Ho letto con interesse l’articolo “Qualità del servizio scolastico e modelli organizzativi nella scuola dell’infanzia” in cui l’autore, l’isp. M.Maviglia, cercando di individuare alcuni elementi costitutivi dei modelli organizzativi, pone in essere domande che rimandano ad una più ampia analisi della “mission” della scuola dell’infanzia e della sua vera essenza.
A mio avviso si tratta di un documento che può evocare feconde riflessioni in questo momento storico, in cui la scuola dell’infanzia è ancora una volta impegnata nell’affermazione delle sue peculiarità, che potrebbero contaminare positivamente tutto il sistema 3-14, pur restando a tutti gli effetti inclusa nel sistema dello 0-6.
Ma sulla dignita’ della sua inclusività nel sistema 0-6,si tratta di superare apparenti contrapposizioni e di sfatare alcuni pregiudizi a partire dalla centralità del bambino e al suo diritto di cura istruzione educazione e gioco.
Pur essendo,dunque, un articolo complesso che meriterebbe adeguati tempi di riflessione, il mio primo impulso è stato di leggerlo subito tutto, scorrendo rapidamente tra le righe come per ritrovare qualcosa che mi risuonasse famigliare…
Le domande dell’autore facevano riecheggiare alla mia mente domande, dubbi, situazioni che mi riportavano a dei “Deja vu”. L’aver fatto riecheggiare snodi della mia storia professionale e del gruppo di docenti delle scuole della rete in cui lavoro,va a confermare quanto sostiene l’isp.Maviglia e cioè che il modello organizzativo di una scuola non è semplicemente frutto di pensieri tecnici, ma ha radici ben più profonde radicate nell’essenza della scuola dell’infanzia..
A partire dai primi anni ‘90, in parallelo con il procedere della formazione sugli Orientamenti ‘91, iniziammo a interrogarci sull’unitarietà degli apprendimenti, perché a quel tempo la nostra proposta educativa, strutturata per laboratori legati ai campi di esperienza, iniziava a starci stretta.
Lavoravamo per sezioni e organizzavamo le attività in intersezione con gruppi eterogenei per età di 4-5 anni e omogenei per i 3 anni, sulla cui base le inss avevano articolato compresenze e si erano “specializzate” nei laboratori ove i bambini ruotavano nelle diverse giornate.
Mettemmo in discussione questo modello su cui avevamo investito tanto, perché avevamo capito che vedevamo un bambino “spezzettato” e lui d’altro canto si approcciava ai saperi in modo non unitario, già troppo precocemente frammentato (laboratori di letto-scrittura , logico-matematica, attività espressive, psicomotricità)
A stridere non era solo il modello organizzativo, che noi consideravamo come le gambe del progetto, ma qualcosa di più profondo, allora per noi sommerso, non chiaro, qualcosa che si innestava sulla nostra idea di bambino, di docente, di scuola…
Si avviò un percorso formativo lungo, faticoso, in cui alle nostre certezze si sostituirono molti dubbi… Ricordo anche il dolore che provai nell’abbandonare un modello consolidato che era per noi molto lineare e rassicurante, così come erano divergenti le modalità reattive dei docenti di fronte nel cambiamento: c’era chi voleva chiudere e cambiare pagina “riscrivendo da capo” una nuova storia e chi invece considerava il cambiamento come un percorso che si innestava sul passato e lo interrogava operando delle scelte ma senza buttarlo in toto…
In ogni caso fu essenziale il confronto e la discussione che si avviarono nel gruppo di delle docenti e che ci portò a comprendere che l’aggiornamento serviva per implementare le conoscenze ma che erano essenziali percorsi formativi di tutto il team in cui ci si mettesse davvero in gioco a partire dai problemi sentiti autentici dal gruppo.
Dichiaravamo di credere in un bambino co-costruttore attivo delle sue conoscenze e ci approcciavamo interloquendo con lui e ponendo domande attraverso cui esploravamo i campi di esperienza, ma eravamo lontane dal comprendere che cosa fossero i saperi co-costruiti in gruppo, l’idea di adulto che fa regia e impalcatura…, si rischiava di oscillare da un adulto troppo proppositivo a un adulto troppo “smarrito”!
Ci focalizzammo infatti sull’idea che ragionare sui modelli organizzativi richiedeva una messa a punto del ruolo dell’adulto e significava rimettere in campo il senso delle scelte e il valore della relazione educativa tra adulti, tra adulti e bambini e tra bambini. Volevamo evitare da un lato una spinta troppo precoce verso saperi formalizzati e dall’altro di ricadere nelle scelte per abitudine, ma questo richiedeva un saper essere dell’adulto che si connotava per l’ascolto di sé e dell’altro.
Capimmo che si trattava almeno passare dall’affermazione tipo:“qui si è sempre fatto così” che non si poneva in discussione, a “facciamo così perché lo hanno deciso i bambini”, che poteva significare presentare comunque il punto di vista non mediato con il gruppo degli adulti e giustificato dal passaggio con i bambini, a“facciamo così perché…” che presupponeva partire dall’osservazione e fare un lavoro di ragionamento con il gruppo dei bambini e degli adulti…
Lavorammo sul curricolo implicito senza capire bene di cosa si trattasse all’inizio, ma poi iniziammo a comprendere che il modello organizzativo, che dava ”le gambe” ai nostri progetti educativi, scaturiva da convincimenti dichiarati o meno, espliciti o non del tutto, sull’idea di bambino, scuola ,adulto.
Ci interrogammo dunque non solo sull’unitarietà e trasversalità degli apprendimenti, ma anche su che idea di bambino e di scuola stava dietro ad esempio sull’abitudine di distribuire un maggior numero di adulti sui gruppi dei bambini più grandi e un numero minore su quelli piccoli…
Ora posso dire che abbiamo imparato che è molto più efficace affrontare i problemi in gruppo, anche se è complesso e talvolta mi torna in mente l’affermazione di una bambina di 5 anni:
“Maestra, a pensare da sola faccio più facile e anche più veloce!”
E’ successo però che qualche volta riusciamo anche a intravvedere delle nuove opportunità nelle difficoltà che si ponevano improvvise sul nostro percorso, ad esempio di fronte all’istituzione della quinta sezione, nel plesso in cui lavoro, siamo riuscite a distribuire bambini e docenti come risorse di tutto il gruppo e abbiamo riorganizzato i due blocchi(grandi raggruppamenti per ala della scuola). Questo è stato un esempio di gesitone degli organici gestito non nell’ottica di sezioni da istituire, ma di risorse umane da assegnare e di nuove flessibilità organizzative e progettuali da intravvedere e ha dato buoni frutti alla crescita della corresponsabilità di tutto il gruppo docenti del mio plesso.
Sicuramente un passaggio di questo genere è stato favorito dal fatto che nella nostra scuole lavorassimo già da qualche anno non per “sezioni chiuse” per ma ciò che definiamo “sezioni e gruppi aperti”, e che quindi i docenti avessero un’ottica di lavoro che va oltre “ciò che sente esplicitamente suo” (es la mia sezione, i miei bambini, i miei problemi…).
Passare dal modello organizzativo per sezioni e raggruppamenti di intersezione a quello attuale di sezioni e gruppi aperti, è stato un percorso lungo che si è costruito “in situazione” e che si è sviluppato nel team docenti a partire dalla formazione condivisa e dalla riflessione su un certo modo di approcciarsi al bambino , alla sua scuola e di concepire la figura docente.
Ora riesco davvero a capire il senso dell’affermazione: la scuola dell’infanzia è un ambiente di educazione, cura e di apprendimento “organizzato”, e al contempo sono sempre più convinta che occorra lavorare “instancabilmente” sulla consapevolezza delle scelte dei team e sulla cura del gruppo, sia esso di adulti che di bambini.
Documentazione:
Progettare il cambiamento tra teorie e pratiche
Qualità del servizio scolastico e modelli organizzativi nella scuola dell’infanzia