
Giancarlo Cerini
Giovanna Zunino
Intervista a Giancarlo Cerini
Presidente della Commissione Nazionale infanzia (D.lgs. 65/2017).
a cura di Giovanna Zunino
A che punto sono i lavori della Commissione nazionale Infanzia, istituita dal d.lgs. 65/2017, con il compito – tra gli altri – di elaborare Linee Guida per il sistema integrato 0-6 e gli Orientamenti educativi nazionali per i nidi di infanzia (0-3)?
La Commissione è stata nominata nel marzo 2018 ma è stata convocata solo un anno dopo e poi nuovamente “sospesa” nell’autunno 2019. Insomma, ha risentito notevolmente delle turbolenze politiche. Nella attuale configurazione (con la presenza del mondo della pedagogia dell’infanzia, del Ministero dell’istruzione, di Regioni e ANCI), ove ho compiti di coordinamento, gli incontri sono ripresi a pieno ritmo nel marzo 2020, nonostante la pandemia ci abbia costretto a lavorare sempre e solo a distanza. Sono stati elaborati due documenti interni per l’amministrazione sull’emergenza e la ripresa (peccato non averli resi pubblici!), il documento sui LEAD (Legami educativi a distanza, che oggi tornano di attualità in caso di chiusura totale dei servizi 0-6 nelle zone rosse) e le “Linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6” (dicembre 2020). La Commissione sta ora lavorando alla definizione degli Orientamenti educativi per il segmento 0-3.
Ma qual è la differenza tra “Linee pedagogiche 0-6” e “Orientamenti 0-3”? Ci sono delle sovrapposizioni? Poi sono ancora vigenti le Indicazioni Nazionali per il curricolo 3-14 anni (2012) ove c’è una consistente parte dedicata alla scuola dell’infanzia. Non si rischia di creare un po’ di confusione tra gli educatori e gli insegnanti?
Questi tre documenti sono richiamati nel d.lgs. 65/2017 come quadro di riferimento nazionale per il sistema educativo 0-6, per tenere conto delle diverse esigenze di nidi e scuole dell’infanzia. Le “Linee pedagogiche 0-6” definiscono la cornice culturale del sistema, per dare unitarietà di intenti e di prospettiva a due segmenti (lo 0-3 e il 3-6) che hanno viaggiato spesso in parallelo ed hanno comunque “storie” diverse. Si tratta di costruire un lessico pedagogico condiviso, che sceglie alcune parole chiave (cura educativa, benessere, relazione, apprendimento e sviluppo, ecc.) in grado di fondare una prospettiva coerente di continuità tra i nidi e le scuole dell’infanzia, e di vederne tutte le implicazioni sul piano organizzativo e della governance. Sono l’atto costitutivo dello “zerosei”. Gli Orientamenti per il nido vogliono fornire un quadro, anche operativo, comune alle tante esperienze che si sono realizzate in questi anni nello zero-tre che, ricordiamolo, fa perno sui Comuni (con il rischio di pedagogie “comunali”) e per il 50% sul settore privato (non sempre ben conosciuto). Si tratta, dunque, di avere dei riferimenti pedagogici (direi quasi didattici) ed organizzativi nazionali, in grado però di rispettare le “storie locali” ma di farle evolvere verso una identità più forte in grado anche di parlare ai genitori e all’opinione pubblica. Sullo stesso piano “didattico” si muovono le vigenti Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia, ove la piattaforma pedagogica olistica tipica dello 0-6 (cfr. gli indicatori di qualità del documento europeo ECEC e dell’ultima raccomandazione UE del 22 maggio 2019), si allarga ai campi di esperienza e propone un incontro più strutturato con gli apprendimenti anche attraverso i “campi di esperienza” (se correttamente interpretati).
È certamente un quadro complesso, come è complesso il nuovo sistema, che vede la coesistenza di diversi attori, come lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, i soggetti gestori pubblici e privati e richiede di essere accompagnato con gradualità verso un “sentire” ed un “operare” comuni.
In sintesi, cosa propongono le Linee Pedagogiche? Qual è l’orientamento culturale che sta emergendo? Quale l’idea di bambino? Di ambiente educativo? Quale la professionalità richiesta agli operatori?
Il testo delle Linee è assai corposo (circa 40 pagine), ma i temi da affrontare erano numerosi. Nei cinque capitoli della bozza si tratteggiano la storia e gli impegni istituzionali del settore (mettendo in evidenza il superamento di una matrice assistenziale ed evidenziando le risposte ai diritti dei bambini)(cap. 1); si delinea l’ecosistema formativo in cui si collocano servizi e scuole, con i grandi cambiamenti cui stiamo assistendo nella società e nelle famiglie, insistendo sul dialogo e l’alleanza tra genitori e strutture educative (cap. 2); si profila un’idea di bambino in età evolutiva, con i suoi bisogni ed i suoi diritti, senza narcisismi né adultismi, ma con una realistica presa in carico delle sue potenzialità, delle sue “energie”, del suo protagonismo nello sviluppo e nella crescita (cap. 3); si prefigura un ambiente di apprendimento, ove gli spazi, i tempi, l’organizzazione dei gruppi, il clima educativo, la collaborazione di tutte le figure professionali definiscono un vero e proprio curricolo per l’infanzia (anche se questa dicitura va assunta con “delicatezza” (cap. 4); infine si richiamano le caratteristiche della governance e degli impegni dei diversi soggetti (MIUR, Regioni, USR, Enti locali, dirigenti e gestori), in particolare per affrontare le novità che attendono il sistema, come il coordinamento pedagogico, i poli per l’infanzia, la formazione continua degli operatori.
Si tratta di un disegno equilibrato, ove emerge una pedagogia dell’infanzia che mette al centro il bambino (lo vorrebbe meglio riconosciuto e rispettato), ma non in una ottica spontaneistica, forse si potrebbe dire “ecologica” e naturale, dove l’adulto diventa un attento osservatore dell’esperienza di vita del bambino (delle sue prime relazioni, delle forme di gioco spontaneo, delle prime esplorazioni) ed il suo ruolo è quello di sostenere in modo non intrusivo questi tentativi (scaffolding), di alimentare la curiosità verso il mondo e gli altri, di favorire attivamente la conquista della sua autonomia.
Quando saranno resi pubblici i documenti? È previsto un confronto con il mondo dei servizi e della scuola, gli educatori e gli insegnanti?
Le “Linee pedagogiche” sono state pubblicate sul sito del Ministero dell’istruzione e stanno circolando informalmente. Sappiamo bene che non basta rinnovare il guardaroba dei documenti ufficiali relativi ai programmi e agli orientamenti educativi, se contemporaneamente non si dà vita ad un forte dibattito culturale tra gli operatori (i diretti interessati), capace di convogliare la loro attenzione, di stimolare nuove motivazioni, di avviare momenti di riflessione e formazione in servizio. Questo è avvenuto poche volte in passato, ad esempio in occasione della elaborazione degli Orientamenti del 1991. Anzi, sarebbe opportuno che questo processo avvenisse non dopo, ma contemporaneamente alla costruzione dei documenti. La Commissione ha messo a punto un programma di consultazione capillare sulle Linee Guida, che al di là di momenti formali (webinar con i diversi stakeholder) possa poi raggiungere educatori, insegnanti, coordinatori e gestori. Ci sarà anche una scheda per raccogliere pareri e osservazioni. Sarà un lavoro in progress. Certo che l’attuale condizione di emergenza non favorisce l’incontro diretto ed i momenti di confronto, ma sono già molti i luoghi ove si dibatte sul documento (associazioni, gruppi di lavoro, reti di servizi, coordinamenti). La Commissione sta ricevendo molte richieste di partecipazione a seminari e incontri.
Ci sono molte suggestioni per innovazioni strategiche nel d.lgs. 65/2017 (i poli per l’infanzia, il coordinamento pedagogico, le sezioni primavera, la formazione continua, gli indicatori e le garanzie di qualità educativa). Chi se ne sta occupando? C’è il rischio di limitarsi all’elaborazione di uno zero-sei solo sulla carta?
Il rischio di una riforma “virtuale” dello zerosei esiste. Sono tanti i fattori in gioco, al di là delle prospettive pedagogiche. Sappiamo che il comparto 0-3 ha una sua oggettiva debolezza, che il 3-6 potrebbe fare da traino all’intero settore, ma che ci sono anche molte resistenze. Che la pandemia non aiuta. Ma bisogna andare oltre l’emergenza per un rilancio dell’intero settore. Sono proprio i nuovi dispositivi del D.lgs. 65/2017 che potrebbero fungere da scintilla di nuovi impegni, di iniziativa sul territorio, di dialogo con genitori e opinione pubblica. Pensiamo all’immaginario positivo dei “poli per l’infanzia”, una struttura ove rendere praticabile un progetto di reale continuità zerosei, di innovazione negli ambienti di apprendimento, di regia coerente del progetto educativo, di reale confronto tra educatori ed insegnanti, di forte coinvolgimento dei genitori (e degli amministratori), ma siamo parecchio indietro, direi quasi fermi: è necessario definire intese a livello regionale che sono state predisposte solo in poche realtà e ci sono da affrontare nodi giuridici, organizzativi e professionali. Lo stesso discorso potremmo farlo per il coordinamento pedagogico: al di là delle tradizionali roccaforti pedagogiche del centro-nord e dei grandi municipi, interi territori ne sono privi e la scuola dell’infanzia ancora non ha affrontato la questione con decisione. Qualche esperienza innovativa sta nascendo, ma occorre intervenire con molta più energia e convinzione. Anche le sezioni primavera, dopo alcuni anni di stasi, hanno bisogno di riprendere il loro slancio sperimentale come luoghi dedicati alla continuità educativa, all’incontro di nuove professionalità, rispondendo a nuove domande.
Oggi molte sollecitazioni si rivolgono all’espansione dei servizi educativi per l’infanzia (lo 0-3), che coprono solo il 24,5% dei potenziali utenti. Le legge ci chiede di raggiungere il benchmark europeo del 33%. Alcune ipotesi hanno fissato l’obiettivo del 40%, del 50%, addirittura del 60% (Commissione Colao). Cosa realisticamente si può fare? Il Recovery plan interverrà in merito, con interventi strutturali?
Il sistema integrato 0-6 è nato proprio per ampliare la rete dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia (oltre che per qualificare quella esistente). Ciò richiede una forte capacità di governance a regia pubblica, con tutte le aperture del caso ad un settore privato meglio integrato. Lo Stato deve riscoprire la sua vocazione di indirizzo e di governo complessivo (fornendo la cornice istituzionale e le relative risorse), le Regioni e gli Enti Locali devono agire con maggiori sinergie e quelli più in difficoltà vanno sostenuti e accompagnati. La scuola dell’infanzia, a partire da quella statale, deve riscoprire il dinamismo dei suoi anni d’oro. È necessario, ad esempio, che il MIUR cui spetta la regia dell’intera operazione di rilancio, si attrezzi con una specifica unità di missione a livello centrale, interforze, capace di intervenire e monitorare lo stato di avanzamento dell’attuazione della legge. Il Recovery Fund (PNRR), destinato alla “next generation” potrebbe offrire un’ottima sponda: io immagino sempre 1000 cantieri aperti in tutte le città per costruire nei prossimi 5-6 anni 1000 nidi, perché questo darebbe il segno visibile di una risposta ai diritti dell’infanzia ed un sostegno concreto alla conciliazione (un aiuto alle famiglie, alle donne in primis, una spinta allo sviluppo sociale ed economico). Un paese, un quartiere, una città dovrebbero essere orgogliosi dei servizi educativi sul loro territorio e di farne vanto per la qualità della comunità. La discussione sulle priorità del Piano è aperta e c’è da augurarsi che gli interventi per l’istruzione, la ricerca, la coesione sociale, il contrasto alla povertà educativa mantengono quel carattere prioritario che tutti, a parole, affermano.
E già incombono i dati preoccupanti di un calo demografico del 10% che potrebbe cambiare le carte in tavola, ma di questo parleremo in una prossima occasione.
16 marzo 2021
Penso che, per “prendere in carico le potenzialità, le enrgie del bambino, rendendolo protagonista del proprio sviluppo”, occorra che gli educatori adulti non siano solo attenti osservatori dell’esperienza di vita del bambino, con un ruolo non intrusivo (peraltro, un adulto che osserva, determina già un’intrusione nell’esperienza del bambino), ma siano vere e proprie guide in questo percorso, che, attraverso la relazione, propongano dei modelli naturali, come infatti avviene in natura da sempre (se vogliamo dare un’ottica “ecologica” e naturale all’approccio). Solo così potrebbero “alimentare la curiosità verso il mondo e gli altri” (altrimenti non ci sarebbero “altri”, né alimentazione) e di favorire ATTIVAMENTE la conquista della competenze necessarie ad entrare in relazione con il mondo ed essere, quindi, autonomo. Basti pensare che, se attuassimo il ruolo dell’adulto “osservatore attento non intrusivo” 24 ore su 24 con i bambini in età 0-3, ad es., in merito allo sviluppo del linguaggio, avremmo intere generazioni di analfabeti. Si rischia di confondere le intrusioni con il supporto ad acquisire competenze indispensabili allo sviluppo e sopravvivenza dell’essere umano. Trovo giusto porre l’accento a cogliere gli spunti da parte dei bambini e a non limitarsi alle sole proposte fatte loro da parte degli educatori; però riterrei indispensabile entrare in relazione con questi spunti, giocarci, farne un terreno comune di esperienza, da cui creare cose nuove (tali, magari, anche per l’educatore). Quindi sì, delicatezza e rispetto, ma anche tanta preparazione, competenza, creatività ed elasticità.
Credo che il confronto con gli operatori del settore (i diretti interessati) debba avvenire “prima” della stesura dei documenti sulle linee guida, altrimenti rischia di diventare l’ennesimo programma calato dall’alto e distante dalla realtà. Infatti leggo che “Si tratta, dunque, di avere dei riferimenti pedagogici (direi quasi didattici) ed organizzativi nazionali, in grado però di rispettare le “storie locali” ma di farle evolvere verso una identità più forte in grado anche di parlare ai genitori e all’opinione pubblica”: questa affermazione induce a pensare a un impostazione uniforme del percorso 0-6, mentre gli operatori del settore ben sanno che tale esperienza di sviluppo e crescita è multicolore e multiforme, in base proprio alle “storie locali” e alle culture differenti. Quindi, più che ad una “identità più forte”, mirerei ad un’organizzazione e finanziamento del settore più forti.
Ritengo che la visione secondo la quale l’educatore debba essere l’osservatore non intrusivo delle scoperte autonome del bambino sia una visione fortemente ideologica e superata. Gli studi sull’intersoggettività, la psicologia della relazione, i neuroni specchio, l’antropologia, ci dicono che adulto e bambino costruiscono insieme il senso delle cose e conquistano nuove competenze in un dialogo in cui sono entrambi attori co-protagonisti. L’adulto che partecipa e condivide col bambino un repertorio di significati e affordances intorno alle esperienze deve imparare a farlo in modo non direttivo e non prepotente, ma non può astenersi dall’essere un compagno di scoperta col bambino. L’educatore non è un osservatore: pensare che lo sia è il risultato di un’intepretazione aberrante dei principi montessoriani. L’educatore ha la responsabilità di presentare al bambino azioni, oggetti, linguaggi, tangibili e non tangibili, esplorandoli e condividendoli con lui per scoprire e imparare insieme. Ogni essere umano ha un repertorio di sensi e di azioni che nascono nelle relazioni e nelle condivisioni. La visione di un educatore osservatore impedisce all’educatore di mettersi in gioco, di condividere e di crescere col bambino.
Aldo Garbarini, Presidente Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia
Penso sia intanto opportuno ricordare che solo da pochi anni abbiamo definito un nuovo contesto di principi, governance e indirizzi che, come ricorda Cerini, ancora deve esplicare tutte le sue potenzialità. I ritardi vanno colmati, questo è un passaggio fondamentale. Anche in relazione al tema sollevato da Anna Borio sulla tutela del lavoro, che passa a mio avviso intanto attraverso una adeguata formazione permanente, un lavoro collegialmente impostato, forme di confronto e coordinamento di sistema quali i coordinamenti pedagogici territoriali ancora da istituire sull’intero territorio nazionale. Sono altrettanto convinto che l’offerta soprattutto nello 0 3 debba aumentare, per l’importanza già richiamata acchè sempre più bambine e bambini accedano a percorsi di qualità; ma di certo agli investimenti per le strutture debbono accompagnarsi risorse per il sostegno alle spese di gestione, che non possono più ricadere per la gran parte sugli enti locali e sulle famiglie stesse. Se i percorsi educativi e di apprendimento sono fondanti una comunità, allora i costi non sono spese, ma investimenti per il futuro. In merito alla questione contrattuale, sono convinto che questo sia un tema ormai seriamente da affrontare tanto che, come Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, abbiamo già iniziato in alcuni nostri incontri a sollevare il problema. Sappiamo bene come sul piano contrattuale la situazione sia diversificata a seconda della natura dell’ente che eroga il servizio. Alleanza per l’Infanzia, una rete cui come Gruppo Nazionale aderiamo, ha recentemente evidenziato come gli educatori hanno diversi livelli di inquadramento, un diverso orario di lavoro e differenti livelli retributivi. Tuttavia, in conseguenza anche dell’introduzione dell’obbligo della qualificazione universitaria per gli educatori dei servizi per l’infanzia, diventa quanto mai opportuno adeguare i sistemi di classificazione dei contratti collettivi e promuovere la valorizzazione in termini di inquadramento e retributivi di questa figura professionale all’interno dei contratti. Mi pare in sostanza necessario partire da una constatazione di fondo: a parità di mansioni e di qualificazione professionale, non possono sussistere condizioni contrattuali diverse. Il che obbliga tutti, dalle organizzazioni sindacali alle rappresentanze di categoria fino allo stesso Governo, a aprire tavoli di confronto per una necessaria negoziazione, finalizzata a garantire soprattutto alle bambine e ai bambini, attraverso una qualificazione omogenea della qualità dei servizi, l’usufruibilità di un diritto di loro piena spettanza.
Le scrivo perchè vorrei che si evidenziasse che, dentro a questo progetto di aumentare i posti per i bambini negli asili nido, si puntasse anche su migliori condizioni di lavoro per il personale (la stragrande maggioranza donne) che opera all’interno di queste strutture.
Sono d’accordissimo sulla necessità di aumentare le strutture educative e di favorire una maggiore disponibilità per le famiglie, ma vorrei sottolineare anche l’importanza di dare maggiori tutele e diritti alle lavoratrici e ai lavoratori.
In molte parti di Italia, non si tratta più di strutture pubbliche comunali, ma quasi sempre sono servizi privati o di servizi pubblici dati in gestione a cooperative o associazioni, con gare d’appalto al ribasso, dove gli operatori (quasi sempre donne) si trovano ad avere miseri contratti, a dover andare a casa se il numero dei bambini diminuisce, a elemosinare per ottenere materiali da utilizzare nelle varie attività con i bambini, a dover insistere per ottenere la possibilità di fare i tamponi periodicamente,….
Tutti gli studi scientifici recenti sottolineano l’importanza dei primi 1000 giorni nella vita di ogni individuo:”un periodo straordinario in cui si costituiscono le fondamenta sulle quali costruiremo il resto della nostra esistenza e la nostra capacità di crescere generazioni felici e sane. In questa fase della vita il cervello si sviluppa più che in qualsiasi altro momento e l’ambiente gioca un ruolo cruciale nel determinare la crescita e lo sviluppo futuri: le esperienze vissute nella prima infanzia sono, infatti, influenzate dal contesto in cui i bambini nascono e crescono e dalle figure adulte che per prime si prendono cura di loro, in famiglia, nei servizi e nella comunità di appartenenza. Esperienze positive precoci sono associate a migliori esiti scolastici, a un sano sviluppo sociale ed emotivo, a migliori risultati nel contesto lavorativo e, in generale, a un migliore stato di salute”. (EuroHealthNet)
Ecco noi educatrici di asilo nido lavoriamo proprio in questo periodo della vita del bambino e dovremmo essere messe nelle condizioni di poter lavorare al meglio: in strutture adeguate, con la possibilità di avere spazi e materiali adeguati e con contratti di lavoro adeguati.
Quindi sì alla realizzazione di nuovi asilo nido per favorire una maggiore occupazione femminile, ma attenzione anche a chi nelle strutture lavora o lavorerà, perché qui c’è molto da fare nella testa degli amministratori, che non vedono i nidi come un servizio, ma solo come un colabrodo di risorse economiche.
Se si avesse la lungimiranza di vedere che, investire in servizi educativi per la primissima infanzia, vuol dire prevenire disagio e difficoltà future, si capirebbe quanto si potrebbe risparmiare economicamente nel medio e lungo periodo e creare comunità più serene, solidali e con meno disuguaglianze sociali.
Vi ringrazio per l’attenzione. Anna Borio
Anna Borio
Grazie Anna,
pienamente d’accordo con le tue riflessioni. Sono queste nostre voci necessarie all’attuazione concreta di pensieri riguardanti tutto il periodo 0-6.
Il rischio di far evolvere il pensiero e alcune azione ma di lasciare alle spalle il valore di chi opera concretamente all’attuazione di azioni educative avendo lo sguardo realistico su sviluppi dell’età 0-6 esiste. Ci auguriamo che in questa nostra epoca nella quale si desidera dare attenzione ai diritti ed alla cura possano rientrare tutte le categorie riconoscendo valore e salvaguardandovi le condizioni di vita e crescita .