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Lavoro Aperto come opportunità di Cambiamento

Enea Nottoli

Redattore e formatore RILA


Che cosa vuol dire Lavoro Aperto? Che significato hanno questi due termini uno accanto all’altro? Qual è il vantaggio pedagogico nell’affrontare questa tematica apparentemente banale, ma in realtà molto complessa?

Sono tutte domande legittime e potremmo andare avanti ancora per molte righe, elencando tutte quelle che possono essere le problematiche, i dubbi, le certezze e le incertezze che ruotano intorno al concetto di Lavoro Aperto.

L’unica certezza che possiamo manifestare, in modo indissolubile e inequivocabile, è che il Lavoro Aperto non è una moda bensì una scelta ben precisa e ponderata.

Spiegare in uno scritto breve cosa sia e quali siano i cardini principali di questa “scelta” non è semplice e, il rischio è quello di cadere nella retorica più pura o nell’accademico abituale, quello che ci accompagna in ogni passo educativo della nostra vita.

 

Una scelta

Il Lavoro Aperto è una scelta, un qualcosa che sin dal momento che lo incontri ti prende per mano e ti accompagna verso una nuova consapevolezza non solo del sé, ma soprattutto degli altri.

È un percorso che parte prima di tutto da una riflessione personale approfondita, dalla necessit‡ di mettere in discussione il proprio vissuto didattico, pedagogico ed emozionale.

Un viaggio attraverso l’analisi attenta di quelle che sono le nostre competenze, conoscenze, azioni; attraverso i nostri pensieri, pregiudizi e attraverso la nostra storia personale.

È una scelta coraggiosa che ci porta a rimettere in discussione il tutto per raggiungere il particolare; che ci porta all’oggettivazione per osservare dall’alto ciò che realmente facciamo e ciò di cui c’è realmente bisogno nella nostra esperienza educativa.

È una destrutturazione forte e violenta che però non ha come ultimo fine la distruzione, bensì la ricerca di un qualcosa che alla fine getti delle basi solide sulle quali costruire un edificio capace di sostenere anche le scosse telluriche pi˘ forti.

 

Il contesto

Il Lavoro Aperto nasce in un contesto ben preciso che cambia a seconda delle locazioni, delle esigenze, delle culture e dei bisogni.

Non è una ricetta fissa, non è una formula matematica o grammaticale che si esplicita solo in un determinato contesto. L’applicazione del percorso informatico del “copia e incolla” non porta all’ottenimento dei risultati sperati, anzi crea indubbiamente false aspettative che verranno poi regolarmente disattese.

Necessita, dunque, di uno studio preliminare attento, di una conoscenza delle persone che lo andranno ad applicare, di coloro che ne usufruiranno, dei luoghi fisici e non che lo ospiteranno. Sarà necessario anche un approccio storico-sociale del contesto, proprio per capire quale sfumatura del Lavoro Aperto potrà essere presa in considerazione.

Ciò che va bene per me non è detto che vada ben per te e viceversa. Questa deve essere una massima che accompagna coloro che si approcciano a questo “pensiero pedagogico”, in modo da non creare sin da subito fraintendimenti in merito alle proprie aspettative.

 

I protagonisti

Coloro che si trovano ad essere gli attori principali di questo percorso sono molti e non un unico anfitrione: educatori, bambini, famiglie, istituzioni e società sono tutti coinvolti parimenti in questo cammino.

Gli educatori dovranno riscrivere il proprio copione educativo. Dovranno spogliarsi delle maschere sino a quel momento indossate e mettere in scena un nuovo canovaccio, del quale dovranno essere loro stessi i primi autori. Non dovranno temere la sperimentazione, la destrutturazione, il giudizio o il pregiudizio; dovranno mettersi in discussione in modo completo capendo se ciò che stanno facendo sia realmente ciò che vogliono. Il timore, l’esitazione e la mancanza di convinzione trasformerebbero la riforma verso il Lavoro Aperto in una banalizzazione fatta sull’onda emotiva di un cambiamento voluto dagli altri.

L’equipe educativa deve discutere, modificare, litigare, smontare, rimontare e smantellare il proprio canovaccio fino a quando tutti gli attori non saranno convenuti su un risultato comune e attuabile. Anche un solo attore non in sintonia potrebbe vanificare un lungo periodo di prove.

I bambini devono interpretare loro stessi. Devono essere messi nelle condizioni di svolgere nel migliore dei modi il ruolo che gli è assegnato naturalmente. Tutto ciò che gli sta intorno deve essere modellato su di loro: tempi, attività, routine, relazioni, cura, gioco. Niente deve essere presentato come un pacchetto precostituito, bensì deve avere dentro di sé un’apertura intrinseca proprio perché tutto ciò che ruota intorno a loro è fatto di “imprevedibilità storica”.

Ciò che fa di loro gli attori migliori è il fatto che non recitano, bensì hanno la straordinaria capacità di interpretare sé stessi. A volte lo fanno bene, altre meno bene ma sempre mossi dalla volontà di stupire attraverso cose semplici.

Le famiglie devono fermarsi sulle poltrone di velluto, spegnere per un attimo i loro cellulari, dimenticarsi delle mille cose da fare o da non fare e leggere con attenzione il copione che gli viene proposto dagli educatori e dai bambini.

La loro parte è centrale, perché sono coloro che accompagnano per mano sia gli uni che gli altri: partecipando attivamente non tanto alla stesura, quanto alla modifica del copione; legittimano e sposano la linea assunta dalla compagnia. Appoggiare in modo esplicito e partecipativo ciò che verrà proposto, servirà a chi propone da stimolo a mettersi sempre più in discussione.

Istituzioni e società hanno il compito di accompagnare e di creare il contesto all’interno del quale mettere in atto il Lavoro Aperto. Capire le esigenze, incontrare le esigenze e porsi di fronte al cambiamento in modo attivo e non passivo, comprendendo che questa non è solo una possibilità per chi agisce in prima persona, ma anche e soprattutto per chi ospita questo percorso.

Ripensare gli spazi; ripensare gli arredi; ripensare i tempi. Il tutto avendo sempre come punto di riferimento il bambino ed il suo benessere.

 

Da dove partire

Come sosteniamo da sempre il Lavoro Aperto non ha una ricetta ben definita o una teorizzazione accademica rigida. Attinge, per sua natura, a concetti pedagogici provenienti da più riflessioni arrivando, alla fine, alla costruzione di un percorso “personalizzato” in ogni ambiente educativo in cui viene applicato.

Prevede inizialmente una profonda riflessione personale di coloro che vi si avvicinano, cercando di mettere le proprie conoscenze a disposizione del cambiamento e non come elemento di intransigenza.

È, dunque, prima di tutto un lavoro personale, un qualcosa che deve partire dalla volont‡ di ognuno di trovare un qualcosa che possa aprire nuove strade educative e nuove forme pedagogiche che scaturiscano anche dall’unione di pi˘ pensieri e non da un pensiero predominante.

Se sosteniamo la non unicità, la non standardizzazione dei bambini, se li consideriamo tutti diversi tra loro e tutti portatori di grandi opportunità, dobbiamo, necessariamente mettere a disposizione elementi pedagogici non rigidi, all’interno dei quali ognuno di loro possa trovare la propria strada e la propria autonomia.

Guardarsi dentro; ascoltare noi stessi; ascoltare gli altri; osservare gli altri; conoscere il proprio contesto socio-storico-culturale; riflettere continuamente sulle nostre azioni. Questi sono i punti da cui partire, le situazioni in grado di offrirci un approccio coerente al Lavoro Aperto.

Da lì in poi si apre la strada alla sperimentazione, alla costruzione di un percorso pedagogico-educativo diverso da contesto a contesto.

 

I contesti educativi del Lavoro Aperto

Il Lavoro Aperto non ha un contesto educativo privilegiato, non ha un ambiente entro il quale funziona meglio o peggio.

È un’opportunit‡ trasversale che può accompagnare i bambini dalla loro nascita fino alla fine del percorso educativo istituzionale.

Paradossalmente, se analizziamo fino in fondo le finalità di questa scelta, troviamo che questa modalità si possa allargare e accentuare progressivamente con il passaggio a ordini educativi maggiori, laddove il concetto dell’autonomia e della personalizzazione entrano maggiormente in gioco.

Lo sforzo di ripensare al proprio ruolo educativo, alla propria funzione e al rapporto con il sé e con gli altri non può fermarsi agli educatori e agli insegnanti della Scuola dell’Infanzia; tale processo è necessario anche nei percorsi successivi, laddove si costruisce la struttura del cittadino del domani capace di muoversi autonomamente in una società sempre più complessa.

Cambiare, ri-pensare, ri-formare e ri-considerare mettendosi in discussione è un dovere di qualsiasi essere umano che abbia a che fare con un percorso pedagogico, dunque è ancor più necessario in chi ogni giorno lavora con bambini/adolescenti/giovani che vanno da 0 a 19 anni.

 

Conclusione

Perché, dunque, scegliere il Lavoro Aperto? Perché abbandonare strade sicure e percorse da anni per addentrarsi in una di cui poco sappiamo e di cui non conosciamo la direzione?

La risposta risiede proprio dentro coloro che sono i destinatari delle nostre conoscenze e delle nostre pratiche e nel contesto storico in cui essi stanno crescendo.

La storia oggi procede in modo spedito apportando cambiamenti socio-culturali con cicli di massimo dieci anni. Ciò che fino a ieri risultava un metodo vincente oggi non lo è più. Dobbiamo capire che aprirci non è un’opportunità bensì una necessità.

Mettersi in discussione, rivedere il nostro modo di pensare associandolo ai cambiamenti vuol dire dare qualcosa che nessuna teorizzazione sarà mai in grado di dare. Aprirsi vuol dire proprio questo, essere capaci di leggere più messaggi e riuscire a dare più opportunità a sé stessi e agli altri.

Il Lavoro Aperto non ha come obiettivo l’eliminazione di ciò che lo circonda, ma il dare strumenti in più per una lettura nuova di ciò che ci circonda.

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