In questi mesi ho avuto occasione di incontrare moltissime educatrici in diverse città italiane. Il quadro che ne ho ricevuto è che esista un grandissimo impegno e una forte professionalità che non demordono nonostante il quadro generale spesso deprimente.
Certo le prime reazioni sono di sconforto, di lamento per la scarsa considerazione che esiste oggi nei confronti del sistema educativo. Emergono problemi reali di non scarso rilievo sulla carenza di risorse, sulla precarietà diffusa, sulle incertezze del quadro politico e del futuro personale.
Con tutto questo l’attenzione ai bambini, la cura per il lavoro, la disponibilità a discutere, a confrontarsi, a crescere è estremamente viva.
Anche il recente Convegno del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia ne è la dimostrazione. Una presenza numerosissima (probabilmente la più alta dell’inizio della storia del Gruppo), partecipazione altissima e ricca di apporti e contenuti, basata sostanzialmente sulla disponibilità personale delle educatrici e delle insegnanti che hanno messo il loro tempo, il loro impegno a scapito delle esigenze personali e famigliari e spesso (molto spesso) pagandosi anche le spese del viaggio e della partecipazione.
Una situazione di tenuta generale, sopravvivenza della qualità raggiunta nel tempo dai servizi educativi.
Ma nello stesso tempo una “resistenza” silenziosa, ripiegata un po’ su se stessa, quasi rassegnata al dover fare da sole.
Certamente è importante, è positivo, ma possiamo rassegnarci a sopravvivere?
In una situazione generale di grandi cambiamenti, irreversibili, il futuro ci chiede di prendere posizione attiva.
Ci troviamo di fronte a un denatalità in progress, a mutamenti scoiali che modificano di giorno in giorno le prospettive di futuro delle giovani generazioni, delle nuove famiglie. I bambini che ci vengono incontro sono prodotto di una mutazione genetica (non banalmente legata al digitale, che sotto questi aspetti resta fenomeno marginale) che intacca gli atteggiamenti profondo verso le vita, verso il futuro, verso il senso di impegno per costruire la propria vita.
Una generazione che vive di rinnovi contrattuali di tre mesi in tre mesi, che progettualità può avere? Che prospettive può trasmettere ai propri figli (quando ha il coraggio di dare vita a un progetto procreativo)?
Sono domande che dobbiamo porci, ma soprattutto che dobbiamo porre alle forze sociali e politiche. Chi ci rappresenta (o dovrebbe rappresentarci) si rende conto che non è più possibile riferirsi al passato come a un modello da sviluppare? Sono/siamo coscienti che non si tratta di superare una crisi economica lunga e pesante, ma che dobbiamo fare i conti con una mutazione genetica di società?
Domande non semplici, ma credo anche stimolanti per ridare corpo alla nostra professione, per essere innovatori, esploratori e cocostruttori di un nuovo mondo che dal campo del “possibile” è diventato immanente.
Abbiamo davanti terre nuove da esplorare, dove costruire percorsi sicuri, originali e positivi per i nostri bambini. Oggi, forse come non mai, il futuro è nelle nostre mani e sta a noi veramente plasmare la società che abbiamo sempre desiderato e che ci è sempre sfuggita.
Auguriamoci reciprocamente buon lavoro e buon futuro.