L’autore argomenta sui modi in cui lo studio della musica è utile allo sviluppo della mente: nel potenziare la memoria di lavoro, nel fornire un riscontro immediato nell’ascolto del brano eseguito e nel provocare l’esperienza corporea propria e altrui.
La musica nutre il pensiero
Ormai numerosi studi provano che i bambini che studiano musica hanno un livello intellettivo superiore a chi, di pari condizioni socio-economiche, si dedica ad altre attività. Allora la musica può essere un buon alimento per l’intelligenza? Occorre essere cauti prima di tirare questa conclusione. Infatti potrebbe essere che siano i bambini più intelligenti ad essere indirizzati ad imparare la musica e non la musica a renderli più intelligenti. Ci sono però delle ricerche che permettono di stabilire che è proprio lo studio della musica che determina maggiori capacità cognitive. Assegnando infatti i bambini in maniera casuale al gruppo che per un anno si dedicherà allo studio del canto o del pianoforte oppure al gruppo che seguirà un corso di teatro e verificando che i livelli di intelligenza iniziali siano simili nei due gruppi, risulta che al termine di queste esperienze è il primo gruppo ad ottenere in vari test punteggi superiori a quelli del secondo gruppo.
Ma perché la musica riesce a stimolare lo sviluppo delle capacità di pensiero meglio di altre attività? Un primo motivo è che la musica allena una funzione importante quale è la “memoria di lavoro”, ossia quella forma di memoria che ci permette di tenere a mente delle informazioni mentre svolgiamo un compito. Per esempio, mentre leggete questa frase, mentre i vostri occhi si spostano sulle parole successive dovete tenere a mente le parole precedenti se volete capire il significato di tutta la frase. Questa è la memoria di lavoro ed essa è implicata in una molteplicità di situazioni, e per questo ha uno stretto rapporto con l’intelligenza. Chi esegue un brano di musica deve innanzi tutto individuare una serie di informazioni che sono riportate all’inizio dello spartito, che dicono per esempio quale è il tempo, la velocità e la tonalità del brano. Queste informazioni devono essere ricordate lungo tutta l’esecuzione e quindi è un bell’esercizio per la memoria di lavoro.
Un altro motivo per cui la musica aiuta a sviluppare le capacità mentali è dato dal fatto che essa dà un feedback immediato a chi vi si dedica. Se studio una pagina di storia o svolgo un esercizio di matematica, non so se sto facendo bene – se non quando uno mi interroga o mi dice il risultato finale che avrei dovuto ottenere – e quindi non ho la possibilità di accorgermi degli errori che sto commettendo e, conseguentemente, di porvi rimedio. Invece se commetto un errore mentre sto imparando un pezzo musicale posso accorgermene subito perché il mio orecchio mi dice che c’è qualche cosa che non va. Studiando la musica si impara così a regolare da se stessi l’apprendimento, il che non è poco se l’obiettivo è di “imparare ad imparare”.
Musica embodied
Una terza ragione è il collegamento tra la musica e il corpo. Innanzi tutto, la musica nasce sempre da un gesto corporeo (soffiare, battere …). Inoltre vi è una rilevante produzione musicale che è composta ed eseguita tenendo presenti le azioni che la dovranno accompagnare (come avviene nel caso del ballo o delle marce militari). Addirittura, presso certi popoli dell’Africa non esiste una parola distinta per indicare la musica; esiste soltanto un termine che indica la contemporanea presenza di musica e danza. E anche negli ambienti occidentali dedicati alla fruizione musicale, quali le sale da concerto ove la musica è fatto esclusivamente da ascoltare e non da agire, il movimento non è assente: si pensi ai movimenti degli esecutori e quelli attraverso cui il direttore comunica agli orchestrali il modo con cui desidera vengano prodotti i suoni o al battito ritmato del piede o agli ondeggiamenti del capo che automaticamente scattano negli ascoltatori.
Dal punto di vista ontogenetico, il collegamento tra musica e movimento si stabilisce molto precocemente. A 4 mesi i bambini iniziano a rispondere alla musica con ampi movimenti del corpo. A 18 mesi i bambini accompagnano spontaneamente l’ascolto musicale con movimenti ritmici sincronizzati con i suoni.
Si è mostrato che a 7 mesi un bambino manifesta la preferenza per un ritmo che è stato associato al dondolio sincronizzato della sua culla. Gli sperimentatori predisposero un ritmo ambiguo che poteva essere interpretato come una marcia (Un-due, Un-due ecc.) se l’accento cadeva su un battito ogni due, oppure come un valzer (Un-due-tre, Un-due-tre ecc.) se l’accento cadeva ogni tre battiti. Un gruppo di bambini era dondolato per due minuti tra le braccia di un adulto a ritmo di marcia (accento ogni due battiti) e un altro gruppo a ritmo di valzer (accento ogni tre battiti). Successivamente i bambini erano sottoposti a un test in cui si valutava la loro preferenza (manifestata scegliendo di guardare una luce che attivava lo stimolo sonoro) per il ritmo binario o quello ternario. I bambini dondolati a ritmo di marcia preferirono ascoltare il ritmo binario e quelli dondolati a ritmo di valzer quello ternario.
Non è soltanto l’esperienza corporea personale che viene messa in relazione con la musica dai bambini, ma anche il movimento corporeo altrui. Bambini di 3-4 mesi sono in grado di rilevare quando ritmo sonoro e ritmo visivo sono coordinati tra loro e quando scoordinati. Negli esperimenti condotti al riguardo si poneva di fronte al bambino una scena visiva in cui un pupazzetto raffigurante un animale compiva dei salti. Un suono veniva prodotto o proprio nel momento in cui il pupazzo saltante toccava il terreno o poco dopo.
I bambini preferivano guardare la scena visiva in cui salti e suoni erano coordinati anziché la scena scoordinata (la preferenza era stabilita in base alla frequenza e alla durata delle fissazioni oculari rivolte alla scena). Bambini più grandi manifestano capacità di associazione tra musica e movimento ancor più sofisticate.
Per esempio, alcuni ricercatori chiesero a bambini di 4 e 5 anni di far ballare un orsacchiotto secondo le caratteristiche emotive di brevi segmenti musicali mentre li ascoltavano; in seguito ad adulti fu presentata la videoregistrazione dei “balletti” che i bambini avevano fatto fare all’orsacchiotto senza la relativa traccia musicale e fu loro richiesto di identificare l’emozione che il movimento del corpo intendeva esprimere. I risultati hanno mostrato che i bambini erano stati capaci di muovere l’orsacchiotto per esprimere il significato emotivo della musica. L’analisi dettagliata del modo in cui i bambini muovevano l’orsacchiotto mostrò che i movimenti verso l’alto, le rotazioni, gli spostamenti, così come il tempo e la forza dei movimenti, differivano in base al significato espressivo della musica corrispondente.
Questi dati sono coerenti con la prospettiva della cosiddetta embodied cognition, una prospettiva teorica che si è sviluppata negli ultimi vent’anni nel campo della conoscenza della mente umana e che trova sostegno in evidenze circa la connessione tra funzioni mentali e interazioni tra corpo e ambiente. Secondo l’embodied cognition ogni forma di conoscenza umana è incarnata (embodied), cioè riferita al corpo, e situata all’interno di un contesto.
In questa prospettiva si sostiene che le operazioni cognitive si sviluppano inevitabilmente attraverso l’esperienza corporea.
Recenti scoperte scientifiche hanno mostrato che alcune aree cerebrali, come ad esempio le aree motorie primarie, si attivano non soltanto durante l’esecuzione dei movimenti, ma anche in fase di osservazione del movimento umano.
L’idea che la fruizione musicale sia basata su una simulazione incarnata o sull’imitazione di alcune forme sonore in movimento ha una lunga tradizione in filosofia e in musicologia che parte dai primi anni del Novecento, ma che è stata riscoperta solo di recente. Alcuni studi mostrano che la musica e la percezione della musica si riflettono nelle risposte messe in atto dal corpo (locomozione, eccitazione) o nei gesti che accompagnano la riproduzione musicale. Recenti studi scientifici suggeriscono che il coinvolgimento del corpo nella percezione musicale non può essere ignorato e non può passare in secondo piano. Questi risultati indicano l’importanza dei processi interattivi non solamente nella percezione ma anche nella “significazione musicale”. Embodied music cognition significa che l’elaborazione cognitiva della musica (che include i processi che hanno a che fare con l’apprendimento, la memoria, l’anticipazione) si basa sull’interazione tra il corpo e la musica stessa.
In pratica
Se la musica è in grado di suscitare con alta frequenza e intensità esperienze corporee e queste possono essere facilmente associate alle caratteristiche delle produzioni sonore, si può congetturare che la comprensione della musica, e la qualità della sua fruizione, possa essere potenziata nella misura in cui si diventa consapevoli delle valenze fisico-corporee del linguaggio musicale. Nello stesso tempo, ma nella direzione opposta, questa consapevolezza può essere utile per affinare l’“intelligenza corporeo-cinestesica”, ossia il complesso di capacità che riguardano la sensibilità, sia recettiva che espressiva, del nostro corpo e la pianificazione ed esecuzione dei movimenti. Quindi si può immaginare un percorso di reciproco potenziamento che muove dal corpo per andare alla musica e che dalla musica muove verso il corpo.
Spunti ed esempi di indicazioni per condurre bambini a cogliere la dimensione “embodied” della musica e a farla propria attraverso il coinvolgimento in esperienze corporee dirette sono riportati in un percorso descritto nel testo Crepaldi M. e Antonietti A., Musica embodied. Dal corpo al linguaggio dei suoni: un percorso operativo e in una serie di schede operative raccolte in un’altra pubblicazione – Antonietti A., Colombo A., Germagnoli S., Pace G., Pradella C. e Stievano G., A suon di lettere. Attività sonoro-musicali per il potenziamento delle abilità linguistiche, Rugginenti.
Entrambe le proposte pratiche possono anche essere attuate con intenti di potenziamento o di riabilitazione in quanto la musica diventa strumento per sollecitare lo sviluppo di competenze cinestesico-motorie, ma anche per affinare le capacità discriminative e di giudizio percettivo, la sensibilità tattile, la motricità fine, la sincronizzazione motoria, l’espressività corporea e il linguaggio. Le attività inoltre possono essere utili anche per stimolare capacità generali, non ristrette all’ambito acustico e motorio, quali l’attenzione, la memoria di lavoro, l’immaginazione.
Tutti allora a studiare musica? Non è questo il messaggio che necessariamente proviene da questo tipo di ricerche. In mancanza di un interesse di partenza per la musica il suo studio rischia di diventare, come forse qualcuno ne ha fatto esperienza, un “supplizio”. Queste ricerche ci dicono invece che ha senso studiare la musica non soltanto per diventare degli affermati artisti. Anche se ci si fermerà a un livello amatoriale, il tempo dedicato al mondo delle note non sarà stato tempo perso ma, oltre al piacere che ci si augura abbia suscitato, avrà sviluppato in noi delle abilità che sostengono il successo a scuola e nella vita.
E poi, se le attività – come quelle sopra accennate – non richiedono competenze musicali per essere condotte, comunque vanno a stimolare i processi sollecitati dall’attività musicale condotta a livello esperto e quindi possono produrre analoghi effetti. Quindi anche attività ispirate alla musica possono far crescere la mente.