Login
Registrati
[aps-social id="1"]

Le ragioni di un convegno a Brescia sullo zero sei

Michele Falco

Presidente Proteo Fare Sapere Brescia già Dirigente Scolastico.


 

Come Proteo Fare Sapere abbiamo deciso di effettuare un convegno a Brescia sullo Zero Sei proprio per la peculiarità del nostro territorio che ben si presta allo spirito ed alla lettera di quanto indicato nel Dlgs 65/2017 e norme successive che, in buona sostanza, si basano su forme di interlocuzione attiva, coprogettazione e confronto dialettico tra una pluralità di soggetti diversi per poter effettivamente dar vita al sistema formativo integrato territoriale di educazione ed istruzione.

La città di Brescia, in modo particolare, vanta una lunga e rinomata tradizione delle scuole dell’infanzia comunali che affondano le proprie radici addirittura alla fine dell’Ottocento con le sorelle Agazzi. Analogamente dicasi per quanto attiene le scuole paritarie aderenti alla Fism che in Lombardia rappresentano il 50% delle scuole dell’infanzia e, anche in questo caso, con un forte radicamento territoriale pluridecennale. Per tali motivi Brescia si presta ad essere un potenziale laboratorio di confronto e condivisione di una variegata “comunità di pratiche” ove il sistema Zero Sei può effettivamente garantire, là ove si creeranno sinergie virtuose tra diversificati soggetti pubblici e privati, adeguate opportunità di crescita psico evolutiva armonica e graduale per l’infanzia e connessi livelli significativi di inclusione e di contrasto precoce allo svantaggio socioculturale ed alle povertà educative. La Regione Lombardia, nel tavolo paritetico interistituzionale costituito con Anci, l’Usr e gli esponenti del “terzo settore”, si è data come obiettivo per lo Zero Sei di:

  • sostenere l’aumento dei punti di erogazione servizi educativi;
  • consolidare e ampliare il sistema 0-3 (obiettivo Comunitario con copertura del 33% dei posti richiesti. Già ora la Regione è al 31,7% di posti costituiti);
  • supportare prioritariamente le scuole paritarie dell’infanzia in quanto soggetti prevalenti e consolidati in Lombardia;
  • consolidare ulteriormente il modello «unitario» pubblico/privato (attraverso un mix di sinergie attive tra EE.LL., operatori pubblici-privati) in quanto è indubitabile, in Lombardia, la prevalenza della presenza paritaria e privata sullo Zero – Sei.

 

Si può legittimamente anche non essere pienamente d’accordo su delle politiche che tendono a privilegiare un modello a prevalente presenza del settore privato, ma questo è il dato di fatto indiscutibile con cui ci si deve confrontare dialetticamente. Per tale motivo abbiamo interpellato e vorremmo, come associazione professionale, interloquire con svariati esperti che provengono sia dalla riflessione psicopedagogica che si è sviluppata, ad esempio, nelle università di Pavia, Milano e Bologna, sia dal versante dell’associazionismo, della qualificata pubblicistica di settore, dei soggetti sindacali, dei rappresentanti del Gruppo Nazionale Nidi ed Infanzia e, soprattutto, da parte delle operatrici professionalmente impegnate quotidianamente nel dar vita ed innovare le concrete pratiche educative e didattiche che si sviluppano nei nidi e nelle scuole dell’infanzia. Detto in altri termini: dare concretamente voce alla scuola militante.

Sullo sfondo della nostra proposta convegnistica, che non vuole essere una mera tribuna di dibattito, sia pur altamente qualificato, ma un’occasione d’incontro tra mondi ed esperienze diverse e variegate, si colloca un’idea attualizzata d’infanzia che discende dal meglio del dibattito attuale, anche di tipo normativo ed europeo, e ci chiede di traguardare al mondo dei più piccoli con uno sguardo nuovo scevro da vecchi stereotipi. Pertanto ci porremo dei quesiti, auspicando di poter delineare anche alcune risposte adeguate rispetto ai cambiamenti strutturali che sta comportando il calo demografico ed il mutamento della genitorialità.

Rispetto anche solo a un quindicennio fa non si era mai vista una progressiva e così diffusa “anzianità anagrafica” delle coppie genitoriali con connesso iperinvestimento affettivo e di aspettative magari sull’unico figlio messo al mondo. Il lavoro di entrambi i genitori, soprattutto nelle regioni settentrionali ove si assiste ad una costante impennata del costo della vita e delle tariffe per le pratiche di cura per l’infanzia, ha mutato lo scenario anche a fronte di una diversificata varietà di modelli genitoriali.

 

In tale quadro non possiamo certo trascurare l’impatto anche sulle pratiche educative di accoglienza e cura dovute ad una significativa presenza numerica di bimbi non italofoni accolti ed inclusi, va detto, prioritariamente, nel segmento delle scuole statali. Si è quindi, da tempo, passati da pratiche di custodia all’educazione e tutto ciò interpella anche le consuetudini e prassi con cui operano ancora varie scuole.

Da tempo non vi è più una trasmigrazione dei saperi esperienziali circa le prassi di accudimento infantile e di concreto sostegno operativo che si tramandavano, da una generazione all’altra, nella cerchia dei rapporti parentali e ciò fa sì che le nuove coppie di genitori, comunque definite, si trovano da sole e senza ancoraggi familiari dinnanzi alla propria prole e connesso complesso itinerario di crescita psico evolutiva.

Tutto ciò comporta un di più di attenzione da parte di nidi e scuole che possono divenire luoghi ove rigenerare, in forme innovative ed alternative rispetto al passato anche relativamente recente, processi virtuosi di comunità come forme di sostegno attivo alla genitorialità ed allo slabbrarsi dei rapporti sociali solidali. Tutto ciò comporta la necessità di pensare, anche innovativamente, ai tempi di cura dei bambini ed a porzioni di tempo libero per le famiglie attivando, ad esempio, in modo più diffuso territorialmente, servizi suppletivi come i centri estivi di aggregazione o le ludoteche. Si tratta, detto in altri termini, di saper attivare forme di partnership educativa diffusa e di co-costruzione e condivisione educativa con le famiglie sia pur nella esplicita chiarezza e diversità di ruoli e funzioni tra scuola e famiglie anche prevedendo, là ove necessario, una parziale riorganizzazione dei servizi per l’infanzia.

A mero scopo esemplificativo, e per brevità della trattazione in questa sede, provo ad enucleare alcune delle questioni che, a vario titolo, pensiamo siano meritevoli quantomeno di essere affrontate, sia pur sinteticamente, là ove necessario, durante l’attività convegnistica e nel successivo dibattito, anche sulla pubblicistica di settore, che auspichiamo si possa poi più compiutamente sviluppare anche nei mesi a venire.

 

Un primo esempio è relativo alle varie questioni connesse con la definizione dei livelli essenziali di prestazione che non deve essere unicamente un compito normativo elaborato dal “centro”, (stato e regioni) ma che richiede un rapporto attivo e dialogico, anche a livello “locale”, da parte dei centri territoriali e dei poli per l’infanzia.

Altro argomento sarà la continuità educativa e la strutturazione di un curricolo in verticale integrato tra: nidi – infanzia in funzione di cerniera e ponte comunicativo anche con la primaria sicuramente non solo per fare, molto banalmente, le future classi prime.

Vi è poi la necessità che venga esercitata nelle scuole, in una cornice di dibattito e condivisione collegiale una leadership educativa diffusa a partire anche dal protagonismo attivo dei centri pedagogici territoriali. Si tratta di strutturare delle forme efficaci di cooperazione condivisa e costituzione di vere e proprie «comunità di pratiche» ove sperimentare, nelle scuole, soluzioni didattiche innovative.

Un ruolo strategico può essere giocato dai centri pedagogici territoriali che hanno insiti alcuni vincoli ma anche delle grandi opportunità nelle forme concrete che assumerà la loro governance. Innanzitutto andrà accuratamente pianificata la comunicazione e co-progettazione con gli «altri» (nidi – sez. primavera – infanzia – primaria). Nei Cpt andrà presentata e narrata agli «altri» soggetti afferenti il centro territoriale il proprio modello di servizio educativo avendone autoconsapevolezza perché le sinergie ed i possibili livelli di “meticciamento positivo” tra cicli e strutture tra loro diversificate si possono attivare solo a partire dal proprio grado di identità e autocoscienza professionale. L’obiettivo dei Cpt dovrebbe, pertanto, essere quello di costruire reti e fasi di formazione congiunta condivisa attraverso l’elaborazione di un «piano di lavoro» ideato congiuntamente e strutturato mediante vari step pianificati. Sicuramente la reciprocità potrebbe essere favorita dall’attivare forme di osservazione con procedure comuni elaborate collegialmente all’interno del curricolo in verticale tra nidi, infanzia e primaria. Lo strumento principale è quindi quello dell’osservazione occasionale e sistematica e delle biografie narrative e dei diari di bordo più che delle pur utili check list proprio per dar vita a degli inizi, sia per i bambini che per le operatici scolastiche, di forme embrionali di una autoriflessione metacognitiva sui propri effettivi apprendimenti, da parte dei bambini, e sul proprio operato professionale per quanto attiene alle docenti.

La valutazione, connessa alle concrete procedure osservative attivate assume allora il carattere dell’interpretazione e non della misurazione e del giudizio classificatorio per livelli di apprendimento.

Si potrebbero altresì ipotizzare degli interscambi tra i vari educatori anche mediante alcuni collegi docenti congiunti durante il corso dell’anno ed attuando dei “viaggi pedagogici” tra scuole limitrofe per approfondire la reciproca conoscenza tra le operatrici di nidi e scuole dell’infanzia.

In tale contesto preziose risulterebbero essere le occasioni, appositamente programmate, di formazione comune per reti di scuole. Formazione intesa come cruciale ancoraggio per implementare un “di più” di pensiero strategico perché il mutamento e l’innovazione richiedono uno sguardo ampio ed una visione pedagogica ed educativa di largo respiro e di lungo periodo.

Vorremmo poter indagare anche il ruolo dell’adulto «regista» inteso come un osservatore partecipe con funzione di scaffolding per l’apprendimento dei piccoli.

Una riflessione attenta lo merita anche la costruzione attiva di clima relazionale positivo ed empatico tra adulti e bambini all’interno dei nidi e delle scuole dell’infanzia. Il costituirsi di una socialità partecipe attraverso attività di esplorazione e scoperta e di cooperazione in gruppo ed in coppia, una serena relazione tra pari, intendendo il gruppo come un potente moltiplicatore sinergico di apprendimento sociale, costituiscono, nei fatti, elementi di cittadinanza attiva e di effettiva integrazione ed inclusione.

Per ultimo, ma non perché sia meno rilevante, sarebbe interessante anche indagare la necessità, ormai quasi quarantennale come tipo di elaborazione, del rapporto attivo con il territorio inteso come «grande aula decentrata», costruendo un percorso integrato ed una risposta di «service learning» e «cittadinanza» connessa anche alle esigenze di famiglie e «comunità» sfruttando tutte le potenzialità di apprendimento e conoscenza che gli ambienti in cui sono collocate le scuole possono offrire.

Certamente questo grande e variegato ventaglio di questione non può trovare uno spazio sufficiente all’interno delle poche ore di un convegno che, tuttavia, speriamo possa fungere da volano e da primo passo per una futura analisi e discussione di più ampio respiro da giocarsi in una diversificata pluralità di sedi.

 

maggiori info

Lascia un commento