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Le “bolle” in prospettiva: considerazioni a partire dalle parole degli insegnanti

Donatella Savio

Ricercatore presso gli Insegnamenti Pedagogici del Dipartimento di filosofia dell’Università di Pavia

Anna Bondioli

Professore Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l’Università di Pavia


Premessa

Tra le disposizioni per la riapertura dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia previste dal decreto ministeriale n. 80 del 3 agosto 2020, l’organizzazione per gruppi/sezione chiusi ha rappresentato una vera sfida tanto sul piano concreto della riprogettazione degli spazi e dei raggruppamenti, quanto, quindi, su quello dell’esperienza educativa proposta ai bambini. In particolare, il decreto prevede che i gruppi/sezione siano organizzati in modo da essere identificabili, evitando cioè situazione di intersezione tra gruppi, e che abbiano spazi, materiali, adulti di riferimento esclusivi e dedicati, cioè non condivisi con altri gruppi. Abbiamo imparato a riferirci a questo tipo di organizzazione parlando di “bolle”, un’espressione che mette in evidenza la separatezza della vita del gruppo/sezione, caratterizzata dalla mancanza di qualsiasi forma di contatto con ciò che sta fuori, neppure attraverso spazi o oggetti, dei quali infatti va evitata la condivisione.

Posto che l’organizzazione dei gruppi e degli spazi è parte del curricolo implicito, attraverso cui si veicolano comunicazioni che formano i bambini a certi saperi, atteggiamenti e valori, risultano “sulla carta” subito evidenti alcuni possibili rischi insiti nella vita da “bolle”. Infatti, rispetto ai principi di socialità aperta e inclusiva che orientano la pedagogia 0-6 contemporanea, almeno a livello europeo, le “bolle” potrebbero formare i bambini a una socialità chiusa ed escludente nella misura in cui comunicano e fanno fare loro l’esperienza che: “ci siamo noi e gli altri, c’è il nostro spazio con le nostre cose e il loro spazio con le loro cose; contatti, scambi o condivisioni sono pericolosi, perciò solo tra di noi e nel nostro territorio si sta al sicuro”. D’altra parte, resta aperto l’interrogativo circa la qualità delle dinamiche relazionali e sociali interne alla “bolla”, al tipo di ricadute educative di una vita di gruppo caratterizzata dalla stabilità dei partecipanti e degli spazi di vita. Anche l’impatto di questa organizzazione sulla vita collegiale, sulla possibilità per gli insegnanti di mantenere viva e solida la comunità educante, apre a prospettive incerte, data l’esigenza da una parte di affrontare il momento lavorando in forte sinergia sul piano pedagogico, dall’altra quella di farlo stando distanti.

Per approfondire questi aspetti è interessante far riferimento ai diari di bordo redatti da un gruppo di insegnanti di scuola dell’infanzia nel primo mese di riapertura[2], riprendendo i temi che paiono più rilevanti sul piano pedagogico in una prospettiva 0-6.

 

 

 

Le “bolle” e i rapporti tra bambini

Le parole degli insegnanti

Molti gli elementi positivi segnalati dagli insegnanti riguardo alla vita sociale e relazionale dentro alla “bolla”. Nel giro di poche settimane si evidenzia un progressivo consolidarsi di rapporti positivi: i bambini sono calmi, lasciano serenamente i genitori, mostrano tolleranza e apertura nel relazionarsi (forse come reazione al lungo periodo di isolamento a casa?), i più grandi e/o già frequentanti attivano funzioni di tutoring nei confronti dei bambini più piccoli e/o nuovi, chi è portatore di fragilità mostra dei passi in avanti. A ciò si aggiunge la sottolineatura di tempi più distesi, che permettono di ascoltarsi e parlarsi con più calma e rendono tutti più sensibili, capaci di attenzione e di un nuovo sguardo.

D’altra parte, non manca la rilevazione di criticità. In alcuni casi, alla prima organizzazione i gruppi risultano troppo piccoli, tanto da poter dire che manca un vero e proprio gruppo dei pari. Più in generale la mancanza di attività di intersezione, e comunque di qualsiasi rapporto al di fuori della “bolla”, determina una socializzazione soffocata nel gruppo chiuso, che col tempo potrebbe risultare poco stimolante. Inoltre, il fatto di poter disporre di un ambiente di vita, la sezione, sempre identico e difficilmente modificabile nella sua articolazione interna in angoli e materiali disponibili, fa temere che gli interessi dei bambini vengano progressivamente meno corrisposti e attivati.

Gli insegnanti segnalano un’iniziale difficoltà dei bambini alla “chiusura” nella “bolla”: i più piccoli fanno fatica a capire che devono far riferimento a una sola insegnante e a un gruppetto; in alcuni casi, trovano strategie per interagire tra “bolle” quando è possibile, soprattutto all’aperto, come fingere di essere dinosauri che si chiamano da una parte all’altra del giardino diviso in due parti, una per “bolla”, da una corda. Ma viene anche rilevato un progressivo affermarsi del disinteresse per le altre “bolle”; un’insegnante appartenente a una scuola precedentemente organizzata secondo una spiccata apertura di gruppi e sezioni, nella quale i bambini erano quindi abituati a cambiare spazi e compagni quotidianamente, riferisce di aver chiesto più volte ai bambini del proprio gruppo se sentivano il bisogno di stare con gli altri di altri gruppi e di aver ricevuto risposte negative, concludendo che sembrano non particolarmente interessati a cercare altro oltre la propria “bolla”. Insomma, sembrerebbero abituarsi presto alla “chiusura”.

Considerazioni e punti di attenzione

L’insieme di queste osservazioni suggerisce alcune risposte alle possibilità e agli interrogativi proposti in apertura sul piano del significato pedagogico.

Riguardo alle dinamiche relazionali interne alla “bolla”, si possono avanzare due considerazioni di segno opposto.

Da una parte sembra che la “chiusura” in una rete di rapporti stabili e protetti da incursioni dall’esterno e all’esterno, in uno spazio e un tempo di vita altrettanto protetti, favorisca la possibilità di dedicarsi con più agio, cura e attenzione alle dinamiche sociali interne che, perciò, risulterebbero più collaborative e inclusive. In altre parole, sarebbe facilitata l’esperienza di una socialità positiva, in cui si danno condizioni ottimali per mettersi alla prova e crescere nella capacità di relazionarsi agli altri e al gruppo, in ragione anche della possibilità dell’adulto di osservare con sguardo più attento e promuovere tali capacità. Dunque, guardando oltre l’emergenza Covid, chiedendoci cosa può rivelarci di nuovo o di già conosciuto ma messo in secondo piano, questi aspetti sono senz’altro pedagogicamente rilevanti e ci avvertono del pericolo di perderli con certe forme di organizzazione “aperta” non attentamente pensate. Ci dicono che la possibilità di incontri di intersezione, di momenti in cui i gruppi si mischiano e gli ambienti e i materiali vengono condivisi, dovrebbe essere affiancata da una attenta progettazione di condizioni di stabilità. Insomma, si tratterebbe di progettare gruppi di intersezione o di progetto ecc., non troppo numerosi e soprattutto stabili, in modo che abbiano la possibilità di intrecciare rapporti approfonditi e di dedicarsi a quest’intreccio con tempi distesi. Gruppi concentrati su proposte educative anch’esse stabili, cioè con materiali e attività che restano gli stessi per un certo periodo e in un certo spazio, lasciando tempo ai bambini per approfondire e quindi per costruire un repertorio di esperienze, una storia di esplorazioni condivise, un bagaglio di saperi di “quel gruppo lì”, trovando anche modi per comunicarli agli altri gruppi, magari lasciandone traccia in quello spazio con istallazioni prodotte dalle proprie attività.

D’altra parte, si evidenzia che la “chiusura” rischierebbe nel tempo di risultare asfittica, poco stimolante sul piano della capacità relazionale e sociale. A ciò si può aggiungere il rischio di un effetto “rintanamento”: la protezione offerta da un gruppo che rappresenta il perimetro prevedibile, perciò rassicurante, delle proprie esperienze relazionali e sociali, potrebbe disincentivare il desiderio e alimentare il timore di mettersi alla prova in nuove reti sociali. Su questo piano, l’esperienza delle “bolle” ci aiuta in prospettiva a mettere ben a fuoco che la stabilità (di gruppi, spazi e adulti di riferimento) non deve coniugarsi con la “chiusura”, ma invece essere declinata con aperture che ricombinino gruppi, spazi e ambienti avendo chiaro il significato dell’“aprire” sul piano della crescita dei bambini in termini di capacità di essere curiosi e attivi verso le novità sociali.

Agganciandoci alle ultime considerazioni, rispetto alle relazioni tra “bolle” le osservazioni degli insegnanti suggeriscono ulteriori punti di attenzione in termini di formazione sociale dei bambini. Al rischio di rintanamento appena accennato, potrebbe associarsi un forte senso del “noi” che alimenta disinteresse o addirittura diffidenza per “gli altri” (che sono pericolosi), come accennato in apertura. Spaltro (1972) delinea questa possibilità affermando che “tanto più mi sento appartenente a un gruppo tanto meno sono sensibile ai fatti esterni al gruppo stesso” (p. 208). Una delle insegnanti si esprime in questo senso dicendo che “Questa dimensione di “bolla” è molto facilitante per i rapporti tra noi adulti e i bambini ma lascia veramente fuori il resto del mondo… esistiamo solo noi…”. Dunque, nell’esperienza della “bolla” il punto critico non starebbe solo nella carenza di stimoli sociali o della possibilità di mantenere vivo lo slancio per socializzazioni nuove, ma anche in un’educazione a valori sociali di indifferenza quindi di esclusione, se non di opposizione, per chi non è parte di quel “noi”. Un’esperienza di comunità chiusa che veicola valori ben distanti da quelli di inclusione, solidarietà, partecipazione collaborativa rivolti in modo aperto alla comunità allargata degli esseri viventi (non solo umani), cui la pedagogia dello 0-6, ma prima di tutto la nostra carta costituzionale, fa riferimento nei suoi documenti di indirizzo nazionale e internazionali.

Che questa sia un’eventualità non remota lo suggeriscono le osservazioni raccolte: dopo poche settimane i bambini sembrano non più interessati a cercare altro al di fuori della propria “bolla”, si abituano alla chiusura. Va notato anche che il problema dell’impossibilità delle relazioni tra “bolle”, e quindi il tema della possibile messa in crisi del senso di appartenenza a una comunità allargata e aperta, è stato appena sfiorato da una sola insegnante, proveniente da un’esperienza di organizzazione “aperta”.

Tutto ciò aiuta a mettere a fuoco attenzioni da mantenere vive in prospettiva, oltre il Covid. In primo luogo, l’esperienza sociale delle “bolle” riproduce in modo accentuato quella di un’organizzazione rigida per sezioni chiuse, evidenziando il tipo di esperienza sociale che propone ai bambini e i dis-valori a cui rischia di formare; occorre perciò sul piano pedagogico mantenere alto il senso critico per questo tipo di organizzazioni e superarle. In secondo luogo, è evidente che i bambini, ma non solo, si abituano presto alle circostanze che vengono loro proposte formandosi agli orientamenti definiti dai curricoli impliciti. Perciò è importante che la pedagogia implicita non diventi pedagogia latente, cioè che gli insegnanti tengano viva la riflessione e quindi la lucidità sul significato educativo veicolato ai bambini anche a livello di organizzazione di raggruppamenti, spazi, materiali, adulti di riferimento. In questo modo potranno tenere la barra dritta e orientare la loro azione verso i principi educativi cui aderiscono, contrastando orientamenti di segno opposto. Nel caso specifico, si tratta, con e oltre le “bolle”, di contrastare l’abitudine alla chiusura e di mettere in campo strategie di condivisione tra gruppi che diano ai bambini il senso di appartenere a una comunità ampia (la scuola, il nido) e aperta, “smarginata” dentro e fuori. Anche in circostanze tanto difficili come le “bolle” possono essere messe in campo strategie in questa direzione: ad esempio un orto comune, coltivato a turno dalle diverse “bolle”, il cui raccolto diviene, anche se solo per un piccolo ciuffo di prezzemolo, cibo per tutti: per la scuola, per il nido, per i vicini, per i genitori.

 

 

 

Le “bolle” e i rapporti tra colleghi

Le parole degli insegnanti

La chiusura nella “bolla”, richiamata nelle sue possibili conseguenze pedagogiche nel paragrafo precedente, ha effetti sensibili anche nel rapporto tra colleghi. Da un lato gli insegnanti sottolineano come elementi positivi il rinsaldarsi della relazione con la collega di sezione, con la quale si condividono i problemi e si progettano le soluzioni, e con la collaboratrice scolastica che, nella situazione di isolamento, diventa un supporto e un aiuto in più; dall’altro la situazione a “bolle” rende difficili gli scambi operativi quotidiani, per via del distanziamento fisico in primo luogo – difficoltà di comprensione a distanza, necessità di togliere la mascherina per farsi sentire e aumento del tono della voce – e di momenti di solitudine quando non è possibile la compresenza. Inoltre, essendo venuti meno i momenti quotidiani di accoglienza e intersezione in cui bambini di gruppi diversi potevano interagire e confrontarsi, sono di molto diminuite le occasioni di incontro tra insegnanti fuori dalla “bolla”.

Si tratterebbe di difficoltà a prima vista sormontabili se lo scambio tra colleghi, ritenuto peraltro necessario, avvenisse in momenti dedicati non in presenza dei bambini. Ma le cose non sembrano stare così. Gli insegnanti lamentano infatti la difficoltà, a causa delle “bolle”, di assumere decisioni comuni, ritengono la chiusura in sezione causa della difficoltà ad elaborare una programmazione e scelte metodologiche condivise, conquista cui si era arrivati con fatica negli anni precedenti. Le “bolle” hanno effetti negativi anche sulla progettazione: “più difficile trovare degli obiettivi comuni e far dialogare i nostri stili educativi anche nella pratica”. C’è chi teme addirittura “la perdita di senso della comunità scolastica”. Inoltre, il timore del contagio e la troppa attenzione alle questioni relative alla sicurezza finiscono per indebolire ancora di più i tentativi di mantenere vivo il senso di comunità educante e di progettualità condivisa: “In alcuni casi ci si preoccupa molto di salvaguardare la salute dei bambini, a scapito di altre dimensioni, altrettanto importanti, da integrare per salvaguardare la ‘qualità educativa’”. Aleggia il timore di un “ritorno all’indietro”, di una regressione rispetto a conquiste che sembravano assodate e consolidate: “L’attenzione spasmodica ai temi della sicurezza ha dato fiato alle maestre delle schede che hanno assegnato i posti a sedere, hanno messo i nomi su matite e pennarelli e camminano con il termoscanner in mano”. Si rileva d’altra parte, all’opposto, una resistenza al cambiamento da parte di quelle colleghe che, anziché riflettere sul nuovo assetto organizzativo dovuto al distanziamento in vista di metterne in luce positività e criticità, rimpiange le soluzioni del passato, che si sono dovute abbandonare, come fossero le uniche possibili e di qualità. Infine, l’utilizzo della comunicazione a distanza con dispositivi come zoom o meet, attraverso i quali sopperire agli incontri collegiali in presenza, non appaiono agli insegnanti al momento sufficienti a produrre un dialogo produttivo in merito a questioni pedagogiche di ampio respiro, non legate immediatamente all’emergenza.

Considerazioni e punti di attenzione

Sintetizzando quanto rilevato dai diari di bordo del gruppo considerato, a fianco di una percezione di maggiore collaborazione tra colleghe all’interno della “bolla”, emerge una sensazione di perdita di orizzonti, spaesamento, venir meno del senso di comunità scolastica e di collegialità, timore che gli aspetti sanitari prevalgano su quelli educativi, preoccupazione di perdere le conquiste fatte, resistenza al cambiamento. La collaborazione all’interno della “bolla”, percepita come positiva e rassicurante, non sembra pertanto sufficiente a colmare l’esigenza di una condivisione più allargata tra colleghe in merito all’organizzazione e alle scelte educative che si vorrebbero maggiormente condivise. Risulta tuttavia singolare che le possibilità auspicate di scambio e condivisione tra colleghi vengano pensate soprattutto in termini di concreta vicinanza spaziale, come emerge dalle seguenti affermazioni: “sono venuti meno i quotidiani momenti di accoglienza e di intersezione in cui i docenti e i bambini delle diverse sezioni potevano incontrarsi/confrontarsi”; “l’impossibilità di incontrarsi in momenti di intersezione influisce negativamente sulla collegialità”; “ritengo che la separatezza fisica renda il gruppo meno forte e creativo e, in ultima analisi, produttivo”. Senza sottovalutare le difficoltà, i timori e, soprattutto, le preoccupazioni, che la situazione emergenziale ha suscitato negli insegnanti, e il conseguente senso di spaesamento, risulta evidente, dalle affermazioni riportate, quanto importante sia, da parte degli insegnanti, lo scambio quotidiano nell’ambiente scolastico, e lo sguardo incrociato tra colleghi nei momenti di intersezione. Uno scambio e uno sguardo che, a quanto pare, facilita la condivisione, consente la definizione di obiettivi comuni, permette l’emergere di un senso di comunità.

Che la chiusura nelle “bolle” metta a rischio tutto questo fa risaltare, a nostro avviso, su quali basi si fondi la progettazione condivisa e il senso di identità della scuola: sull’incontro personale? Sull’intreccio di sguardi relativi alle pratiche educative? Sugli scambi di informazione relativi a ciò che accade nell’una e nell’altra sezione? Sul trovarsi insieme? Se è vero che non vi è ancora né l’abitudine – né la dimestichezza – all’uso di modalità di incontro online per discutere e progettare, riflettere e trovare soluzioni in comune, c’è tuttavia da chiedersi se forme effettive e consolidate di progettazione condivise in presenza esperite in passato non avrebbero potuto facilmente essere esportate nella modalità “da remoto”. Questa domanda ne apre di ulteriori, cui non è possibile dare una risposta immediata: forse le modalità “in presenza” di progettazione sono sentite troppo “astratte” se non accompagnate da riscontri “in presenza” seppure asistematici? Quale è la qualità dei riscontri in presenza e dello scambio nella concretezza della quotidianità che li rende insostituibili per garantire senso di comunità e di appartenenza?

Dalle rilevazioni fatte e dalle domande che ne sono scaturite è possibile proporre alcuni suggerimenti utili per progettare il futuro tenendo conto della “lezione” della pandemia.

Il primo riguarda l’utilizzo di modalità di incontro online tra insegnanti da dosare oculatamente rispetto a quelli in presenza. Questi ultimi potrebbero essere riservati a momenti di progettazione, raccolta e commento di documentazione, verifica dell’offerta formativa, momenti cioè che richiedono un impegno collegiale di pensiero; gli incontri a distanza potrebbero essere più brevi e riguardare aspetti operativi o decisioni puntuali consentendo un risparmio di tempo e minori spostamenti. Una particolare attenzione andrà data a mantenere e rinforzare la collegialità non solo attraverso quei momenti di intersezione che rendono più agevoli scambi e confronti nella quotidianità ma nella prospettiva di una riflessione che, rendendo espliciti pratiche e convincimenti, consenta di costruire lungo strada una identità educativa salda e coerente.
Si tratta di un auspicio valido in qualsiasi tempo ma quanto mai attuale ora che il rischio di un “ritorno all’indietro”, in termini di auto chiusura in bolle immaginarie, è senz’altro presente.

 

Per concludere

In sintesi, nelle “bolle” l’esperienza dei bambini e quella degli insegnanti si rispecchiano sul piano della messa a rischio della possibilità di una partecipazione allargata e attiva all’impresa educativa, che è essa stessa parte importante di tale impresa. La percezione di un agio maggiore nel lavoro con i bambini nella situazione “a bolle”, e la conseguente valorizzazione di tempi più dilatati e sereni, non devono far dimenticare la lezione malaguzziana secondo cui il cuore di ogni scuola è la “piazza”, il luogo fisico e allegorico della partecipazione e del dialogo democratico, il simbolo dell’apertura dei confini, della “deprivatizzazione dell’infanzia” e, di conseguenza, della necessità di un confronto tra adulti su come solo un villaggio possa educare un bambino.

 

Bibliografia

Spaltro E. (1972), La dinamica dei piccoli gruppi, in Nuove questioni di psicologia, Vol. II, La scuola, Brescia.

Anna Bondioli ha scritto i paragrafi 2 e 3, Donatella Savio la Premessa e il paragrafo 1

[2] Si tratta di un progetto di ricerca formazione promosso da Proteo Fare Sapere con la supervisione scientifica di Anna Bondioli e Donatella Savio, dell’Università degli studi di Pavia. Hanno partecipato nove insegnanti provenienti da diverse regioni (Piemonte, Veneto, Liguria, Toscana, Puglia, Sardegna, Sicilia). Il percorso ha previsto per ogni insegnante la redazione di un diario di bordo settimanale per 3 settimane, focalizzando l’attenzione sulle criticità, positività e nuove strategie messe in atto rispetto a 4 aree: il rapporto tra bambini, il rapporto con i bambini, il rapporto con i genitori, il rapporto tra colleghi/e. I diari sono poi stati analizzati dai supervisori scientifici, che hanno restituito al gruppo gli esiti del loro lavoro sollecitando riflessione e confronto. Nel presente contributo si farà riferimento a quanto emerso dai diari a proposito dell’esperienza delle “bolle”.

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