono rinviate al 1994. Adesso è Natale. La busta sarà tagliata di 300.000 lire. Per novanta ore di sciopero. Cipputi non dirà nulla ma i figli se ne accorgeranno ugualmente.
2.
Questa storia di Cipputi (e dei suoi figli) è la storia vergognosa di un paese e di una cultura sociale, iniqua, faccendiera, clientelare.
Quelle di una pervicace e stolta politica che hanno spalancato porte e privilegi al pachidermico territorio del pubblico impiego (oggi ingovernabile), ai professionisti, alle infinite corporazioni, agli evasori fiscali, facendone pagare i costi ai Cipputi, destinati ai gradini più bassi della scala.
Un’originalità nefasta irriconoscibile negli altri paesi occidentali. Così la pubblica amministrazione, immenso territorio protetto e ancillare, ha regalato in cambio, servizi che non funzionano o funzionano col passo dei funerali, costosissimi, generativi di sperequazioni che oggi tutti paghiamo, compreso, beninteso, Cipputi.
3.
Adesso siamo al rinnovo dei contratti degli insegnanti. Parliamo già di scuola, di formazione, di cultura.
Siamo in regola. Là, per Cipputi, l’indifferenza: qui, un’eccitazione pubblica in crescendo e la crescente insonnia del Ministro.
Basta la minaccia di un blocco degli scrutini per seminare spavento. Nel 1988/90 gli insegnanti hanno strappato una busta pesante. Giusto. C’era molto da recuperare. Ciao, Cipputi.
Pletorico allora il numero degli insegnanti. Pletorico ancora.
Un ispettore scolastico ha scritto: “Un parco che scoppia”.
Ai preludi di quest’anno scolastico abbiamo sentito da qualche sindacato chiedere l’assunzione di altri 15.000 insegnanti. Non so, almeno io, come sia finita l’avventura.
Si sa, invece, che la scuola, come tutti i servizi del pubblico impiego, non ha fatto un passo avanti. Anzi. L’aggiornamento degli insegnanti, la meritocrazia, l’ammodernamento fattuale, pur invocati, si sono assopiti a chiusura della passata vertenza.
Un assopimento certo in gran parte dovuto all’ignavia del Governo. Ma non solo. Se non ci fossero gli studenti, ogni tanto, a inorridire e a protestare, la scuola che insegna pare essersi chiusa in una specie di neutralità indifferente.
Che chiedono i Sindacati per i propri insegnanti? I Confederali chiedono un aumento di 500.000 lire, la Gilda di 650.000 lire, lo SNALS un’equiparazione salariale pari al 70% dello stipendio del docente universitario, la UIL vuole un incremento del personale, la CGIL accelerazioni di carriera. C’è chi chiede sgravi fiscali per aggiornamenti professionali. Unanimemente raccomandano che non ci siano ritocchi dei tempi della pensione: dopo 15 e dopo 19 anni di servizio. Siccome non esiste la cassa integrazione gli insegnanti eccedenti, con già l’avvallo ministeriale saranno riciclati a gogo: coordinatori di biblioteche, orientatori scolastici, operatori tecnologici, operatori psico-pedagogici.
Cipputi, sta buono e mettiti a sedere. Perché poi verranno i contratti dei medici, quelli dei dirigenti ministeriali e così via.
4.
Personalmente sono d’accordo con Moscovici. Viviamo, se non ce ne siamo accorti, in una società comportamentista, pensiamo, agiamo, sogniamo in modo comportamentista. Tutto sta, dentro, dall’inizio alla fine, nella sua aridità e nella sua riduttività non solo formali. Una filosofia su cui corre tanta parte della società italiana (anche quella recente) compresa la storia di Cipputi e, credo, tanta parte della nostra vicenda educativa, della sua deriva applicativa, della sua organizzazione sempre più mastodontica, scarnita, chiusa a guscio, zona protetta (direbbero gli ambientalisti), da molti interessi. Una specie di macchina tutta funzione e solo presupposto di efficienze produttive.
A questa sorte – e qui esprimo la mia felicissima sorpresa – si sono sottratti Nuovi Orientamenti della scuola dell’infanzia che partivano da un documento intermedio che lasciava presagire non pochi rischi.
Ho letto commenti, su altre riviste, che forzando la correttezza interpretativa, cercano, con raggiri, abilità diverse e spostamenti arbitrari, di ricondurre il senso la dove non sta.
Il che vuol dire quanto qui, come in USA, che resta la patria primaria del comportamentismo, sia duro il confronto, oggi ripreso con più forza.
Da che parte io stia, da una lunga vita, penso sia abbastanza noto: non ho mai avuto di che dolermene.
Se mi devo dolere di qualcosa è la rozza, mistica e bellarminiana arroganza del nuovo direttore di “Riforma della Scuola”.
Un comportamento che non si confà ad una rivista che è tanta parte della nostra storia. Dunque: nel numero 9 della rivista appare un corsivo a firma del suo direttore che bolla d’infamia (non facendo mai i nomi dei destinatari e utilizzando un lessico da piccola isteria) chiunque attenti alla immacolatezza e all’integralismo della sua dottrina programmatoria.
Credo che i lettori di “Riforma” abbiano il diritto di conoscere qualcuno almeno dei destinatari.
Non sarà superbia se io mi includo e mi firmo tra quelli.