Intervista a Franca Marchesi
di Sandra Lei
Come i servizi per la prima infanzia e la costruzione di una cultura che li sorregge possono essere sostenuti dalla figura del coordinatore pedagogico?
Ritengo che il lavoro del coordinatore pedagogico sia molto importante per il sostegno e lo sviluppo dei servizi. A partire anche dalla mia esperienza personale nei Comune di Bologna, posso rilevare che tale figura si è modificata nel corso del tempo; nei primi anni nei quali sono stati attivati i coordinamenti pedagogici in maniera capillare (gli anni Ottanta, indicativamente) il loro lavoro si svolgeva a stretto contatto dei servizi e supportava gli operatori, sostenendoli nella progettazione e organizzazione del lavoro, nell’inserimento dei bambini disabili, ecc. Attualmente, pur mantenendo, e anzi incrementando questo ambito, l’intervento del coordinatore si rivolge, forse più fortemente che in passato, all’ambito del rapporto con le famiglie caratterizzandosi con interventi e iniziative di sostegno alla genitorialità; questo a fronte delle modificazioni socio familiari che richiedono azioni mirate per rispondere ai bisogni emergenti. Spesso, ad esempio, il coordinatore pedagogico e interpellato direttamente dai genitori che richiedono un confronto per affrontare problematiche specifiche, o viene chiamato in causa dagli educatori per sostenerli nelle relazioni con le famiglie.
Cosa ha determinato questo passaggio?
Credo che tale passaggio sia stato determinato sia da una sempre maggiore attenzione e apertura dei servizi nei confronti dei bisogni delle famiglie, sia dalla molteplicità dei bisogni che le famiglie esprimono ai servizi. Se cambiano le famiglie e le loro richieste, e si afferma la consapevolezza che il bambino entra al nido portando con se la sua famiglia, il coordinatore pedagogico, insieme agli operatori dei servizi deve sempre adoperarsi per poter fornire risposte attente e congruenti ai bisogni. Questo passaggio non e semplice e comporta professionalità matura e disponibilità a rimettersi in gioco.
Nel passaggio da servizio assistenziale a educativo quale ruolo ha svolto il coordinatore pedagogico?
Il coordinatore pedagogico ha avuto un ruolo molto importante, legittimato dalla Regione Emilia-Romagna che è stata la prima a promuoverne una presenza capillare all’interno dei servizi, sostenendola anche con risorse proprie.
Ed è proprio anche con il concorso di questa figura che si è potuto realizzare il passaggio da un nido con un taglio più socio-assistenziale a un nido pienamente socio-educativo. La sua figura è importante in quanto organizza e conduce attività formative per gli operatori, sostiene i processi di programmazione e documentazione; in sintesi è responsabile dei servizi e della loro qualità.
Quando sono entrata, nei 1979, nel coordinamento pedagogico della scuola dell’infanzia del Comune di Bologna i pedagogisti, già da tempo costituiti in “équipe”, avevano un ruolo di elaborazione, di orientamento e d’indirizzo per la scuola dell’infanzia a livello locale. Rispetto ai nidi, servizi più recenti e con meno anni di storia pedagogica, a Bologna il coordinamento pedagogico, nei primi anni, aveva competenze legate in particolare all’organizzazione della formazione a livello cittadino in assenza di Orientamenti pedagogici ben definiti.
L’arrivo del pedagogista come è stato vissuto dagli educatori?
È necessario fare una breve storia dei nidi bolognesi, che precede l’arrivo del coordinatore stabile.
Cerano gruppi di lavoro che avevano un confronto al loro interno molto alto, molto forte sui principi educativi e sul benessere dei bambini, con dibattiti accesi nei quali si confrontavano diverse visioni dell’educazione. All’inizio, non essendoci il coordinatore pedagogico, il confronto veniva svolto con i tecnici del Consorzio socio sanitario, che sono stati dei punti di riferimento importanti anche per i primi corsi di formazione.
Questo però è avvenuto un po’ a macchia di leopardo, in guanto alcune zone della città sono state particolarmente seguite, in altre realtà il rapporto con l’esterno e stato minore e quindi il confronto sui temi fondanti del nido avvenivano soltanto all’interno del gruppo delle educatrici. Non bisogna dimenticare che negli anni Ottanta un ruolo importante è stato svolto dalle Dirigenti di Comunità, figure con competenze prevalentemente della gestione/organizzative ma chiamate a far fronte a volte anche a problematiche di carattere educativo. Queste figure, decentrata nei quartieri, seguivano due servizi ciascuno e la loro presenza e servita a mantenere i nidi complessivamente su un buon livello.
Al momento dell’ingresso del coordinatore come figura stabile, con responsabilità e competenza essenzialmente pedagogica la Bologna questo si è verificato con il concorso del 1984), negli operatori si sono manifestati due atteggiamenti e modalità di accoglienza: alcuni gruppi, che avevano in precedenza fortemente richiesto la presenza di pedagogisti stabili che li seguissero in modo costante come avveniva per le scuole dell’infanzia, sono stati molto soddisfatti per questa scelta caricando il pedagogista, a volte, di aspettative eccessive considerandolo figura quasi onnipotenti. Per citare una mia esperienza personale, ricordo che in alcuni nidi mi chiedevano addirittura di spostare dei muri, ritenendo avessi delle competenze onnicomprensive, che andavano dall’architettonico al gestionale, al pedagogico. Altri gruppi, al contrario ritenevano l’ingresso del pedagogista come un possibile “controllo”, una “intrusione” nelle loro modalità relazionali ed educative, strutturate da tempo, ormai consolidate e sulle quali non desideravano che qualcuno dall’esterno entrasse più di tanto. Il lavoro agli inizi è stato anche volto a mediare tra la necessità di apportare alcuni cambiamenti, soprattutto in modo da rendere più “omogeneo” a livello cittadino il progetto educativo e le esperienze positive consolidate da tempo.
Come accennavo prima, il coordinamento pedagogico dei nidi si è realizzato stabilmente nel 1984, mentre i primi nidi comunali sono stati aperti a tra 1969 e 1970, aumentando numericamente da subito in maniera importante.
La cultura dei servizi per la prima infanzia può avere un’evoluzione grazie al coordinatore pedagogico?
Sono vari i livelli in cui questa evoluzione può essere promossa: a un livello più generale, la Regione Emilia-Romagna dà input e supporto alle singole realtà territoriali affinché la cultura dei servizi possa continuare a evolvere, promuovendo e finanziando progetti di ampio respiro, quali gli scambi pedagogici, la documentazione, la formazione dei nuovi coordinatori. A livello locale i coordinatori pedagogici possono sostenere la cultura dell’infanzia prima di tutto avendo un forte raccordo con il territorio, conoscendone quindi i bisogni, ma anche le risorse, promuovendo il difficile e impegnativo lavoro di rete per la costruzione di un sistema integrato, non solo tra i servizi, ma anche attraverso un raccordo sul piano socio sanitario, quindi con altri ambiti e altre professionalità che comunque concorrono alla “cultura dell’infanzia“.
Molto lavoro a questo proposito si svolge nel Coordinamento Pedagogico Provinciale.
Cruciali in tal senso sono anche i temi della documentazione e della formazione dei coordinatori e degli operatori; intatti la cultura dei servizi è supportata dalla formazione, mentre la documentazione svolge un ruolo importante nel renderla visibile e nel farla conoscere a interlocutori diversi.
Per quanto riguarda la formazione, mi sembra fondamentale che sia definita e organizzata dal pedagogista e dal gruppo dei pedagogisti che lavorano direttamente con i servizi e quindi possono tararla sui bisogni dei gruppi di lavoro anche se, a volte, e per precise necessità può essere utile il punto di vista di esperti esterni.
Qual è la tematica su cui gli educatori chiedono il sostegno?
Un filo rosso costante che accompagna le richieste di sostegno da parte degli operatori riguarda il rapporto tra adulti, sia con le famiglie, (difficoltà o incomprensioni nella relazione genitori/educatrici, difficoltà di impostare quell’alleanza educativa importante per un positivo percorso educativo). ma anche le relazioni con i colleghi nei gruppo di lavoro.
Un altro tema, che sta coinvolgendo i nidi e sempre di più li coinvolgerà, anche in relazione al percorso verso l’accreditamento, è quello legato all’autovalutazione, pratica non ancora entrata nella quotidianità del lavoro al nido, ma tema di grande interesse su cui e necessaria una buona formazione e un supporto per gli educatori.
Per quanto riguarda il nuovo fenomeno dell’ingresso al nido di famiglie di altre culture, da parte del personale del nido c’e interesse e motivazione a conoscere le differenti modalità educative legate alle varie culture.
Anche l’inserimento al nido dei bambini con disabilità richiede supporto, in guanto vengono inseriti anche bambini molto piccoli, con disabilità importanti e che necessitano di interventi mirati; le educatrici chiedono di essere accompagnate, anche con momenti di supervisione, per sostenere le emozioni che l’inserimento di bambini con particolari patologie può produrre, infine, come accennavo anche prima, il percorso della documentazione deve essere continuamente sostenuto, in quanto elemento fondamentale del progetto pedagogico, ma anche strumento indispensabile per rendere visibile la ricchezza del lavoro all’interno dei servizi, e trasmettere memoria alle nuove generazioni di educatrici e pedagogisti del patrimonio educativo, consolidato negli anni.
Franca Marchesi già Responsabile del Coordinamento servizi prima infanzia, Settore Istruzione del Comune di Bologna
E. Bigi e S. Mei (a cura), I Servizi per l’infanzia in Emilia-Romagna, Bologna, 2010