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Perché pagano i bambini – maggio 1979

Loris Malaguzzi

Pedagogista


Pubblicato in “Zerosei”, maggio 1979, Fabbri Editore, Milano – pp. 6-7

Si è fatto un gran parlare in queste ultime settimane del cosiddetto “male oscuro” che si è accanito con i bambini della più emblematica città meridionale: Napoli.

Il fatto, se ha costituito per la grande stampa nazionale, per la Rai TV, l’occasione per resoconti, dossier, cronache folcloristiche o populiste, ha ulteriormente sottolineata l’urgenza, per l’insieme del movimento operaio, di mettere al primo posto dei propri programmi le questioni di Napoli in cui la lotta per il lavoro e una diversa condizione urbana sono tutt’uno.

Di qui la nostra convinzione che in tutta la vicenda del cosiddetto “male oscuro” occorra che “si tirino un poco indietro i super esperti ed i mega ricercatori”, riconducendo esplicitamente ad un ambito più politico la discussione del perché a Napoli decine di bambini proletari muoiono per un male che forse in una qualsiasi città non avrebbe provocato neanche un morto. In realtà siamo di fronte ad un fatto sì eccezionale ma assolutamente non anomalo se è vero come è vero che in questa città, in alcuni quartieri, con particolari concentrazioni di classe e topologia abitativa, i tassi di mortalità infantile da anni toccano punte del 135 per mille! Ecco perché noi riteniamo del tutto fuorviante qualsiasi campagna di stampa che faccia scendere su questi fatti l’alone dell’eccezionalità che ha come logico provvedimento di risposta: la straordinarietà.

Il discorso è un altro. Bisogna sapere che la possibilità di risolvere anche i problemi “da male oscuro” risiede nella volontà: di dare risposte occupazionali alla citta; di puntare ad una politica delle abitazioni capace di soddisfare le esigenze degli strati sociali meno protetti; di affermare in città, ma direi nella Regione, una medicina preventiva che non sia il riciclaggio negli spazi della riforma degli uomini e delle strutture di vecchie baronie clientelari, parassitarie ed ignoranti; di assicurare ai bambini il diritto allo studio.

A morire sono dei bambini: ormai non si parla che di virus, di ricerca scientifica, di piano sociosanitario. I bambini non sono che un numero … in progressione: prima 5, poi 20, 28, 66, 74. Sembrano essere diventati solo un pretesto, a volte scomodo, a volte utile, per scatenare le dispute tra i ricercatori, per la spartizione dei soldi che arriveranno dal Governo per potenziare l’ospedale di questo o quel barone della medicina.

Ma bisogna chiedersi perché sono proprio i bambini a pagare. Da sempre abbiamo affermato che i bambini sono l’anello più debole, quelli su cui in maniera più evidente e drammatica pesa la violenza della società; a Napoli questo è ancora più evidente: nonostante la sdolcinata letteratura folcloristica che ha versato fiumi d’inchiostro per presentarla come la città in cui il rispetto e l’amore per i bambini è quasi sacro per tutti, questa è la città dove i bambini, nei primi anni di vita, dopo una iper protezione familiare, materna (che deve surrogare la funzione dei nidi, dei servizi sociali, completamente assenti) vengono quasi “esposti” ai pericoli della “strada”, della vita, perché imparino subito a difendersi e ad offendere, perché imparino da subito l’arte della sopravvivenza; è seguendo questa logica che a 7, 8 anni i bambini già cominciano a lavorare, per aiutare la famiglia, oppure imparano il mestiere del contrabbando o quello più pericoloso del ladro, …

Già da come si svolgono per un bambino napoletano i primi mesi o anni di vita, dall’assistenza pubblica che gli viene riservata, si capisce che c’è un disprezzo totale per la vita umana: quella meridionale è una società in cui il capitale non garantisce nessuna protezione per la riproduzione della “forza-lavoro”; perché non gli interessa (per questo mancano i più elementari servizi sociali), qui la gente è quasi carne da macello: non si sfrutta la loro forza-lavoro soltanto: gli si ruba la vita, con uno sfruttamento intensivo e massiccio. Basta pensare per un attimo alle migliaia di operai occupati nel lavoro “nero” a domicilio, con ritmi bestiali e paghe da fame, guadagnate, appunto, “con la vita”, in sottoscala umidi e bui, in stanze malsane. Basta per un attimo pensare alle centinaia di operaie-bambine colpite dalla polinevrite tossica da collanti (per le colle usate nella fabbricazione di scarpe e borse) che ha lasciato a molte di loro segni irreversibili, oltre ad averle espulse dal mercato del lavoro, quasi come “oggetti usati, ormai inservibili”.

Ma i bambini non pagano solo quando già sono “grandicelli”: pagano da subito appena nati, come il virus ha recentemente mostrato, e pagano da sempre se la mortalità infantile è così alta, da raggiungere il 135 per mille, in alcuni quartieri. E che cosa pagano? Le case malsane ed umide (per cui il freddo “uccide”), le strade sporche nelle quali sono costretti a giocare a dalle quali contraggono le note malattie infettive, pagano pure il fatto che spesso i loro genitori non lavorano e non hanno sufficienti soldi per comprare da mangiare o per un quantitativo “sufficiente” di pappine vendute dalle grandi multinazionali. Pagano anche la spesso criminale organizzazione sanitaria e l’irresponsabilità di molti medici.

L’attuale condizione dei bambini a Napoli e nel Sud non è una fatalità, né è solo il prolungamento di una situazione di miseria atavica; è invece aggravata ed è il frutto di precise scelte economiche e politiche.

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