Livio Amato
L’educazione alla teatralità come possibilità di affermazione della propria identità e per il superamento delle differenze a favore dell’inclusione
Quando una scuola privilegia l’attività pratica ed è orientata a formare capacità concrete di azione, il teatro prende l’iniziativa, diventando uno stimolo per l’educazione.
In quest’ottica il mondo dell’educazione abbraccia dunque la realtà teatrale e, accolto così, il teatro è realmente “specchio del mondo”, come afferma anche un noto detto popolare. Esso offre, inoltre, un’enorme quantità di situazioni socio-etico-morali ed emozionali vissute dagli scolari sulla scena.
Tra scuola dell’infanzia e il teatro si osserva una forte correlazione positiva, soprattutto perché il teatro è gioco! Non a caso “recitare” in inglese, e quindi in molte parti del mondo, si traduce con “play”, cioè giocare.
Come sappiamo, il gioco simbolico e il linguaggio costituiscono le prime e più impressionanti manifestazioni delle precoci competenze simboliche dei bambini. Un modo di giocare che stimola la capacità di pensare la mente propria e altrui.
La caratteristica peculiare del gioco simbolico è la sua azione trasformativa nei confronti della realtà: non soltanto il bambino può immaginare se stesso, come se fosse un altro, ma può operare in modo creativo sulla realtà fisica e sociale.
Giocare a “fare come se” è una componente naturale nella vita di ciascun bambino. Questa attività consente loro di dare un senso alla propria identità attraverso l’esplorazione di situazioni immaginarie che presentano strutture parallele a quelle presenti nel mondo reale.
Dai tre anni, acquisite nuove abilità sia cognitive sia sociali, i temi del gioco simbolico non dipendono più dall’esperienza diretta del bambino ma diventano temi di fantasia e partecipazione sociale, di condivisione con altri bambini.
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A quest’età i bambini coinvolti nel gioco sociodrammatico appaiono chiaramente consapevoli della situazione e tendono a sottolinearla, così come evidenziano l’essere dentro o fuori la situazione di fantasia e parallelamente “imparano” a recitare la propria parte nella vita reale. Riescono per anche ad anticipare quella degli altri, creando quella che Merton chiamava una socializzazione anticipata, cioè l’aspirazione a far parte di un gruppo.
In questo contesto il sé emerge come prodotto della rappresentazione, non come la sua causa: il sé non ha origine nella persona del bambino, ma nel complesso della sua rappresentazione, è un effetto drammaturgico.
L’attore, invece, ha capacità di imparare, e la esercita per prepararsi a una parte: entra in contatto con i compagni d’équipe, con il pubblico, con altri attori, usa tatto e prova vergogna. Questi tratti sono di natura psicobiologica, non più drammaturgia.
Nella scuola dell’infanzia Crescimondo di Cosenza, il laboratorio teatrale ha trovato sede stabile e così si promuovono le capacità espressive dei bambini, senza la pretesa di trasformarli in attori ma creando insieme a loro uno spazio magico in cui sperimentare con corpo e voce.
Quando questo luogo viene abitato dai bambini ci si deve muovere in punta di piedi perché si tratta di un universo delicato fatto di sensazioni, immaginazione, fantasia, emozioni. L’insegnante li accompagna al riconoscimento di esse, a dargli un nome, li guida nello sviluppo di un pensiero e un agire creativo.
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Spesso per i bambini, soprattutto per i più piccoli è difficile dare un nome a ciò che stanno provando, vivono pienamente questo tempo della sperimentazione su se stessi, si mettono alla prova continuamente anche a livello emotivo.
Tra i compiti del teatro vi è quello di fornire gli strumenti necessari per veicolare queste energie e riutilizzarle per la costruzione di una libertà comunicativa ed espressiva.
Non ci sono gesti precostituiti da insegnare o parole programmate da imparare e non si lavora su un modo più giusto di un altro per rappresentare una certa azione. Esiste il corpo di ognuno di noi, la nostra voce, ed esiste un agire attraverso di essi, un agire unico e personale, da valorizzare e veicolare.
E così in base alle stimolazioni di un racconto, o al ritmo di una musica o ad una suggestione fantastica i corpi dei bambini imparano a muoversi seguendo una “intenzione”, una “motivazione”, esprimendosi in modo libero, personale e creativo e dunque assolutamente unico.
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Ogni incontro rappresenta un viaggio a sé e comincia proprio con la costruzione fisica di un cerchio magico che crea un confine tra il fuori e il dentro lo spazio scenico.
All’interno del cerchio magico si raccontano storie che diventano guida e stimolo per lavorare sul corpo e sulla vocalizzazione grazie anche all’utilizzo di alcuni oggetti simbolici come conchiglie, teli che diventano prati, fili di lana, foglie, veli, petali di fiore… oggetti che fanno da tramite tra il mondo reale e il mondo immaginifico del teatro.
Si attraversano foreste innevate facendo fatica a sollevare i piedi, ci si trasforma in alberi con le radici ben piantate per terra e subito dopo siamo foglie mosse dal vento. Siamo vento, e pioggia, e anche fiamme di un fuoco. Camminiamo in bilico su un burrone, affrontiamo e attraversiamo tristezza e paura, viviamo pienamente lo stupore e la gioia. Siamo bruchi e poi farfalle dalle ali colorate.
Scrive Gisela Eberlein: “per vedere veramente, a volte occorre chiudere gli occhi.” Con la fantasia tutto è permesso, anche trasformare il mondo intero.
“Fare” teatro nella scuola dell’infanzia significa imparare modi nuovi di comunicare con gli altri, scoprendo così quanto sia vasta la gamma delle comunicazioni verbali e non verbali.
Mettersi nei panni di… fare come se… fare finta che… costituiscono un esercizio semplice, ma indispensabile perché i bambini e le bambine imparino a guardare le cose e i fatti del mondo in modo originale, trasformando la realtà per capirla meglio.
La comunicazione teatrale, tra bambini, non ha bisogno del pubblico inteso in termini tradizionali. In questo spazio sono l’insegnante o l’altro bambino il pubblico che alimenta il processo comunicativo. È proprio l’incontro sul palcoscenico tra insegnante e gruppo dei pari ad agevolare la comunicazione e arricchirla con nuovi linguaggi.
Durante l’incontro si comunicano le proprie emozioni, si prende coscienza di sé e di ciò che ci circonda, si supera la mancanza di fiducia in se stessi, la timidezza, l’aggressività, ci si apre verso l’altro e il mondo circostante (il sé e l’altro).
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Inoltre, l’importanza e la consapevolezza della consegna al pubblico, del dono (perché di questo si tratta) che gli attori porgono al pubblico del proprio corpo, della propria voce, del proprio agire all’interno di un luogo scenico (agire non solo fisico ma anche e soprattutto emotivo), è, nella maggior parte dei casi, una necessità dell’adulto, non del bambino. Per quest’ultimo, invece, l’esperienza unica e irripetibile è il tempo sospeso del laboratorio durante il quale superare i propri limiti e seminare bellezza dentro e fuori di sé.
Il Teatro, inteso come forma interattiva di linguaggi diversi: verbale, non verbale, mimico, gestuale, iconico, musicale, si configura come prezioso strumento formativo multidisciplinare che coinvolge lo sviluppo dei linguaggi, le abilità drammatiche, un vocabolario teatrale, l’azione collettiva, per superare i problemi nella comunità. Apprendendo queste competenze le situazioni della vita reale si esprimono più chiaramente.
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In questo senso la “teatralità” dilata la nozione di teatro e si pone come un concetto che considera tutti i linguaggi artistici veicoli per lo sviluppo della consapevolezza del sé e della propria capacità relazionale e comunicativa. L’azione espressiva del bambino diventa un processo formativo di autopedagogia e di sviluppo del proprio agire creativo.
Il Teatro-Educazione parte dalla convinzione che ogni individuo ha una propria preziosa pre-espressività naturale che lo caratterizza in modo particolare, della quale, però, non tutti hanno coscienza. Conoscere la propria pre-espressività significa conoscere se stessi.
L’attività teatrale diventa un processo educativo nel momento in cui implica un lavoro del soggetto su se stesso, che lo porta alla scoperta del proprio essere uomo.
L’esperienza teatrale ha dunque come obiettivo l’individuo, e tutto avviene nella relazione. È un’occasione per la conquista di sé, ma anche spazio di costruzione di rapporti significativi volti a rinforzare l’identità di gruppo, a stimolare la conoscenza reciproca, la condivisione, la cooperazione, la valorizzazione dell’eterogeneità. È, sintetizzando, un percorso individuale in un lavoro di gruppo.
L’educazione alla teatralità rappresenta per chiunque una possibilità preziosa di affermazione della propria identità, sostenendo il valore delle arti espressive come veicolo per il superamento delle differenze e come vero elemento di inclusione.
Bibliografia
- E. Baumgartner “ Il gioco dei bambini”-Carocci editore 2010
- M. Delle Donne “Lo specchio del non sé. Chi siamo, come siamo nel giudizio dell’Altro” – Liguori editore 2001
- H. Dentale “Lo spazio Teatro Gioco” – Collana Quaderni Didattici Teatro in Gioco – Youcanprint Self- Publishing 2015
- H. Dentale “Il corpo narratore di storie”-Collana Quaderni Didattici Teatro in Gioco – Youcanprint Self-Publishing 2015
- G.Di Cristofaro Longo “ Identità e cultura. Per un’antropologia della reciprocità- edizioni Studium 1993
- G. Eberlein “Le fiabe che rilassano”-Rededizioni 2017
- I. Filliozat “Le emozioni dei bambini”- Edizione Pickwick 2014
- E. Goffman “ La vita quotidiana come rappresentazione- edizioni Il Mulino 1969
- F. Martire, The sociology of Merton: the indeterminacy of action and social structures Quaderni di sociologia, 2009
- B.Masini “Quello che ci muove” una storia di Pina Bausch – rueBallu edizioni 2017
- T.D. Kempes, P. Thoits, A. Russel Hochschild, E. Doyle Mc Carthy, W.M. Wentworth e John Ryan -introduzione a cura di Gabriella Turnaturi- edizioni Anabasi 1995
- Lewicki Tadeusz , “Teatro e educazione” in Franco LEVER • Pier Cesare RIVOLTELLA – Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche
- A. Touraine “ Il ritorno dell’attore sociale” -traduzione di Nicola Porro- Editori Riuniti 1988