
Loris Malaguzzi
1.
Lo so bene che è difficile e penoso – dopo tutto quello che sappiamo delle vicende scolastiche e formative del nostro paese soprattutto – cercare di capire quale sia la forza reale di cambiamento della nostra pedagogia.
Più indipendentemente dalle contingenze e dalle sue descrizioni teoriche ciò che sappiamo è che la pedagogia è in tensione perenne e irrisolta con sé stessa, con le scienze sociali, con l’economia e la politica, con la cultura e il mondo.
Già il vecchio Jean Piaget, dopo quel po’ di vita spesa, doveva ammettere che la natura stessa della pedagogia trovava sbarrate molte vie, a causa della impossibilità di trovare un valevole rapporto tra le sue elaborazioni e le applicazioni sociali.
Una denuncia identica a quella di Bruner, Bronfenbrenner, De Landsheere: una sofferenza ossessiva, ricordo, per Ciari, Tamagnini, Rodari, per la parte migliore dei pedagogisti italiani e oggi di migliaia e migliaia di insegnanti.
Qui in casa nostra, la complicità e la potenza del malessere, connesse ad una pedagogia sempre ostaggio di qualcuno, sono tante al punto di fortificare una indifferenza crescente e persino ampie letterature di fuga. I focolai di resistenza non bastano. Le scelte epistemologiche e di valore, quelle che sanzionano il vero, stanno in gran numero fuori dalle scelte addebitabili alle fonti naturali.
2.
Comunque sia, la questione che proponiamo è l’evento rappresentato dai nuovi Orientamenti Programmatici della scuola dell’infanzia, un termine quest’ultimo, dopo un cinquantennio, finalmente legittimato nelle sue giuste semantiche.
Un evento che, fatto oggetto di moltissimi discorsi, moltissime analisi e decifrazioni, di grande interesse, costume e cultura, è stato salutato da un’amplissima condivisione di giudizi positivi. Il documento che è in effetti di rilevante freschezza, semplicità, chiarezza, raccogliendo il frutto di una singolare felicità negoziale, e di una elaborazione espunta e liberata da ogni fallace assolutizzazione di parte, sa proporre una descrizione accoglibile delle complicanze sociali, dei diritti all’educazione dei bambini, dei percorsi maturativi e degli sviluppi cognitivi, comunicativi e relazionali dei bambini, delle interrelazioni delle esperienze di vita e degli apprendimenti e infine dei campi simbiotici di esperienza educativa interpretati come mappa curricolare, orientativa e applicativa delle azioni dell’organizzazione e delle idee e, più in generale, delle appropriazioni culturali dei bambini.
Una sintesi di grande equilibrio e fecondità. Direi di forte responsabile serenità. Quanto basta per promettere molto.
Un testo culturalmente originale da essere amabile, come conviene, per i bambini, gli insegnanti e le famiglie. E storicamente fuori da ogni lettura di accomodante subalternità ai vecchi schemi della scolasticità – per come si presenta, per come la viviamo – che ancora comprime potenzialità, progettualità, forza di apprendere, acquisizione e godimento della conoscenza con l’alleanza di contestualità e interazioni fin qui liquidate o manomesse o semplificate. Un testo buono non tanto per una prima scuola quanto per una nuova prima scuola.
Ho detto originale e basterebbe confrontarlo con alcuni tra i più noti programmi dei paesi europei e anglosassoni dove i bambini sono regolarmente decontestualizzati, come i saperi, gli insegnanti, gli apprendimenti: e i campi di esperienza educativa, quelli indicati dagli Orientamenti, spesso ridotti a fortezze senza ponti levatoi.
3.
Dette queste cose e ripigliando in mano le molte recensioni (a parte la confluenza dei giudizi) ho la sensazione di qualche contrabbando, di qualche forzatura, di qualche tendenza a sostare in mondi già descritti e interpretati, di qualche disinvoltura a continuare come prima senza inciampi e dubbi e persino con enfasi e retoriche offensive di un testo di tanta limpidezza e umiltà; mischiate a riflessioni lucide e ponderate, a preoccupazioni esatte e indifferibili, a riconoscimenti delle tesi relazioni e interattive, a inviti a dare praticabilità di discorsi ben sapendo che non bastano e che ci si aspetta anche altro – come avverte Cesare Scurati.
Insomma, un documento che corre i rischi di tutti i documenti, di essere letti con coerenza, di subire pensieri difformi e di essere strumentalmente utilizzati per altro. Dipenderà dai discorsi che seguiranno.
4.
Ma la cosa che mi premeva annotare sta in un’altra peculiarità dei Nuovi Orientamenti che mi pare la sua dote più importante sul piano storico e culturale. Contenuti e forme degli Orientamenti spezzano o rallentano quella specie di morsa costruita in alcuni luoghi di potere, fatta di eccessi e di enfasi filosofiche e didattiche di tipo comportamentistico e ipercognitivistico e soprattutto di astiose campagne di arroganza contro chiunque azzardasse risaltarne i rischi, le aridità, le pochezze scientifiche, le semplificazioni concettuali e di valori, oltreché gli ammanchi dell’analisi storica e politica riguardanti le genesi e le responsabilità degli sbandi culturali e organizzativi della scuola.
In termini più espliciti la comparsa di mondi logocratici che in nome della ragione e della ragione di una scienza disegnata come immobile catalogo di verità, giudicava ogni atto diverso o come atto di coerenza e affiliazione o di tradimento e estraniazione, umiliando ogni possibilità di disputa e confronto.
Non era tanto il curricolo, né la sempre tardiva denuncia dello sfascio scolastico culturale e politico, né la necessità di produrre nuove e decise riformulazioni teoriche e didattiche ad essere il tema della vertenza quanto la rigidità lineare e metafisica degli assunti e dei loro meccanismi operatori, la rimozione dele contestualità motivazionali e dei plurimi processi di ricerca e sviluppo dell’organizzazione dell’apprendere e del conoscere, le ultragaranzie affidate a canalizzazioni prescrittive, l’accasarsi nella scuola di efficienze solo funzionali e – al di là delle intenzioni – la perdita dialogica all’interno dell’organizzazione scolastica e il prosciugamento delle sue disponibilità connettersi con le culture territoriali.
E infine la riproposizione estenuante di incompatibilità tra istruzione e educazioni con soluzioni partitarie di infinita ingenuità attribuenti l’istruzione alla scuola, l’educazione alle famiglie, la socializzazione alle agenzie extrascolastiche in nome di una malinconica irrisione di ogni logica laica. E di tutte l e battaglie e le speranze condotte in tempi bui da Bruno Ciari, Lucio Lombardo Radice, dal Movimento di Cooperazione Educativa per riproporre in chiave liberatoria la tesi della convivenza vitale tra mezzi, metodi e fini dell’educare.
5.
Non so qual è la forza riorientativa degli Orientamenti, ma è certo che ha in sé la potenzialità di contribuire a ricomporre eccessi di idee, separazioni e semplificazioni, oggi più di ieri sentite con crescente sensibilità come estranee e vessatorie.
Proprio perché è più avvertita l’esigenza su cui tanto si accalora Bertin: “L’esigenza di uscire con progetti educativi in grado di dare prospettive all’esistenza e alla qualità dei viventi: dove al ragione potrà avere un ruolo importante sempre che non rinunzi alla vitalità creativa e non inaridisca nelle secche informali del puro conoscitivo”.
6.
Allo stato dei fatti ci sono almeno tre segni colti da una illustre rivista pedagogica di sinistra. Il primo è che in un confronto aperto Carlo Sini, di cui abbiamo una forte stima, detta una proposizione importante: “Tutti parlano di istruzione, di trasmissione, ma nessuno parla più davvero di formazione. Questa dovrebbe venire da sé. Se la cultura non è formativa, è un mostro, un’alienazione forse peggiore e più pericolosa dell’ignoranza”
Il secondo è di Clotilde Pontecorvo che in un’intervista, riconoscendo la rigidità del modello curricolare così come delineatosi negli ultimi anni, propone correttivi nel senso di ridefinirlo come primo copione (curriculum script), come idea che l’insegnante modificherà nel suo lavoro quotidiano in un’intesa implicita con i processi suggeritori che vengono dai bambini riconsegnando così all’insegnante e agli allievi una propria e reciproca rappresentazione e teorizzazione dell’insegnamento e dell’apprendere, introducendo nuove regolazioni e nuove forme.
Il terzo è il riapparire nell’editoriale del nome di John Dewey. Una figura finalmente decalcificata ad un lunghissimo silenzio.