Breve premessa sulle Neuroscienze
Gli ultimi decenni hanno visto un enorme sviluppo delle ricerche nel campo delle Neuroscienze, spaziando dagli studi di tipo biomolecolare a quelli che mettono in relazione i meccanismi cerebrali e il comportamento. Grazie a questi studi è stato possibile dimostrare, per esempio, che l’apprendimento e la memoria sono legati a precisi meccanismi biochimici che agiscono a livello delle sinapsi, che attualmente sono direttamente documentabili. Oppure, è stato possibile dimostrare mediante registrazioni elettrofisiologiche come neuroni di determinate aree cerebrali sono fondamentali per funzioni di alto livello. Nell’uomo, l’introduzione delle tecniche di neuroimmagine ha permesso di studiare le basi cerebrali di funzioni mentali che precedentemente erano indagate esclusivamente dalle scienze psicologiche. Anzi, il connubio tra neuroscienze e scienze cognitive ha dato origine a una nuova macrodisciplina, le Neuroscienze Cognitive, che ha l’obiettivo di determinare le basi cerebrali delle funzioni mentali. Grazie alle nuove tecniche è stato possibile iniziare investigazioni in campo neuroetico, neuroestetico e neuroeconomico. Ciò fa pensare che in un futuro sia possibile gettare anche le basi di una neuropedagogia basata sui dati neuroscientifici raccolti durante lo svolgimento di compiti di natura pedagogica.
In questo articolo voglio concentrarmi su un particolare filone di indagine che ha tratto molto giovamento dagli studi che ho appena menzionato, quello riguardante le proprietà cognitive del sistema motorio. Già questa definizione potrebbe sembrare strana ad alcuni, perché spesso quando si parla di movimento non si pensa che esso abbia direttamente a che fare con le nostre funzioni superiori, nonostante alcuni filosofi (fenomenologi) avessero già proposto questa idea.
La nuova visione sul rapporto azione-percezione a livello cerebrale. Evidenze anatomiche e neurofisiologiche
Tra gli studiosi per tanto tempo è stata prevalente l’idea prevalente che le funzioni superiori derivassero dalla percezione, a sua volta risultato di una elaborazione sensoriale di alto livello. In altre parole, la nostra conoscenza del mondo deriverebbe fondamentalmente dagli stimoli che provengono dall’esterno, e che il nostro cervello analizza in modo anche molto sofisticato. Una volta che questa analisi è stata fatta, per agire sul mondo è sufficiente che il sistema cerebrale che controlla il movimento utilizzi ciò che gli viene offerto da questo elevato sistema percettivo. Secondo questa visione, dal punto di vista anatomo-funzionale la parte posteriore della corteccia cerebrale rappresenterebbe il cervello “che sa”, quella anteriore il cervello “che fa”. Non voglio dire che la corteccia posteriore non possieda queste notevoli capacità di elaborazione, ma qui si tratta di capire dove stia veramente il punto di partenza. Ed è qui che entrano in gioco trent’anni di studi sul sistema motorio che suggeriscono come la visione appena descritta sia da ribaltare. Un primo punto essenziale, dimostrato da studi neuroanatomici molto raffinati, eseguiti sul modello di primate non umano, è che le parti posteriori (parietali) e anteriori (frontali) della corteccia cerebrale sono collegate tra loro in modo reciproco, cosicché quando si parla di percepire e agire, questi due termini descrivono due realtà in continua interazione tra loro. Grazie ai collegamenti anatomici sopra citati, avvengono dei processi chiamati di integrazione, o trasformazione, sensorimotoria, che permettono alle informazioni sensoriali di essere trasformate negli atti motori più adatti per interagire con l’ambiente. D’altronde, se si pensa alla vita del bambino nei primi tre anni, ci accorgiamo che egli scopre il mondo grazie ai suoi movimenti, che lo portano a interagire con l’ambiente che, a sua volta, gli fornisce le informazioni sensoriali che diventeranno materia di percezione.
Il secondo punto, che ha un valore concettuale fondamentale, è che il sistema corticale motorio non ha semplicemente il compito di dare dei comandi per l’esecuzione dei movimenti, ma piuttosto di rappresentare lo scopo dei nostri atti. Nel primo caso, il sistema motorio deve solo preoccuparsi che i movimenti vengano eseguiti in maniera corretta, ma il progetto viene creato all’esterno del sistema motorio. Nel secondo caso il sistema motorio è l’artefice originario dell’idea del movimento, crea le rappresentazioni mentali. A questo concetto si è arrivati registrano l’attività elettrofisiologica di singoli neuroni di scimmia, mentre l’animale svolgeva dei comportamenti che implicavano degli atti finalizzati (si rammenta che per questo tipo di comportamenti la scimmia è il modello ideale perché li esegue in maniera simile all’uomo). Come premessa bisogna dire innanzitutto che i neuroni hanno proprietà elettriche e che il loro stato di eccitabilità elettrica varia a seconda che siano coinvolti o meno in una determinata attività. Nel caso specifico sono stati registrati neuroni di aree motorie e si è visto che la maggior parte di essi si attivavano in relazione agli scopi di particolari atti motori, quali prendere, manipolare, spezzare, tenere. Vi sono due esempi molto chiari di ciò che sto affermando. Il primo esempio è dato da neuroni della corteccia premotoria che si attivano quando una scimmia prende un pezzo di cibo (p.es. un’uvetta) con la mano destra, con la sinistra o con la bocca. Dato che queste parti corporee e i movimenti corrispondenti sono diversi tra loro, l’unica cosa in comune è che tali movimenti tendono allo stesso scopo: afferrare. Il secondo esempio viene da uno studio in cui delle scimmie venivano addestrate ad afferrare del cibo con delle pinze. Alla fine del periodo di addestramento, sono stati registrati i neuroni della stessa corteccia premotoria sopraddetta e si è trovato che essi si attivavano non solo quando la scimmia afferrava cibo con la mano, ma anche quando lo afferrava con la pinza. E’ chiaro quindi che questi neuroni non hanno il ruolo diretto di comandare dei movimenti specifici, ma si riferiscono a un concetto astratto, quello di scopo. Per dimostrare ulteriormente le caratteristiche mentali di questi neuroni, ricordiamo uno studio di neuro-immagine sull’uomo, in cui a dei partecipanti si chiedeva di immaginare di fare un atto motorio, senza quindi realmente eseguirlo. In questa condizione si osservava chiaramente l’attivazione delle aree premotorie.
Le proprietà “astratte” appena descritte cambiano molto il modo in cui si concettualizza l’attività cerebrale. Si può dire che il sistema motorio, fatto di rappresentazioni di scopi, è il nostro sistema originario per conoscere il mondo. Questo è dimostrato anche da studi svolti sui movimenti fetali, svolti mediante tecniche ecografiche sofisticate, ad alta definizione. Questi studi mostrano che i feti, soprattutto dalla ventiduesima settimana, possiedono già un ampio repertorio di movimenti, soprattutto delle mani. Registrando con accuratezza le caratteristiche di questi movimenti fetali, è possibile dimostrare che essi assomigliano, come struttura organizzativa, a quelli dell’adulto. Quindi si può concludere che alla nascita il neonato ha già un repertorio motorio, memorizzato, che non consiste di movimenti casuali o disorganizzati, ma di atti motori già adatti per interagire col mondo in modo finalizzato. Infatti mediante questi atti motori il neonato comincia subito ad esplorare e a delimitare lo spazio intorno a sé, ad afferrare e conoscere gli oggetti mediante una prensione automatica, che si innesca al contatto con l’oggetto.
Circuiti cerebrali per la descrizione pragmatica dello spazio e degli oggetti
Le rappresentazioni dello spazio e degli oggetti sono stati l’obiettivo di studi neurofisiologici che ne hanno dimostrato i meccanismi. Entrambe queste proprietà sono legate a circuiti che collegano il lobo parietale con il lobo frontale. Il circuito per lo spazio è legato al controllo motorio del braccio e del tronco, implicati in atti finalizzati di raggiungimento e orientamento, come ad esempio avvicinare il braccio ad un oggetto o evitare uno stimolo pericoloso ruotando la testa o il tronco. Questi atti vengono eseguiti quando è presente un oggetto nello spazio intorno al corpo, chiamato spazio peripersonale. Ebbene, in questo circuito sono presenti dei neuroni che sono capaci di attivarsi quando oggetti vengono avvicinati a determinate zone del corpo (braccia, faccia, tronco) all’interno dello spazio peripersonale. Queste risposte visive sono state interpretate come delle rappresentazioni di atti potenziali nello spazio peripersonale. Quando il contesto è adatto, l’atto potenziale viene eseguito, altrimenti rimane a livello di semplice rappresentazione dello spazio in termini motori. Questi studi ci hanno fatto capire che lo spazio è prima di tutto movimento, solo successivamente diventa elemento percettivo.
Il circuito per l’oggetto è ugualmente sorprendente. Nonostante noi abbiamo chiaramente in mente la descrizione degli oggetti costruita visivamente, in questo circuito parieto-frontale l’oggetto diventa rappresentazione pragmatica. Infatti quando dobbiamo prendere un oggetto adattiamo la nostra mano alla sua forma, dimensione, orientamento, secondo precise leggi; ad esempio, l’apertura della mano aumenta all’aumentare delle dimensioni dell’oggetto da afferrare. Nel circuito abbiamo vari tipi di neuroni, ma basta menzionarne due. Vi è una categoria di neuroni parietali che si attivano selettivamente per la forma dell’oggetto. Un’altra categoria di neuroni, premotori, si attivano alla presentazione di uno specifico oggetto e durante l’esecuzione della prensione appropriata per quell’oggetto. Questi ultimi neuroni dimostrano che è avvenuta una trasformazione visuomotoria, dalle proprietà fisiche dell’oggetto al tipo di prensione corrispondente. Ma questi neuroni si attivano anche alla sola presentazione di uno specifico oggetto, quando questo non viene afferrato. Analogamente all’interpretazione data per lo spazio, si è proposto che l’attività di questi neuroni rappresenti già la descrizione pragmatica dell’oggetto. Da questi esempi neurofisiologici si può capire come il nostro patrimonio motorio ci serve per conoscere e interpretare il mondo esterno. Nei primi anni di vita il bambino apprende agendo. Egli esplora il mondo muovendo gli occhi e ricavando, di ritorno, delle immagini visive. Muove gli arti nello spazio, delimitando quest’ultimo e differenziandolo dallo spazio non raggiungibile. Manipola gli oggetti, imparando come li deve prendere, anche in base alle informazioni su forma, tessitura, materiale, peso, ecc., che questi gli rimandano. Si potrebbe pensare che questa forma di conoscenza vada bene nei primi anni, ma poi debba essere sostituita da quella scolare. In realtà i meccanismi e i circuiti motori descritti sono verosimilmente alla base dell’organizzazione dei circuiti che sottendono le funzioni superiori.
Cognizione sociale: il sistema specchio
Il mondo esterno non è fatto solo da elementi inanimati, ma anche da esseri biologici, di cui noi comprendiamo il comportamento, e con cui possiamo interagire. Questo vale per tutti gli animali, ma in particolare per i nostri conspecifici. I meccanismi di origine motoria che abbiamo descritto per spiegare l’origine della conoscenza dello spazio e degli oggetti valgono anche per il sistema neurale che ci permette di capire il comportamento altrui. In altre parole, comprendiamo ciò che fanno gli altri in base a quello che sappiamo fare noi. Sappiamo bene, per esperienza quotidiana, che quando osserviamo delle gare sportive o un balletto spesso tendiamo a muoverci come se ci immedesimassimo negli atleti o danzatori che osserviamo. Questa tendenza è stata descritta, per esempio da Adam Smith, più di due secoli fa, nella “Teoria dei sentimenti morali”, in cui, parlando degli spettatori che osservavano la prestazione dei funamboli, notava come i primi tendevano a muoversi in consonanza con i movimenti dei secondi, come se avvenisse una sorta di ‘risonanza motoria’. Un altro concetto che è relativo alla nostra capacità di ‘risuonare’ col comportamento altrui è quello di empatia, inizialmente nato all’interno dell’estetica e poi sfruttato nell’ambito delle emozioni. Infatti, quando osserviamo la faccia rattristata di un altro, capiamo subito cosa sta provando e, in parte, tendiamo a sentirci come lui.
Tutte queste capacità hanno trovato una spiegazione neurofisiologica nella scoperta dell’esistenza dei neuroni specchio, che fanno parte del sistema motorio. Essi diventano attivi quando una scimmia svolge un atto finalizzato (per esempio prendere un oggetto) e quando osserva un altro individuo (un’altra scimmia o un uomo) svolgere lo stesso atto. Alcuni di questi neuroni si attivano anche quando la scimmia sente il rumore/suono dell’atto svolto dall’altro, per esempio la rottura di un oggetto. Per capire meglio che cosa effettivamente i neuroni specchio permettono di riconoscere, è stato effettuato uno studio in cui si registrava l’attività di questi neuroni durante l’osservazione di un individuo che afferrava un oggetto e in un’altra condizione in cui la scimmia vedeva lo stesso attore che iniziava l’atto in piena visione, ma lo concludeva dietro uno schermo opaco, in modo che il momento dell’afferramento non fosse visibile. Si è trovato che i neuroni specchio si attivavano anche in questa seconda condizione, dopo che la mano era scomparsa dietro lo schermo, cioè quando l’atto era solo immaginabile. La risposta del neurone è dovuta ad una elaborazione mentale, basata sulla memoria dell’oggetto e sulla ricostruzione della parte mancante dell’atto motorio. Tale ricostruzione è possibile, però, solo se l’osservatore possiede una rappresentazione interna di quell’atto. Quindi, in conclusione, i neuroni specchio permettono all’osservatore di capire lo scopo dell’atto osservato, anche quando parte di esso non è visibile, ma vi sono abbastanza indizi per ricostruirlo mentalmente.
La proprietà più importante dei neuroni specchio consiste nella loro capacità di confrontare un comportamento osservato e la rappresentazione interna dello stesso comportamento nel sistema motorio dell’osservatore. In questo modo l’osservatore comprende automaticamente ciò che sta facendo l’altro, senza bisogno di alcun ragionamento. Questo è molto importante, perché si è abituati a pensare alle proprietà cognitive come frutto di inferenze, deduzioni…
Il sistema dei neuroni specchio è stato dimostrato anche nell’uomo grazie a studi basati su tecniche elettroencefalografiche e, soprattutto, grazie alle tecniche di neuroimmagine. Si è potuto dimostrare che l’osservazione di azioni fatte dagli altri normalmente attiva aree della corteccia frontale motoria e della corteccia parietale che corrispondono a quelle che, nella scimmia, contengono i neuroni specchio. Queste dimostrazioni sono state il punto di partenza per investigare i vari ruoli del meccanismo ‘specchio’ in varie forme di cognizione sociale, quali ad esempio la comprensione delle intenzioni altrui, la comprensione del linguaggio e quella delle emozioni. Quest’ultimo aspetto ha suscitato molto interesse, perché il nostro mondo sociale non è fatto solo di azioni fredde ma anche di sentimenti e stati emotivi, che fanno parte delle nostre relazioni sociali. Ovviamente ciò richiede un meccanismo per comprendere le emozioni altrui. Gli studi comportamentali confermano che noi comprendiamo, dalle espressioni facciali altrui, le emozioni fondamentali. Ma per capire cosa si attiva quando osserviamo queste espressioni facciali sono stati fatti studi di neuroimmagini in cui i partecipanti dovevano osservare espressioni emotive quali rabbia, tristezza, disgusto. Alcuni studi hanno investigato anche la comprensione del dolore. In tutti gli studi si è visto che si attivano regioni cerebrali tipicamente coinvolte nel circuito emozionale, quali il cingolo, l’insula, l’amigdala. La cosa più interessante, mostrata da alcuni di questi studi, è che gli stessi settori della corteccia del cingolo e dell’insula si attivano sia quando l’osservatore prova, ad esempio, dolore o disgusto, sia quando vede l’espressione di dolore o di disgusto in un altro. In altre parole, noi comprendiamo, automaticamente, le emozioni altrui mediante le aree che si attivano quando siamo noi a provare quelle emozioni, quindi mediante un meccanismo di tipo specchio.
Sistema specchio e imitazione
Uno dei campi in cui è stato investigato il ruolo del sistema specchio è quello dell’imitazione. Per quanto possa sembrare il ruolo naturale dei neuroni specchio, la vera imitazione non sembra far parte delle capacità dei primati non umani, tranne alcune forme di imitazione presenti nelle scimmie antropomorfe. Nell’uomo invece questa capacità è molto sviluppata, ed è estremamente utile per l’apprendimento di nuove capacità. Nel mondo dei bambini l’imitazione si rivela uno strumento fondamentale, permettendo loro di acquisire nuove conoscenze semplicemente osservando i coetanei o gli adulti e ripetendo ciò che vedono fare. Questo tipo di apprendimento è molto più efficace e rapido dell’apprendimento individuale per prove ed errori. Perché possa avvenire, però, è necessario una proprietà fondamentale del sistema nervoso, la plasticità, cioè la sua possibilità di modificarsi con l’esperienza. La plasticità è molto accentuata nel periodo dello sviluppo, ma continua anche nell’adulto. Gli studi neuroscientifici sull’apprendimento e sulla memoria ne hanno dimostrato le basi biochimiche, usando come modello sia invertebrati che vertebrati. Possiamo ragionevolmente supporre che gli stessi meccanismi biochimici agiscono nell’uomo, spiegando la ricchezza dei tipi di apprendimento che avvengono in vari campi, tra cui quello educativo e quello sportivo. Nell’uomo vi sono svariati studi che dimostrano come anche semplici esercizi ripetuti per un certo numero di volte modificano rapidamente le rappresentazioni corticali motorie: questo è un effetto della plasticità.
Ritornando all’apprendimento per imitazione, vi sono studi di neuroimmagine che dimostrano come durante l’osservazione di azioni da imitare si attiva il sistema specchio. Questa attivazione è ancora più forte quando i soggetti sperimentali devono riprodurre l’azione svolta dal modello. Questo meccanismo è così potente che negli ultimi quindici anni è stato sfruttato per la riabilitazione motoria. Infatti è stato dimostrato che se dei pazienti con problemi motori svolgono un programma di riabilitazione di circa tre settimane, consistente nella osservazione e riproduzione di azioni di complessità crescente, la loro prestazione motoria con l’arto superiore migliora alla fine della terapia. Questo effetto è stato confermato nei pazienti con Parkinson e nei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile unilaterale.
Sistema motorio e pedagogia
Il ruolo dell’esperienza motoria nello sviluppo è stata sottolineata da psicologici e pedagogisti. Purtroppo questo aspetto è stato messo un po’ in secondo piano, soprattutto per quello che riguarda l’educazione scolare, a favore di apprendimenti basati sul ragionamento astratto e sull’uso del linguaggio per il trasferimento dei concetti. Pur non negando l’importanza dell’astrazione nella costruzione della conoscenza, gli studi neurofisiologici presentano oggi un nuovo quadro, che mostra come la nostra conoscenza del mondo derivi in primis dal sistema motorio, da un patrimonio motorio che ci permette di ‘leggere il mondo’ in un formato non astratto ma costruito con l’esperienza. Tuttavia l’evidenza data da questi studi rimane ancora abbastanza all’interno del mondo scientifico, anche se ha trovato la sua applicazione in ambito riabilitativo. Sarebbe giunto il momento di poter dimostrare oggettivamente quanto le nuove conoscenze sul sistema nervoso, forniteci dalle neuroscienze, possano essere utilizzate per avviare ricerche rigorose nell’ambito della scuola e dell’educazione. Sarebbe inoltre estremamente importante poter dimostrare come le esperienze attive, basate sul movimento, siano fautrici di nuovi apprendimenti, non solo strettamente in campo motorio, ma anche in altri ambiti, come ad esempio quello del linguaggio o della letto-scrittura, della matematica o delle funzioni di pianificazione. Essendovi già alcuni studi promettenti che vanno in questa direzione, sia su bambini normotipici sia su bambini con disordini dello sviluppo o con problemi di apprendimento, ci aspettiamo che essi aumentino e forniscano delle basi oggettive per poter, eventualmente, suggerire nuovi percorsi educativi.