Un nuovo, preoccupante allarme arriva dalle pagine del “New York Times”: l’Italia, secondo una sua analisi, è il Paese occidentale che si sta restringendo più velocemente. E forse è addirittura destinato a scomparire nel giro di pochissime generazioni, a meno che non ci sia un radicale cambiamento. Ma che cosa sta succedendo?
I tempi del baby boom sono ormai lontanissimi: la ripresa economica dopo due grandi guerre e il benessere che ne è derivato avevano spinto la popolazione italiana a mettere su famiglia, facendo registrare al Paese un notevole incremento demografico. A quei livelli non siamo mai più tornati, ma anzi siamo ormai in netto calo da decenni – e il trend non sembra affatto pronto ad invertirsi.
Anche tra le famiglie straniere, che fino a pochi anni fa avevano contribuito notevolmente all’aumento della natalità in Italia, si fanno meno figli. La causa – o meglio, l’insieme delle cause – alla base di questo problema va ricercata non solamente nel Covid che ci ha messo di fronte ad una difficile sfida o nella crisi che, da alcuni mesi a questa parte, ha visto rincari praticamente in qualsiasi settore (incluso quello alimentare). Sono ormai almeno due decenni che la tendenza è la stessa, e negli ultimi periodi ha solo subito un’accelerazione.
A fronte di un netto calo demografico, c’è anche un notevole aumento dell’età media tra gli italiani. Stiamo pian piano diventando una popolazione di anziani, colpita da quello che il “New York Times” chiama silver tsunami – ovvero lo tsunami d’argento. L’Italia è, tra i Paesi occidentali, quello che ha un più rapido invecchiamento del suo popolo: da una parte non si fanno più figli, dall’altra abbiamo una qualità della vita migliore che permette ad un numero sempre maggiore di persone di raggiungere e superare persino i 100 anni di età.
Quali sono le ricadute che già nell’immediato ci colpiscono? Chi ha preso atto del fenomeno è certamente il Ministero dell’Istruzione che ha pensato bene di ridurre le spese a bilancio immaginando una diminuzione degli accessi alla scuola e programmando di conseguenze una riduzione del numero di docenti in servizio. Operazione razionale, ma che non si pone il problema sostanziale. Un numero minore di nascite a fronte di un generale invecchiamento, non è una pura operazione matematica. Cambia profondamente anche il contesto di vita, cambiano i valori, le priorità, le prospettive.
Bambine e bambini: avremo bambine e bambini sempre più soli, figli unici, in difficoltà a incontrare compagni e compagne per formare gruppi e giocare liberamente tra coetanei. Diventeranno beni ancor più preziosi da custodire e proteggere da parte dei genitori che riverseranno ogni aspettativa, ogni attesa e ogni apprensione su quel piccolo unico tesoro.
Famiglie: sempre meno le famiglie tradizionali come ricordiamo dai modelli del passato. La filiera verticale più lunga con nonni e bisnonni a gravare sulle nuove generazioni a fronte di una rete orizzontale sempre più ridotta.
Servizi e insegnanti: certo scompariranno le liste di attesa, ma avranno ancor ragione di esistere i servizi tradizionalmente intesi e costruiti nel tempo in una società sempre più rarefatta, dove le esigenze e i bisogni sono sempre più personali e non hanno rispondenza a un collettivo che non c’è più? Di quali figure di educatori e insegnanti avremo bisogno? Quali competenze e attenzioni?
Il problema ci riguarda ci tocca tutti e non è rinviabile. Entra in discussione il sistema in cui siamo nati e cresciuti che deve rispondere a nuovi modelli a nuove visioni. Da dove incominciamo?
Occorre ricominciare a investire nella scuola, nei servizi. Occorre ricominciare a mettere le persone – tutte le persone – al centro, affinché torni la fiducia e voglia di scommettere sul presente e sui propri progetti di vita