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Le opportunità pedagogiche dei servizi educativi per l’infanzia

Donatella Savio

Ricercatore presso gli Insegnamenti Pedagogici del Dipartimento di filosofia dell’Università di Pavia


Con il mio intervento intendo proporre alcune riflessioni su tre opportunità pedagogiche per i servizi educativi 0-6 che mi paiono sottese al Disegno di Legge 1260 “Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento”, confluito poi nella Legge delega 1934 sulla “Buona scuola”, Capo VII, articolo 22, comma 2, punto f (ora L. 107 del 9/ 7/ 2015).

Si tratta di questioni da anni al centro del dibattito sui servizi educativi per l’infanzia e che proprio per questo rischiano di essere trattate come “etichette”, richiamate diffusamente senza che siano più chiari il senso e le ragioni che le sostengono; perciò vorrei tentare di ripuntualizzarle.

Nello specifico, le tre opportunità pedagogiche, da rilanciare e presidiare, che mi paiono contenute tra le righe del DDL 1260 e che proverò ad approfondire, sono le seguenti:

– l’unitarietà del percorso educativo 0-6;

– l’identità educativa peculiare del sistema educativo 0-6;

– la formazione universitaria, permanente e condivisa degli operatori educativi dello 0-6.

L’UNITARIETÀ DEL PERCORSO EDUCATIVO 0-6

Con il DDL 1260 viene istituito il “sistema integrato per l’infanzia” affermando:

  • – la continuità del percorso educativo da zero a sei anni;
  • – la necessità che i servizi che lo compongono, pur nella loro autonomia e specificità, si strutturino come contesto unitario (fisicamente, come “poli per l’infanzia”, ma anche nella progettazione e formazione).

Questa proposta di percorso unitario 0-6 rappresenterebbe un’opportunità pedagogica innanzitutto perché equivarrebbe a riconoscere la necessità di un percorso educativo peculiare e differenziato per poter incontrare e rispondere adeguatamente alla peculiarità della mente infantile, al modo del tutto particolare del bambino tra 0/ 6 anni di rapportarsi al mondo. Si tratta per lo sguardo educativo di non guardare troppo oltre, per concentrarsi sul bambino del “qui e ora “ e accogliere la sua alterità come via elettiva per promuovere la formazione dell’uomo che intende costruire. Come dire che fenomenologica mente si può “trovare” il bambino solo se ci chiediamo cosa ne fa del mondo, come configura e interpreta ciò che vive, fuori da prospettive e aspettative esclusivamente evolutive.

Con ciò non intendo dire che il bambino di 6 mesi è come quello di 3 anni e che quello di 3 anni è come quello di 6 anni, né che quello di 7 anni è radicalmente diverso da quello di 6 anni. Piuttosto intendo mettere in luce che, con gradualità diverse, tutta l’infanzia presenta dei tratti caratteristici e peculiari di entrare in relazione con il mondo, ampiamente riconosciuti dagli studi della psicologia evolutiva, che la identificano e differenziano da altre età della vita.

Per andare ancora più dentro le etichette, propongo una generalissima e non esaustiva presentazione di alcuni dei tratti peculiari della mente infantile, che sono tanto più netti quanto più il bambino è piccolo mentre sfumano via via che il bambino cresce, ma comunque presenti e verticalmente trasversali. Lo sfondo di riferimento sono gli studi sull’infanzia di matrice piagetiana, psicoanalitica, di psicologia sociale e di sociologia dell’infanzia.

Innanzitutto si può dire che il bambino prima dei 6 anni è corpo più che linguaggio verbale. Ciò significa, dal punto di vista cognitivo, che dialoga col mondo e lo conosce primariamente attraverso l’azione e la percezione, tanto che organizza e rappresenta mentalmente le esperienze “in modo concreto”: i suoi primi schemi mentali, ma anche le connessioni che sviluppa più avanti secondo una logica associativa, sono ancorati prima di tutto a ciò che percepisce ed esperisce sensorialmente (Piaget, 1945). Se in una prospettiva piagetiana la capacità di ragionamento del bambino pre-scolare è limitata a causa dell’immaturità delle sue strutture intellettive, Susan Isaacs (1944) afferma al contrario che tale capacità è già presente anche se ancora non può sostenersi per conto proprio: si manifesta e sviluppa alla presenza di un ambiente generoso di stimoli e di possibilità di esperienze, che va incontro agli interessi del bambino e gli fornisce i mezzi per perseguirli.

Dal punto di vista socio-cognitivo, si tratta di un bambino prevalentemente centrato sul suo punto di vista – percettivo, cognitivo, emotivo –; ciò significa che le relazioni sociali, soprattutto quelle con i coetanei, risultano per lui particolarmente impegnative perché la capacità di comprendere i reciproci punti di vista, per negoziare collaborazioni, richiede uno sforzo di decentramento che lo stimola in tal senso, ma che può facilmente scivolare nel fallimento (Piaget, 1947; 1932).

Ancora: è un bambino dal senso d’identità ancora incerto, che può positivamente costruire solo attraverso la possibilità di sperimentarsi con autonomia nelle relazioni col mondo fisico e sociale (Emiliani, Carugati 1985).

In termini emotivi, il suo essere prima di tutto corpo lo rende preda di pulsion/vissuti emozionali potenti, che ancora non riesce a padroneggiare né a nominare, e non li padroneggia proprio perché non è in grado di dar loro un nome. Perciò la sua attività mentale è soprattutto impegnata dalla rappresentazione drammatica dei propri desideri e delle proprie fantasie, e il suo rapporto col mondo fisico è determinato dai vissuti emotivi, dalla possibilità di proiettarli su di esso come su di uno schermo (Isaacs, 1944): nel famoso gioco analizzato da Freud (1920), il rocchetto che il bambino fa rotolare lontano e poi tira di nuovo verso di sé lo coinvolge soprattutto perché inconsciamente rappresenta la separazione dalla madre, piuttosto che in forza della curiosità che gli suscita l’evento fisico del rotola mento. Infine, ma prima di tutto, il suo linguaggio, e quindi il suo principale strumento di conoscenza, è il gioco. In estrema sintesi e schematicamente, si può dire che col gioco (in particolare quello simbolico) il bambino:

  • secondo una prospettiva vygotskyana (Vygotsky, 1966) accede al mondo dei significati (ad esempio, usare un cucchiaio per fingere di mangiare è fare i conti con il significato di cucchiaio e dell’azione del cibarsi);
  • approfondisce e consolida le sue esperienze e conoscenze del mondo fisico e sociale (ad esempio, cerca risposte a domande quali: che proprietà ha un cucchiaio? cosa significa “cibarsi” nel contesto socio-culturale di appartenenza?);
  • rappresenta, fronteggia, elabora e arriva a padroneggiare i suoi vissuti emotivi, rendendo possibile un rapporto più diretto e autenticamente conoscitivo col mondo fisico, in quanto più libero dalle interferenze del mondo emotivo, dalle proiezioni di fantasie e desideri inconsci di cui si è detto più sopra (Isaacs, 1994);
  • esprime il suo punto di vista sul mondo, riproduce interpretandoli i contenuti della cultura adulta in cui è immerso (ad esempio, fa finta di essere un bancomat che va di casa in casa a distribuire denaro) co-costruendo una “cultura” propria con i pari (Corsaro, 1997).

Da queste considerazioni è possibile trarre la ragione di fondo a favore dell’unitarietà di un percorso educativo 0-6: se vuole essere efficace, nel promuovere benessere e crescita del bambino, deve svilupparsi come unitario a partire dal riconoscimento delle peculiarità della mente infantile. Ciò significa per esempio che nel proporre contenuti di conoscenza (scientifici, letterari, artistici) occorre calibrarli e predisporre contesti ad hoc perché la mente infantile possa incentrarli, svilupparli e svilupparsi, e quindi che non si può far riferimento a metodologie, didattiche, strutturazioni di esperienze e di ambienti educativi caratteristici e adatti a ordini scolastici superiori, pena l’inefficacia quando non il “danno”. D’altra parte va detto che nel raccordo con ordini scolastici superiori, per garantire la continuità del percorso educativo pur con le dovute ed evolutive differenziazioni, è necessario che questi ultimi “guardino un po’ verso il basso” prevedendo una contaminazione nei due sensi, perché il bambino di 6 anni non è così diverso da quello di 5.

UN’IDENTITÀ EDUCATIVA PECULIARE PER IL SISTEMA INTEGRATO 0-6

Entrando più nel merito delle caratteristiche di un percorso educativo 0-6 capace di incontrare le peculiarità della mente infantile e di promuoverne lo sviluppo, il DDL 1260 offre alcuni spunti utili da approfondire. In quanto testo normativa non si addentra in riflessioni pedagogiche; tuttavia è possibile individuare in alcuni passaggi il suggerimento di orientamenti educativi, di un’identità educativa per lo 0-6. Vorrei riprendere e sviluppare in particolare 4 passaggi, cercando di mostrare quali opportunità pedagogiche possono rappresentare.

Il DDL 1260 suggerisce, e propone come riferimento nazionale, un’identità educativa dei servizi 0-6 che:

  1. riconosce e sostiene le potenzialità infantili di relazione, autonomia, creatività, apprendimento;
  2. garantisce ai bambini il diritto all’educazione, istruzione, cura, relazione, gioco;
  3. rispetta la personalità (i ritmi di vita e di crescita) dei bambini;
  4. offre un contesto ricco dal punto di vista cognitivo, Iudica e affettivo.

Consideriamo uno alla volta questi passaggi per mettere a fuoco quali orientamenti possono suggerire per l’identità educativa di un sistema integrato 0-6.

Sul primo punto. Il sistema integrato 0/6, in quanto “riconosce e sostiene le potenzialità infantili di relazione, autonomia, creatività, apprendimento”, si rifà a un’idea di bambino potenzialmente ricco di competenze ma, appunto perché competente “in potenza”, bisognoso di un certo sostegno per dispiegare e consolidare le sue risorse evolutive. Più precisamente, e sempre in estrema sintesi, un sistema integrato 0-6 dovrebbe guardare a un bambino potenzialmente capace:

  • di relazione, ma che ha bisogno di essere sostenuto nell’ampliamento delle sue esperienze sociali, affinché evolvano in termini di scambio e cooperazione gratificante fondando la sua possibilità di crescere come cittadino attivo;
  • di autonomia e creatività, ma che ha bisogno di essere sostenuto e valorizzato nel suo fare e pensare in autonomia, quindi in modo creativo, perché possa costruire il senso e i confini della sua identità; infatti sono le risposte del mondo fisico e sociale alle sue personali idee e azioni che gli permettono via via di capire chi è (Emiliani, Carugati, 1985);
  • di apprendimento, ma che per crescere e sviluppare competenze ha bisogno di essere sostenuto nella realizzazione di percorsi di conoscenza che partano dai suoi interessi e che si dispieghino in modo compiuto.

Sul secondo punto. Il sistema integrato 0-6, si dice nel DDL 1260, “garantisce ai bambini il diritto all’educazione, istruzione, cura, relazione, gioco. Ciò porta in evidenza in primo luogo un’identità educativa che tiene insieme educazione e istruzione, e quindi mira a realizzare la sua missione pedagogica attraverso un intreccio tra l’attenzione per la crescita socio-relazionale-valoriale (educazione) della persona e quella più rivolta allo sviluppo delle conoscenze (istruzione). Un intreccio, mi pare, che può trovare modi di realizzazione proprio attraverso la sensibilità educativa per “la cura, la relazione, il gioco”. Infatti è attraverso le azioni di cura, tanto vicine al corpo che il bambino è, intime, radicate nel non verbale, che è possibile comunicare in modo profondamente incisivo accoglimento e valorizzazione per la persona, sostenendo il bambino stesso nella costruzione di un’identità personale da lui percepita come di valore; una percezione che sta alla base del sentimento di efficacia (‘‘ce la posso fare”) e quindi della possibilità di sviluppare relazioni positive col mondo fisco e sociale (Savio, 2007).

Allo stesso modo è con l’attenzione e la cura per le relazioni, affinché si sviluppino in modo positivo, sia emotivamente che socialmente, che si può sostenere la crescita del bambino tanto in termini di identità personale valorizzata che come membro attivo di un certo contesto socioculturale, capace di accogliere e contribuire a costruire il bagaglio di conoscenze e significati della cultura a cui appartiene.

Infine, la promozione del gioco, della sua manifestazione e sviluppo, per quanto detto più sopra garantisce di per sé la crescita del bambino a tutto tondo: in quanto fonte principale di sviluppo negli anni che precedono la scuola (Vygotsky, 1966), è via privilegiata sia di maturazione socio-relazionale che di appropriazione ed elaborazione di processi e contenuti conoscitivi del contesto socio-culturale di appartenenza.

Sul terzo punto. Un terzo tratto distintivo dell’identità educativa del sistema integrato 0-6, suggerito dal DDL 1260, è il rispetto della personalità (inclinazioni, temperamento) e dei ritmi di crescita dei bambini”. Assumere una prospettiva educativa 0-6 di per sé costringe riconoscere, “toccare con mano” e accogliere i tempi e ritmi evolutivi tipici dell’infanzia, il carattere altamente personale dei percorsi evolutivi di ogni bambino: percorsi personali e perciò, a mio avviso, non omologabili né riconducibili in modo rigido a nessun parametro di riferimento se non a rischio di forzature, pericolose per il benessere e la buona crescita. Questa prospettiva comporta un certo modo di guardare al tema della valutazione del bambino, che mi preme qui approfondire.

Se ci si propone di rispettare personalità e tempi di crescita infantili, la valutazione del bambino non può che essere:

  • personalizzata, cioè sganciata da rigidi riferimenti evolutivi e dall’utilizzo di prove standardizzate, e piuttosto orientata a rispettare e cogliere la personalità individuale, i suoi ritmi ed interessi;
  • situata, in azione e coinvolta, cioè in stretto rapporto con ogni specifico bambino nello svolgersi autentico della sua interessata esplorazione del mondo;
  • mediatrice e evolutiva, cioè sviluppata dall’insegnante come mediazione tra bambino ed esperienza, come sostegno continuo e ricorsivo alla capacità infantile di “auto-valutare” i propri pensieri/azioni di esplorazione in base alle risposte del mondo, e di monitorarli verso un sempre maggiore e più evoluto approfondimento;
  • calibrata sul riconoscimento delle capacità/potenzialità personali del bambino, cioè modulata dall’insegnante, nel suo carattere di mediazione tra bambino ed esperienza, sulla base della consapevolezza (la “coscienza vicaria” di Bruner, 1986) dei confini del livello di sviluppo attuale (ciò che sa fare/pensare da solo) e potenziale (ciò che sa fare/pensare se aiutato) di quel bambino, della sua vygotskyana Zona Prossimale di Sviluppo.

Anche in questo caso, si tratta di proposte di orientamento, tutte da approfondire sia nel loro significato che in termini metodologici.

Sul quarto punto. L’attenzione per il contesto è un ‘ulteriore caratteristica suggerita dal DV 1260 per l’identità educativa del sistema integrato 0-6. Si tratta di avere come obiettivo la realizzazione di un “contesto ricco dal punto di vista cognitivo, ludico e affettivo” offrendo generose opportunità di crescita, sulla base dell’idea di bambino presa a riferimento (e chiarita qui come “primo orientamento”). Declinare il contesto in relazione a un’idea di bambino potenzialmente capace di relazione, autonomia, creatività, apprendimento”, così come ho proposto di intenderla più sopra, può voler dire, in estrema sintesi, progettare accuratamente spazi, materiali, tempi, relazioni tra bambini, tra adulti, tra adulti e bambini, nonché proposte di esperienze in modo da offrire al bambino generose opportunità:

  • di costruire legami affettivamente sicuri sulla cui base poter affrontare con fiducia l’esplorazione del mondo fisico/sociale;
  • di esperienza pratica e libera;
  • di esprimere i suoi interessi in percorsi ricerca/esplorazione a carattere ludico;
  • di avere i suoi interessi accolti attraverso un’azione assidua e progressiva di messa a disposizione di mezzi per seguirli e approfondirli (Isaacs, 1944).

FORMAZIONE UNIVERSITARIA, PERMANENTE, CONDIVISA

Quella fin qui descritta è un’identità educativa di riferimento per un sistema educativo 0-6 che mi pare in forte consonanza con quanto proposto dalle “Indicazioni 2012”, come risulta da questo stralcio tratto dal paragrafo “L’ambiente di apprendimento”:

“L’apprendimento avviene attraverso l’azione, l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione Iudica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza. Nel gioco, particolarmente quello simbolico, i bambini si esprimono, raccontano, rielaborano in modo creativo le esperienze personali e sociali. Nella relazione educativa, gli insegnanti svolgono una funzione di mediazione e di facilitazione e, nel fare propria la ricerca dei bambini, li aiutano a pensare e riflettere meglio, sollecitandoli a osservare, descrivere, narrare, fare ipotesi, dare e chiedere spiegazioni in contesti cooperativi e di confronto diffusi” (Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, pp. 18-19).

Certamente si tratta di un’identità educativa che richiede una professionalità alta e specializzata, in grado, tra l’altro, di riconoscere le peculiarità della mente infantile, riuscire a coglierla in azione, nei suoi interessi, capacità e potenzialità, modulare una relazione, un contesto e delle proposte educative capaci di incentrarla, rispettarla, sostenerla, promuoverne lo sviluppo stimolando processi di autovalutazione. Una professionalità mai data una volta per tutte ma che, per mantenersi tale, vista la dinamicità della realtà di cui si fa carico, deve essere continuamente nutrita e sostenuta.

Nel DDL 1260 viene riconosciuto il presupposto imprescindibile per una tale professionalità: la “qualificazione universitaria e continua, con attività di formazione comuni tra i servizi”.

Percorsi iniziali a livello universitario e formazione in servizio permanente, condivisi da tutti gli operatori educativi 0-6, non solo garantiscono livelli di professionalità specializzati, alti e costanti, ma anche riferimenti comuni in termini di valori e orientamenti educativi, e quindi l’unitarietà stessa pedagogica del sistema educativo 0-6, pur salvaguardando le differenti declinazioni in relazione alle peculiarità dei diversi servizi e delle età a cui si rivolgono.

In definitiva, la formazione alta, condivisa e permanente è da considerare a mio avvivo come l’opportunità pedagogica per eccellenza, sostenuta dal DDL 1260, da non perdere di vista perché rappresenta la sede fondante e il laboratorio permanente dell’identità educativa del sistema integrato 0-6, quindi la possibilità stessa della sua effettiva ed efficace realizzazione.

Testi citati

Bruner J.S. ( 1986), La mente a più dimensioni , trad.it. Roma-Bari, Laterza, 1988.
Corsaro W.A. (1997), Le culture dei bambini, trad. it. Bologna, Il Mulino, 2003.
DDL 1260, www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/301466.pdf
Emiliani F., Carugati F. (1985), Il mondo sociale dei bambini, Bologna, il Mulino.
Freud S. (1920), Al di là del principio del piacere, trad. it. in Opere, vol. IX, Torino, Boringhieri, 1977, pp. 17-31.
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, http://www.indicazioninazionali.it/ (consultato il 12.7.15).
Isaacs S. (1944), Lo sviluppo intellettuale dei bambini, trad. it. Firenze, la Nuova Italia, 1961.
Piaget J. (1932), Il giudizio morale del fanciullo, trad. it. Firenze, Giunti Barbera, 1993.
Piaget J. (1945), La formazione del simbolo nel bambino, trad.it. Firenze, La Nuova Italia, 1974.
Piaget J. ( 194 7), Psicologia dell’intelligenza, trad.it. Firenze, Editrice Universitaria, 1964.
Savio D. (2007), “Cura è apprendimento”, bambini, Anno XXIII, n. 7, pp. l0-17.
Vygotsky L.S. (1966), Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, trad. it. in Bruner J., Jolly A., Sylva K. (a cura di), Il gioco, Roma, Armando, 1981, pp. 657-678.

Documentazione:

Visione unitaria 0/6