Sabina Pignataro
Ieri era «siate belle», oggi è «siate ribelli», domani….
È un bombardamento: libri, giochi, tv, internet il principio è identico.
C’è sempre qualcuno che, alle ragazze, dice «siate così» e non «così»
Non ne posso più di libri per bambine ribelli. A partire da “Storie della buonanotte per bambine ribelli” (di cui è uscito anche il secondo volume), passando per “Le donne son guerriere. 26 ribelli che hanno cambiato il mondo” (Einaudi), fino a “Belle forti. Ragazze che vogliono essere se stesse” un libro fotografico che negli Stati Uniti ha scalato le classifiche e che Il Castoro ha appena portato in Italia. Mi pare che questi libri, nati con l’obiettivo di incoraggiare le bambine a realizzare i loro desideri anche in contrasto ai più radicati stereotipi femminili, finiscano invece per crearne degli altri, dicendo loro: non siate sempre belle, misurate, garbate, composte, accomodanti, senza asperità né eccessi, ma siate bambine e ragazze ribelli.
L’aver sostituito l’ossessione per la bellezza con quella per la ribellione, non mi pare abbia molto senso. Infatti, benché l’equazione non sia equiparabile moralmente, il principio è identico: si sta sempre dicendo “siate così” e non “così”.E questo mi pare sia non solo in contrasto con le intenzioni dichiarate: (cioè siate voi stesse) ma anche del tutto discutibile: chi ha deciso che il modello giusto sia proprio quello della bambina ribelle?
“Belle forti. Ragazze che vogliono essere se stesse” rappresenta a pieno questa contraddizione. Sul sito della casa editrice, infatti, si legge che nei 175 ritratti l’autrice Kate T. Parker «intende celebrare e diffondere un’idea di bellezza femminile al passo con le piccole e grandi donne di oggi: essere se stesse, selvagge, scomposte, libere, ribelli, in sintonia con le passioni e inclinazioni più vere». Tutti aggettivi che sono al tempo stesso chiusi, pericolosi e asfissianti, come spiega il libro appena pubblicato Brave con la lingua (Autori Riuniti) in cui 14 scrittrici riflettono sulle definizioni che le hanno ingabbiate nel corso della vita.
Basta con la cultura della performance a tutti i costi
Comunque, di tutto questo filone, quelli che mi convincono meno sono i due volumi di Storie della buonanotte per bambine ribelli di Francesca Cavallo e Elena Favilli (Mondadori). Perché le biografie delle scienziate, pittrici, politiche, sportive, scrittrici di cui parlano, che dovrebbero servire da modello per le bambine e le ragazze di oggi, finiscono per diventare il metro severo con le quali sono chiamate a misurarsi. E il confine tra il lasciarsi ispirare da un modello, e il sentirsi schiacciato da esso (specie quando è così alto), è molto sottile. Perché un conto è dire alle bambine che hanno il diritto di giocare a calcio senza che qualcuno le chiami maschiaccio, un conto è dire loro che devono sognare di diventare Sara Gama, capitano della nazionale di calcio femminile, oppure Hillary Clinton, la prima candidata donna alla presidenza degli Stati Uniti d’America o il premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini.
In queste pagine mi pare si cerchi di far diventare la ribellione un dovere e l’eccellenza una prigionia. Cosa ne è invece delle bambine “non ribelli” le cui fantasie e sogni non trovano posto in questo modello?
Rompere stereotipi senza essere ribelli
Oggi esistono libri per l’infanzia che senza usare l’aggettivo “ribelle” sono capaci di rompere schemi, conformismi, discriminazioni e pregiudizi di genere e di ruolo. Come quelli della casa editrice Settenove (con l’adorabile Mi piace Spiderman… e allora?) o gli albi illustrati della collana Sottosopra della casa editrice Giralangolo (di cui ho apprezzato l’ironico “Biancaneve e i 77 nani”). O come tutti quelli selezionati da SCOSSE, la rete nazionale nata a Roma nel 2011 con l’obiettivo di “Educare alle differenze”, sul cui sito si può trovare una ricca bibliografia. A voler guardare bene anche le fiabe tradizionali sono piene di bambine coraggiose. Come Gretel che, nella fiaba dei Grimm, è colei che butta la strega nel forno e libera il fratello Hansel. Come Vassilissa che, nella tradizione russa, affronta la Baba Jaga, la terribile strega dei boschi. Oppure Gerda, la piccola temeraria protagonista de La regina delle nevi di Andersen.
Per non cadere in tentazione
Comunque, ci sarà sempre qualcuno o qualcosa (la tv, internet, un libro o un gioco) che per moda o per cultura spingerà le bambine verso un modello precostituito: ieri era “siate belle”, oggi è “siate ribelli”, domani potrebbe essere “siate atletiche”, o siate “scienziate”. (Con l’intento di incoraggiare più donne alle materie scientifiche è in arrivo in Italia una serie televisiva tratta da il libro Dot, di Randi Zuckerberg, che vede come protagonista una ragazzina spavalda e tecnologicamente esperta).
Perciò, forse, varrebbe la pena investire del tempo nell’aiutarle ad allenare il loro spirito critico affinché diventino capaci di scandagliare le rappresentazioni da cui di volta in volta potrebbero sentirsi condizionate. Altrimenti non saranno mai capaci di riconoscere il lupo travestito (cioè l’ennesimo stereotipo) come accade nella fiaba “il lupo e i sette capretti”.
E poi contro ogni omologazione, dovremmo insegnare loro a valorizzare la diversità di competenze, di talento e di preferenze, incoraggiandole a tirare fuori il meglio di sé, da sé. Facendo in modo che si sentano legittimate a puntare in alto perché nulla è loro precluso per natura, ma lo è solo per cultura ed educazione. Ma allo stesso tempo insegnando che il valore delle loro vite non dipende dal tipo di traguardo raggiunto, né dal giudizio attribuito dallo sguardo altrui. Rassicuriamole sul fatto che c’è posto per loro non solo se non dovessero raggiungere risultati eclatanti, ma anche se nemmeno lo desiderassero perché al pensiero di stare sul podio o in prima fila tremano. Abbandoniamo la cultura della performance a tutti i costi.
E già che ci siamo, stiamo attenti anche all’educazione informale che passiamo, perché certe idee si apprendono quasi per osmosi dall’ambiente circostante. Come scrisse Umberto Eco nel Pendolo di Foucalt: «credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci». Perciò ridiscutiamo in famiglia e con gli insegnanti i modelli e i bagagli culturali che ci portiamo dietro. Disveliamo ciò che ci sembra scontato, ovvio o impossibile. Rifiutiamo i libri di testo e i sussidiari che dicono che cosa è per maschi e che cosa per femmine. Diciamo alle bambine che possono giocare con Spiderman e non solo Frozen. Regaliamo loro robot, palloni e martelli ma non priviamole delle bambole. Non limitiamo (al contrario) il loro immaginario. Gli stereotipi si superano anche quando sia a scuola che in famiglia si lascia alle bambine e ai bambini lo spazio per esprimere il proprio talento e la propria intelligenza, senza trasformare tutti in Frida Kahlo o Louis Armstrong.
E poi diciamo le stesse cose anche ai bambini. Perché anche loro sono forzati in dannosi stereotipi di genere: nel 1984, sembrava impossibile che Billy Eliott facesse lezione di danza (suo padre gli dice: «i ragazzi fanno pallone o pugilato. O lotta. Non i ballerini»). Così come sembrava impossibile che una donna andasse nello spazio.
Infine, quando scegliamo un libro per una bambina, non prediligiamone uno che narra solo le avventure di personaggi femminili. Anche quelli maschili possono essere d’esempio. E non facciamoci tentare da 100 racconti per bambini coraggiosi(edizioni Electakids), il libro che copia (molto e male) il progetto di Francesca Cavallo e Elena Favilli, narrando le storia di Annibale, di Alex Zanardi, dei giudici Falcone e Borsellino, del Dalai Lama, del presidente Obama, di Fedez, di Jovanotti e di Papa Francesco.
POSTILLA: E sì, ho messo anche la postilla. Scusate, l’argomento mi tormenta: sono mamma di due bambine. E, scusate, quello che ho scritto è la mia “ribellione” quotidiana
C’è un modo in cui l’uso dell’aggettivo “ribelle” mi piace molto è quello del Collettivo Artistico TheAlbero. Ne riporto una sintesi.
Speriamo che sia ribelle
Ribelle ai ruoli stereotipati
Ribelle alle identità di genere culturalmente costruite e poi “naturalizzate”
Ribelle al senso comune
Ribelle a ciò che viene dato per scontato
Ribelle a tutto ciò che si definisce normale
Ribelle al lavoro come meccanizzazione, spersonalizzazione, disumanizzazione
Ribelle alle definizioni di normale
Ribelle alle omologazioni
Ribelle ai buonismi di facciata
Ribelle alla volontà di controllo
Ribelle alla volontà di superpotenza
Ribelle a tutti i sistemi ideologici, degli uni e degli altri
Ribelle a tutti i pensieri unici, a tutte le alternative uniche
Ribelle a tutti i sistemi di pensiero chiusi, giudicanti, rigidi, escludenti.
Corriere della Sera 27 ora 3 maggio 2018