Intervista a Roberta Nepi
A cura di Enrica Fontani
La creazione di contesti d’apprendimento dinamici e interattivi per lo sviluppo dell’italiano come seconda lingua, secondo le teorie glottodidattiche, risponde alle necessità, in continua evoluzione dei bambini di madrelingua non italiana.
1) Quali sono le motivazioni che impongono un approfondimento della questione della lingua anche nella prima infanzia?
La presenza di bambini di madrelingua non italiana caratterizza fortemente le strutture educative per la prima infanzia e l’approccio pedagogico interculturale, da solo, non è più sufficiente. I bambini nati in Italia da genitori stranieri devono essere considerati anche nel ruolo di apprendenti di italiano L2, o meglio lingua di contatto: questi bambini con motivazioni, caratteristiche e bisogni specifici caratterizzati dall’età, possiedono competenze linguistiche in italiano molto variabili grazie all’eterogeneità dei paesi di provenienza delle rispettive famiglie e al ruolo che la lingua d’origine è riuscita a mantenere come lingua della comunicazione familiare e delle relazioni sociali. Non è più possibile quindi parlare oggi di bambini stranieri con un’unica accezione ed è del tutto inutile, soprattutto in un’ottica di progettazione e programmazione degli interventi didattici. Gli studenti stranieri che necessitano di un insegnamento intensivo e specifico di italiano perché appena arrivati in Italia sono ancora una parte importante della popolazione scolastica ma non più la prevalente. La maggior parte, la seconda generazione, è nata in Italia ed è immersa fin dalla prima infanzia nei suoni e nelle parole dell’italiano e, contemporaneamente, della madrelingua.
2) Quali sono le motivazioni dello scarso interesse rispetto ai bambini di questa fascia d’età?
La prima motivazione è di ordine culturale perché il valore dei sistemi scolastici viene ancora riconosciuto in ordine gerarchico dall’alto verso il basso; la seconda, invece, fa riferimento ai concetti di infanzia e di sviluppo che hanno preso solo recentemente coscienza della specificità dei bambini riconoscendo loro finalmente anche il diritto ad una specifica educazione linguistica. Un terzo motivo è di ordine economico per cui non si è ancora compreso, almeno in Italia, l’importanza di investire nel primo gradino del sistema istruzione e nello sviluppo precoce delle lingue per accrescere il capitale di risorse umane in favore del sistema economico, in modo che si possa sfruttare al massimo il potenziale talento dei bambini.
3) La full immersion linguistica e culturale non è sufficiente a garantire l’apprendimento dell’italiano L2 per i bambini della fascia 0-6 anni?
La ricchezza di input, l’imitazione e la pratica in un ambiente come quello dei servizi alla prima infanzia viene ancora ritenuto di per sé sufficiente per l’acquisizione di qualsiasi lingua anche senza l’adozione di particolari metodologie e strategie di insegnamento. Quello delle strutture educative prescolastiche è effettivamente un ambiente educativo già molto ricco di input, un ambiente in cui i bambini stranieri realizzano da subito, insieme allo sviluppo cognitivo, l’apprendimento delle due lingue, la lingua madre nell’ambiente familiare e l’italiano nel servizio educativo. È un ambiente in cui i bambini imparano giocando i fondamenti stessi della lingua e assimilano il gioco fonetico, le strutture grammaticali di base, il vocabolario, ma la padronanza di una lingua è sempre legata alle esperienze vissute e quindi la “qualità”, oltre che alla quantità di quelle esperienze, può fare una grande differenza. Il nido e la scuola d’infanzia sono ambienti in cui la dimensione orale della lingua diviene una condizione fondamentale della comunicazione e dello sviluppo del linguaggio, soprattutto per i bambini stranieri il cui input in lingua italiana è spesso solo quello della scuola.
4) Perché diventa quindi necessario sviluppare nuove strategie ?
I servizi educativi per l’infanzia hanno come primo obiettivo quello dello sviluppo dell’identità personale del bambino sotto il profilo corporeo, cognitivo, psicologico, affettivo ma anche linguistico. Il bambino deve essere sempre al primo posto: i suoi bisogni e interessi, le sue specifiche condizioni, la formazione di un proprio autonomo stile di vita, e l’inserimento di molti bambini stranieri, soprattutto quelli di seconda generazione, ha reso evidenti nuovi bisogni che si riferiscono alla formazione dell’identità culturale legata alla propria lingua d’origine vista in relazione con lingua e modelli di vita differenti. A tutto ciò si aggiunge l’importante funzione sociale dei servizi per la prima infanzia, ruolo fondamentale nella scuola italiana, quello di accogliere le differenze, di riconoscerle, di dare risposte a bisogni e aspettative nuove a tutte le diverse famiglie. Ora che i bambini che frequentano le strutture educative prescolastiche si presentano così diversi per cultura, per lingua, per tratti somatici, è più forte l’esigenza di sviluppare nuove strategie educative e riorganizzare i propri saperi e modalità didattiche. Modificare la didattica, le abitudini e le prassi professionali, rimettere in discussione le certezze diventa quindi indispensabile per soddisfare tutte le nuove esigenze sia degli immigrati che degli autoctoni di fronte ad una realtà segmentata, come la comunità scuola, dove i bambini di diverse origini, lingue, religioni esprimono bisogni particolari e non assimilabili tra loro.
5) Come intervenire con una programmazione didattica adeguata?
Come prima cosa è necessaria una riflessione teorica sulla questione della lingua nell’età infantile e sull’importanza dell’input orale delle insegnanti delle strutture educative per la prima infanzia che, poco aggiornate sulle teorie glottodidattiche, non sono consapevoli di quanto il modello di lingua da loro offerto ai bambini che non hanno ancora sviluppate le competenze quali la lettura e la scrittura, sia importante per garantire la ricchezza strutturale e funzionale della lingua italiana necessarie al futuro successo scolastico dei bambini stranieri. L’insegnante non deve limitarsi pertanto ai bisogni primari della comunicazione ma deve cercare di creare dimensioni dinamiche durante le attività didattiche attraverso input linguistici e paralinguistici anche più complessi e variabili, creando contesti di apprendimento interattivo e proponendo attività motivanti che creino nuovi bisogni linguistici. La velocità con cui le lingue d’origine perdono terreno a favore dell’italiano rende poi necessario un adeguato intervento di valorizzazione delle lingue materne per creare le condizioni necessarie per lo sviluppo delle competenze bilingui dei bambini; sostenere in maniera efficace azioni per la tutela e il mantenimento della lingua materna significa rendere i servizi educativi per la prima infanzia luoghi privilegiati di sviluppo dell’italiano L2 e di valorizzazione della lingua d’origine.