
Cassandra
Qualche domandina al nuovo Governo
Un prima
Nel mio primo intervento in questa rubrica avevo posto alcuni interrogativi in merito alla situazione esistente nei servizi 0-6, a partire da una specifica considerazione: una volta sanciti determinati principi, era necessario constatare che la loro traduzione pratica avesse ancora molta strada da percorrere. E ricordavo che, in un contesto di democrazia attiva, se si proclama l’esistenza di un diritto, dovremmo renderlo effettivamente esigibile. Insomma, non solo belle parole, ma fatti concreti.
Nel momento in cui scrivo si è aperta una crisi politica, che dovrebbe portare in breve tempo alla formazione di una nuova compagine governativa, in continuità o diversa, da quella che ci ha condotto negli ultimi mesi ad affrontare la crisi sanitaria, l’avvio del piano di investimenti europei, la guerra in Ucraina con i suoi risvolti umanitari e socio economici. Giusto per citare i fatti più eclatanti. Perché a questi fatti si sono connessi processi di ulteriore accentuata diseguaglianza tra chi già eguale non era e di accrescimento di quella povertà economica educativa e culturale che più volte molte voci stavano e continuano a richiamare.
È un bene che la cosiddetta “agenda Draghi” si sia chiusa anticipatamente? Ovviamente ognuno avrà il suo personale giudizio in merito; mi limito a constatare che una maggioranza, per quanto eterogenea fosse, basata sulla necessità di tenere insieme un progetto che aveva riposizionato il nostro Paese nell’ambito dello scacchiere europeo ponendolo come entità nazionale credibile è saltata sugli esiti di elezioni amministrative che hanno offerto ad alcuni partiti l’occasione di uscire dagli impegni gravosi, che governare una comunità comporta, per ritornare a perorare fantastici programmi capaci di recuperare la supposta verginità perduta e per altri di capitalizzare un posizionamento maturato nel tempo.
Ciò che oggi abbiamo davanti, sempre nel momento in cui scrivo, è un vuoto politico che guarda caso coinciderà con la ripresa dell’anno scolastico e educativo, nel momento in cui bisognerebbe elaborare un bilancio dello Stato non in fretta e furia per evitare esercizi provvisori, in cui giungono a termine alcuni processi avviati (vedasi i bandi sullo 0-3) e altri avrebbero potuto o dovuto essere affrontati.
Anche se volessimo riconoscere all’apparato burocratico centrale una propria autonoma capacità operativa, non può essere il dirigente a fare il ministro; o almeno speriamo seriamente che non accada. Ci troveremo dunque con alcuni mesi di moto rettilineo uniforme (se ci va bene) in attesa che qualcuno riprenda in mano la matassa e cerchi, sempre che lo ritenga opportuno, di sbrogliarne i nodi.
In tutti i casi, confido che si sia andati a votare. Non solo perché il famoso invito oriettabertiano a lasciare andare avanti da sola la barca (per chi non era ancora nato all’epoca, la canzone diceva “ fin che la barca va lasciala andare, fin che la barca va tu non remare”) non prende in considerazione che intanto ci sono correnti nell’acqua che quella barca la spingono e la direzionano forse anche dove non vorresti andare, ma anche perché oggi più che mai la voce di chi nel sistema educativo opera non può solo essere quella dell’insoddisfazione e del malcontento.
E un dopo
Mentre leggete queste piccole considerazioni si è votato (a proposito, avete votato e quindi sapete a chi chiedere conto del vostro voto?) e dunque qualcuno ha vinto.
Mi sembra allora utile sottoporre all’attenzione di chi si appresta a governare questo Stato e il Ministero dell’Istruzione alcune piccole considerazioni personali, quelle che ho usato in prima battuta per valutare i programmi che i diversi partiti hanno presentato agli elettori per ottenere la loro fiducia.
A partire dalla considerazione di fondo: ci sono bambine e bambini che hanno diritti da vantare e da vedere realizzati, perché è sui loro diritti che si può fondare un serio e positivo sviluppo dell’intera comunità. E dunque.
Le bambine e i bambini che vivono in Italia sono tutte e tutti italiani? O c’è qualcuno di seria A e qualcuno di serie B che invece si deve conquistare i galloni sul campo dopo anni e anni di apprendistato? Non si tratta solo di essere coerenti con le dichiarazioni internazionali, le raccomandazioni europee, gli atti cui il nostro Paese aderisce, gli studi di settore, le evidenze di buon senso; si tratta di riconoscere la piena soggettività a tutti coloro che stando sul nostro territorio concorrono, sin dalla loro nascita, a determinarne lo sviluppo futuro. Si tratta di comprendere che abbiamo bisogno, in un Paese che sta demograficamente esaurendosi, di tutte le utopie possibili che solo i giovani possono darci.
L’Europa rimane un riferimento o ci muoviamo da soli? Non possiamo infatti dimenticare che esiste un sistema più largo del nostro che ha peraltro negli ultimi anni definito alcuni obiettivi rispetto cui siamo ancora distanti (il 33%, i parametri di qualità nel campo educativo, non ultimi i livelli economici riconosciuti a chi nel sistema educativo opera, tanto per fare pochi esempi) e che ha permesso di utilizzare sostanziose risorse per sostenere lo sviluppo dell’offerta, dal PNRR al Child Guarantee.
Ci sono le risorse umane, organizzative, economiche per garantire che le bambine e i bambini in ogni e qualsiasi parte del nostro Paese possano godere degli stessi servizi di qualità a sostegno del proprio sviluppo e della propria autonomia? Indipendentemente dalla loro situazione economica, sociale, fisica, familiare, di sesso e di appartenenza? Sarà possibile avere uno Stato in cui la spesa per l’educazione e l’istruzione rientra negli investimenti strutturali e di sviluppo e non più pensata come una risorsa finanziaria da comprimere e ridurre?
La valorizzazione del personale, tutto senza distinzioni, che opera in questo sistema è e può diventare un serio e concreto valore aggiunto? Dai percorsi formativi di ingresso a quelli in itinere fino ad una ricomposizione anche contrattuale almeno nell’ambito 0 6 e tra pubblico e privato, sarà possibile attivare un processo virtuoso capace di valorizzare anche agli occhi di chi ancora non se ne è accorto quanto queste professionalità siano decisive nello sviluppo del nostro contesto democratico? Se sì, cara o caro Ministro, da subito serve sapere quale percorso sarà intrapreso.
Ancora una piccola cosa, ce ne sarebbero tante altre, ma cara o caro Primo Ministro, me la permetta: arriveremo mai a superare la frammentazione tra ministeri, centri di spesa, autonomie vere o posticce, competenze disseminate tra servizi e uffici (quando poi dove servirebbero non ci sono il più delle volte) per arrivare a un centro unico di competenza sull’infanzia e l’adolescenza. Una strutturazione dell’organizzazione statale non più gerarchica ma per funzioni e obiettivi a sostegno di una prioritaria, se non fondamentale, risorsa del Paese: i più giovani cittadini di oggi e del futuro.
Così tutte e tutti noi, anche dalle famiglie fino al variegato mondo di soggetti pubblici e privati che in questa scommessa ancora credono, sapremo almeno a chi telefonare.