Il riferimento al merito (non alla meritocrazia, che è un’altra cosa) per quanto riguarda l’accesso all’istruzione superiore, alle posizioni nel mercato del lavoro, all’accesso ai luoghi di presa delle decisioni, ha un’indubbia forza democratica. Rappresenta il contrasto al nepotismo, ai privilegi ereditati, alle rendite di posizione. È anche uno strumento per valutare criticamente l’equità delle enormi disparità nei compensi dei grandi manager rispetto ai loro dipendenti. Richiede di valutare l’impegno che si mette per raggiungere i risultati, ma anche le difficoltà che si sono dovute superare.
Proprio per la sua forza democratica è una rivendicazione spesso avanzata da chi soffre di qualche tipo di discriminazione. È il caso, ad esempio, delle donne quando richiedono di essere valutate per le proprie capacità e non in base a uno stereotipo di genere. Anche se proprio il caso delle donne mostra come, accanto alla difficoltà di far valere il proprio merito nel mercato del lavoro e nelle professioni, ci siano gli ostacoli che non consentono sempre di svilupparlo come sarebbe teoricamente possibile: stereotipi di genere, carriere rallentate o deviate, barriere di percorso.
Perché il merito prima di essere visto e riconosciuto va alimentato in modo che possa fiorire. Anche i pochi che hanno dotazioni naturali eccezionali hanno bisogno di circostanze e incontri che consentano loro di manifestarle e nutrirle. Tanto più ciò vale per la maggior parte delle persone, che non ha doti innate eccezionali, ed ancor più per chi nasce e cresce in condizioni sociali svantaggiate.
La scuola, a partire dal nido e dall’infanzia, è – dovrebbe essere – il luogo e il tempo in cui si coltiva la meritevolezza di ciascuno, sostenendo lo sviluppo delle capacità, indipendentemente dall’origine sociale, l’etnia, la cittadinanza, la disabilità. Perché tutti hanno diritto a sviluppare appieno le proprie capacità.
Nell’impegnarsi in questo sta il merito, negli anni formativi, delle bambine/i e adolescenti. Parallelamente, nel creare le condizioni – ambientali, didattiche, relazionali – perché l’impegno venga sollecitato, riconosciuto e accompagnato sta la meritevolezza della scuola, tanto più grande quanto più agisce in contesti difficili, con bambine/i e adolescenti che non hanno alle spalle famiglie e contesti di vita dotati di buone risorse relazionali, culturali e materiali che possano integrarne l’azione.
Quando il priore di Barbiana diceva che non si possono fare parti uguali tra diseguali non sosteneva che bisognava abbassare gli standard, come sostiene qualche critico superficiale. Al contrario era molto esigente con i suoi allievi. Sosteneva solo che, per sviluppare una didattica veramente inclusiva, ovvero che consenta a tutti/e di fiorire e sviluppare i propri talenti ed insieme di raggiungere gli standard necessari per muoversi adeguatamente in società, occorre tener conto dei punti di partenza e lavorare su e con essi, non ignorandoli in uno pseudo-universalismo cieco alle differenze e diseguaglianze.
Il carattere fortemente classista (ed ora anche di origine migratoria), oltre che territoriale, del fenomeno della dispersione scolastica esplicita (abbandono) e implicita (mancato raggiungimento delle competenze minime) nel nostro Paese non testimonia una scuola che ha abbassato i propri standard in nome dell’eguaglianza e del disprezzo del merito. Al contrario, è esito di una scuola che non è sempre riuscita a tener conto delle diseguaglianze e differenze come contesto e punto di partenza per una didattica capace di includere tutti nell’avventura dell’apprendimento e dello sviluppo della propria personalità.
Purtroppo, in Italia non solo non tutti i “capaci e meritevoli” privi di mezzi sufficienti sono messi in grado di proseguire gli studi, in barba al dettato costituzionale. Succede anche che a troppi non vengano garantite le condizioni educative e di apprendimento per diventarlo e comunque per sviluppare le proprie capacità, in barba al secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione.
Se il ministero dell’Istruzione vuole davvero dare senso all’aggiunta “del merito” nella propria denominazione dovrà occuparsi di costruire le condizioni perché a tutte le bambine/i, a partire dai più svantaggiati, sia garantito il diritto costituzionale ad avere le risorse per il pieno sviluppo della personalità, capacità incluse.
L’Italia è ricca di esperienze in questa direzione, anche se purtroppo finora nessun ministro si è impegnato a farle diventare la modalità normale di fare scuola, creandone le necessarie condizioni organizzative, istituzionali, di formazione degli e delle insegnanti.
Repubblica, 31 ottobre 2022
che meraviglia! un pensiero forte corretto che condivido in tutto. Purtroppo non è ancora stato messo a sistema alcun progetto sperimentale che, nella migliore delle ipotesi tale è rimasto.
Adesso occorre ( (è un adesso che sarebbe dovuto passare ad un già da tempo…) mettere a sistema, CASPITA!