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Ritorno tra i banchi – 19 aprile 2020

Considerato l’interesse del primo post sulla situazione in alcuni Paesi europei, abbiamo chiesto agli amici di Zeroseiup sparsi nel mondo di darci notizie su cosa succede a casa loro.
Ecco le prima risposte. Ci aggiorneremo periodicamente.

Belgio (Nima Sharmad, Gent)

Qualche cifra ad oggi:
• Ricoveri: 5.069
• Terapia intensiva: 1.119
• Decessi: 5.453
• Dimessi: 8.348

Il Belgio è un paese federale e complesso, con tre regioni e tre comunità con competenze specifiche. Il governo federale ha avuto un approccio all’emergenza del COVID-19 di tipo piuttosto ‘pacato’ e non orientato al ‘panico’. Questo anche perchè il sistema sanitario belga è molto efficiente, e sebbene la percentuale di ricoveri e decessi non sia bassa, gli ospedali si sono organizzati per tempo aumentando il numero di letti in terapia intensiva e investendo nel personale, e ad oggi ci sono sempre stati posti sufficienti disponibili.
Per quel che riguarda il sistema educativo/scolastico, le scuole (da infanzia a secondaria e Università) hanno chiuso il 16 marzo, ma è rimasto aperto il servizio di pre-post scuola (che in Belgio si occupa in certi casi anche di altri specifici momenti della giornata, nonchè delle vacanze scolastiche). Questo servizio (operativo per l’intera giornata dal lunedì al venerdì) è rimasto aperto soprattutto per i figli di medici e personale sanitario, o comunque per chi per diversi motivi non avesse altra possibilità. Allo stesso modo anche i nidi d’infanzia non hanno mai chiuso e sono aperti anch’essi prevalentemente per figli di personale sanitario (ma non solo).
Le misure di contenimento sono al momento state prolungate fino al 3 maggio, e sembrerebbe che la volontà del governo sia di dare priorità alla riapertura delle scuole. La riapertura dovrebbe avvenire nel mese di Maggio, ma ancora non c’è una data precisa (occorre tenere conto del fatto che la scuola in Belgio chiude per la pausa estiva a fine giugno, quindi aprire a maggio garantirebbe almeno un mese e mezzo di frequanza). Sono molti i direttori scolastici che sottolineano le difficoltà della didattica a distanza, e il forte rischio di alimentare il già esistenete gap tra famiglie con background vulnerabile e non.
Non è ancora chiaro in che modo avverrà questa riapertura (si parla di iniziare con una presenza dei bambini/ragazzi scaglionata a turni per esempio), ma l’idea al momento sarebbe quella di far ripartire prima le scuole elementari (6-12 anni). Questo perchè 1) i ragazzi delle scuole superiori possono auto-gestirsi un pò più facilmente; 2) i bambini della scuola dell’infanzia riescono meno di altri a rispettare la ‘distanza sociale’ (comunque anche gli altri ordini e gradi dovrebbero riaprire a maggio). Si tratta però al momento di scenari possibili, perchè non ci sono state conferme ufficiali.
Nel frattempo, come in molti altri paesi, nidi e scuole dell’infanzia si stanno adoperando in vari modi per mantenere il contatto con bambini e famiglie (con letture online, proposte di attività, incontri di gruppo online ecc.).

Ovviamente l’epidemia in Italia ha avuto un corso molto più violento di quello che abbiamo visto qui in Danimarca. La situazione nei nostri ospedali è così calma che è stato dato spazio per altre operazioni che non sono correlate all’infezione da coronavirus.
Oggi sono riaperti i centri per i bambini più piccoli (0-6 anni). C’è poca differenza da comune a comune, ma si tenta di farlo con un minor numero di bambini, quindi non ci sono ancora tutti i bambini. Anche le classi scolastiche dei più piccoli (7-11 anni) sono tornate a scuola.
La raccomandazione medica è che è il modo migliore per aprire la comunità. Ci sono ancora molte discussioni, ma ora lo facciamo testare e possiamo rapidamente vedere quale impatto ha sulla diffusione dell’infezione.
Tutte le istituzioni sono incoraggiate a stare molto più all’aperto di quanto non siano normalmente. Nei parchi giochi, nella foresta, nei parchi, ecc. Allo stesso tempo, si stanno compiendo grandi sforzi per insegnare ai bambini a curare l’igiene delle mani.
«Non possiamo nasconderci a casa per il prossimo anno e mezzo con i nostri figli», è la posizione dei danesi, riassunta dal principale quotidiano locale, il Jyllands-Posten. Ma non è una posizione condivisa da tutti: 18mila genitori, preoccupati dal rischio di contagio, hanno sottoscritto una petizione per chiedere di tenere chiuse le scuole, e in molti sceglieranno autonomamente di non mandare i figli.

 

Brasile (Paula Baggio, Porto Alegre)

Il problema del nuovo Coronavirus in Brasile è stato preso sul serio soltanto quando sono stati confermati i primi casi di trasmissione locale, a metà marzo. Come in tutto il mondo, anche qui è stata dichiarata una situazione di emergenza, ed in pochi giorni scuole, commercio, fabbriche e tanti servizi sono stati chiusi, lasciando aperti soltanto supermercati, farmacie, e aziende di produzione di generi di prima necessità. L’isolamento sociale è stato richiesto da quasi tutte le autorità statali (il Brasile è infatti una Repubblica Federale), ma non è unanime tra i nostri governanti, così che insieme alla crisi pandemica si è sviluppata anche una importante crisi politica.
Le nostre scuole pubbliche sono gratuite per le famiglie e sono frequentate da quasi il 74% dei alunni dai 3 ai 18 anni, mentre la rete privata accoglie il restante degli studenti, ovvero circa 15 milioni di bambini e ragazzi che si trovano in una situazione sociale un po’ più avvantaggiata. L’impatto della crisi e dell’isolamento sociale su questi due gruppi è enorme e abbastanza diversificata.
Nelle famiglie della classe media e medio/alta, i bambini hanno la possibilità di stare isolati a casa con le loro famiglie che li aiutano con i compiti on line messi a disposizione dalle loro scuole, la loro alimentazione è buona, così come le loro pratiche e le condizioni igienico-sanirarie. La maggioranza di queste famiglie è fatta di piccoli imprenditori, impiegati aziendali e del governo o liberi professionisti molto preoccupati per il futuro del loro impiego e della economia brasiliana.
Nelle famiglie a basso reddito, la situazione è molto diversa. La maggioranza di quelli che stanno nei grandi centri urbani abita in zone molto affollate, tipo favelas, in piccole spazi con famiglie numerose. Solitamente, questi bambini giocano per strada, il loro pasto principale è normalmente fornito dalle scuole e le loro famiglie hanno difficoltà di accesso a prodotti di igiene e di alimentazione. Anche la violenza domestica è aumentata dopo la chiusura delle scuole pubbliche, che non hanno proprio nessuna possibilità di mantenere un programma di studio o di appoggio a distanza per i loro alunni.
È davvero per tutti i brasiliani un momento di grande tensione nel presente e di paura per il futuro, con la politica divisa e l’economia in forte crisi.

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