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Ma al Ministero dell’Istruzione i servizi 0-3 interessano?

Cassandra

 

Con la Legge 107/2015 e il D.Lgs. 65/2017 abbiamo fatto nel nostro Paese un balzo in avanti nel riconoscere che i processi educativi di qualità e accessibili a tutte e tutti sono un “paletto” fondamentale nello sviluppo complessivo dei bambini e delle bambine e, con loro, della nostra comunità. Peraltro, ci siamo arrivati anche sull’onda di alcune riflessioni europee che già si erano confrontate con un pensiero pedagogico e una strategia educativa nati dall’elaborazione culturale e dai processi organizzativi e gestionali attivati proprio in Italia.

Insomma, abbiamo prima elaborato e fatto e poi dopo altri siamo finalmente arrivati a dire che.

Si è comunque affermato un primo fondamentale principio: il diritto – che, come tale, dovrebbe essere immediatamente esigibile- dei bambini e delle bambine ad un percorso di sviluppo educativo ritenuto fondamentale per la piena realizzazione del sé e per un approccio relazionale e di crescita nell’apprendimento fondamentale anche per gli anni a venire. E anche un secondo principio: considerate le caratteristiche plurime e diversificate del sistema istituzionale italiano, l’elaborazione di un processo di governance in grado di contemperare le diverse competenze degli organi pubblici al fine, comunque, di promuovere la più ampia diffusione e articolazione anche territoriale dell’accesso ai servizi.

Sanciti i principi, dobbiamo tuttavia constatare che la loro traduzione pratica ha ancora molta strada da percorrere.

Intanto, se abbiamo detto che esiste un diritto, dovremmo appunto renderlo esigibile. Il che mi sembra implichi almeno: a) predisporre una rete coordinata di servizi che rispondano alle esigenze esistenti; b) procedere con una forte campagna di sensibilizzazione all’utilizzo di tali servizi; c) rendere questi servizi accessibili non solo architettonicamente, ma anche economicamente sostenibili per i nuclei familiari a cui si rivolgono. Insomma, ci vogliono delle risorse necessarie a contenere i costi che al momento famiglie e Comuni sostengono. È infatti presumibile che i finanziamenti che a regime arriveranno per garantire l’obiettivo del 33% di offerta nei nidi d’infanzia in ogni comune o in ambiti territoriali (quali peraltro?) coprano le nuove spese di gestione indotte dagli investimenti ex PNRR. Ma i costi che già attualmente vengono sostenuti dagli enti locali (e dalle famiglie) chi li copre? Certo il fondo pluriennale ex D.Lgs.65/2017 risorse ne stanzia, certo alcune Regioni hanno attivato propri specifici stanziamenti per coprire in tutto o in parte le rette delle famiglie in maggiori difficoltà economiche, ma ancora oggi i bambini e le bambine che più ne avrebbero bisogno per recuperare almeno in parte il differenziale culturale e educativo non frequentano. E si ritorna a sentire qualche Comune che paventa l’impossibilità a gestire ancora i servizi.

Intanto lo Stato, approfittando della diminuzione di iscritti causa il calo demografico, propone di ridurre i fondi del Ministero dell’Istruzione, ancora una volta di fatto dichiarando che i processi educativi e di apprendimento sono una spesa e non un investimento. 

Ma aleggiano ancora ulteriori questioni.

Dove sta il mitico “ufficio 0 3” presso il Ministero dell’istruzione? Come mai quando si parla in pubblico di 0 3 spesso è presente il Dipartimento della Famiglia e non quel Ministro che per legge ne avrebbe direttamente la competenza? Come mai sono solo otto al momento i tavoli paritetici regionali per il coordinamento e il monitoraggio dell’applicazione del Piano pluriennale´? E tante altre domande si potrebbero fare. 

Azzardo un’ipotesi: al Ministero lo 0 3 è vissuto più come un fardello che come una visione politica strategica. D’altronde: il personale che opera in questo settore non ha attinenza diretta con Viale Trastevere, fa parte di un contesto contrattuale privato o della Funzione Pubblica, quando di diretta dipendenza delle amministrazioni comunali. E peraltro ben sappiamo le difficoltà incontrate e ancora esistenti nel raccordare potenzialmente con il segmento 0 3 il personale della scuola dell’infanzia, questo sì molto collegato agli uffici ministeriali e potenzialmente rivolto per uno sbocco professionale verso la scuola dell’obbligo e non certo verso i nidi d’infanzia.  Le risorse gestite sono in fondo ben poca cosa rispetto al più corposo fondo economico attinente la scuola dell’obbligo o dell’infanzia. La diretta possibilità di incidere anche progettualmente è stata inoltre contenuta dal ricorso (vinto) all’epoca sollevato da alcune regioni per il mantenimento di specifiche competenze alle stesse, determinandosi così un articolato quadro di governance che se da una parte, come già detto, rende conto delle diverse competenze in senso verticale degli organi pubblici, dall’altra (se vista dal Ministero) potrebbe essere anche letta come una ininterrotta e defatigante negoziazione con le Regioni e con i Comuni (che a loro volta vantano necessarie autonomie nei confronti delle stesse regioni).

Perché dunque “darsi da fare” in un ambito in cui peraltro sembrano all’orizzonte emergere questioni non così facilmente risolvibili, dal tema di una auspicabile riforma in senso integrato dei percorsi formativi (e qui magari vorrebbe dire aprire una discussione con un altro Ministero), alla promozione  di processi di omogeneizzazione degli ambiti contrattuali (ivi compreso il costo del lavoro), alla verifica delle forme di assegnazione e aggiudicazione dei servizi?

Le risorse economiche e la volontà politica: due cose che, se assenti o anche solo non adeguate, sono in grado di rinchiudere il sistema 0 3 in una “bolla” (giusto per richiamare un termine purtroppo molto in uso negli ultimi tempi) fino alla sua consunzione o comunque alla sua perdurante stagnazione.

Che fare? Lascio ai lettori i possibili suggerimenti. Mi limito ad una considerazione: esiste una legge e finché questa è la legge noi dovremmo tutti pretendere che venga pienamente rispettata, a partire dagli organi di governo che la norma ha individuato. Insomma, che ognuno compia pienamente il suo dovere e ne renda pubblicamente conto nel caso ciò non avvenga. Magari anche commissariando chi non opera in tal senso?

E se ancora siamo convinti (dati scientifici alla mano) che i percorsi educativi di qualità sono un bene e una risorsa non solo per i più piccoli ma per l’intera comunità, allora dobbiamo insieme pretendere che questi diritti diventino pienamente esigibili, anche attraverso le risorse necessarie a traghettare questo nostro paese verso un futuro più giusto ed equilibrato. E quindi che ci si avvii veramente verso un sistema universalmente garantito, verrebbe da dire “costi quel che costi”.

3 commenti su “Ma al Ministero dell’Istruzione i servizi 0-3 interessano?”

  1. Quasi 30 anni di lavoro nei nidi, in gran parte gestiti da cooperative e per una piccolissima parte gestita dai comuni.
    Ho provato e sto provando ancora oggi rabbia, delusione e, purtroppo, ultimamente, disillusione.
    Amo il mio lavoro
    amo la formazione in servizio
    amo mettermi in gioco
    Cerco opportunità lavorative che mi permettano di vivere dignitosamente, ma anche stimolanti e con possibilità di crescita. Ecco, tutto questo diventa sempre più difficile.
    Cooperative che tirano all’osso e stipendi veramente ridicoli se paragonati al carico di lavoro e alle responsabilità da sostenere.
    Le parole e le leggi sono meravigliose …. poi la realtà è diversa.
    Laura

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  2. Se ci fosse interesse ai servizi 0/3 verrebbero equiparati agli altri gradi di istruzione. I nidi d’infanzia realmente non interessano ne allo Stato ne ai comuni, infatti, questi ultimi esternalizzano i servizi con appalti sotto costo. Quando non si troveranno più educatori disposti a coprire turni massacranti per pochi spiccioli, forse qualcuno si accorgerà dei servizi 0/3.

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