Login
Registrati
[aps-social id="1"]

La giornata delle bambine

Cinzia Mion

Dirigente scolastica, Formatrice, Psicologa


Il giorno 11 ottobre si celebra la Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze voluta dall’Onu quattro anni fa e che speriamo continui a essere ricordata non come una festa ma come un monito a sostenere e a rispettare le piccole donne, all’interno della più grande campagna per i diritti delle bambine, diritti ancora oggi non pienamente riconosciuti a livello di politiche e pianificazioni internazionali ma ancora di più calpestati a livello di culture antropologiche diverse e consuetudini tramandate.

In tante città del mondo questa data sarà celebrata con dibattiti, confronti, concerti, eventi di varia natura, tutti per ricordare a ognuno il valore della femminilità e come questa sia ancora in tutte le parti del mondo, anche nei paesi apparentemente civilizzati, vilipesa, violentata, sacrificata.

Questa ricorrenza è stata lanciata ufficialmente l’11 ottobre del 2012 da Plan International tingendo di rosa i maggiori monumenti del mondo, sensibilizzando in questo modo l’opinione pubblica su questo drammatico problema.

Quest’anno, dopo l’evento importante dell’assegnazione del premio Nobel a Malala, la giovane pakistana, sfuggita alla furia dei talebani per aver difeso appassionatamente l’istruzione femminile, Plan Italia garantirà un ciclo di studi di almeno nove anni a 4 milioni di bambine che, per povertà estrema, corrono il rischio di restare ai margini della società.

L’Unicef presenterà anche quest’anno una raccolta di dati raccapriccianti sul fenomeno della violenza contro le ragazze e le bambine nel mondo.

Tra questi dati spiccano quelli che riguardano le “spose bambine” spessissimo accompagnati da violenze e abusi. Nei paesi in via di sviluppo più della metà delle ragazze è convinta che quello che subisce non sia un “abuso”; c’è, infatti, una preoccupante percezione “dell’accettazione della violenza”: se un uomo picchia la moglie o la compagna ad esempio per il rifiuto di un rapporto sessuale oppure per uscire di casa senza permesso o per qualsiasi altro futile motivo metà delle ragazze pensa che tale comportamento sia giustificato.

Le mamme bambine erano nel 2012 ben 16 milioni e se hanno meno di 15 anni rischiano di morire durante il parto senza avere a disposizione strutture sanitarie adeguate.

Tutte queste spose bambine o ragazzine abusate e ridotte in schiavitù sono costrette a non studiare, la qual cosa le conduce a non diventare mai consapevoli dei propri diritti e di conseguenza a non intraprendere mai il percorso della loro emancipazione.

L’altro dato su cui da tempo si è cercato di focalizzare l’attenzione, per il superamento di una orripilante consuetudine tribale, è la mutilazione genitale femminile. Almeno 12 milioni e mezzo di ragazzine, e a volte bambine piccole, vengono ancora mutilate in questo modo cruento e devastante per la vita successiva di donne e di madri.

Anche il lavoro al posto del gioco colpisce il genere femminile, come del resto anche quello maschile, ma un terzo delle bambine costrette a lavorare finisce nei servizi finendo schiavizzate nelle case di che ha maggiori possibilità economiche, segnando così il destino di più generazioni.

L’aspetto però più sconcertante è il “percorso ad ostacoli” prima ancora di nascere, ad opera degli aborti selettivi frequentissimi ancora in India e in Cina. Dopo la nascita bisogna superare il rischio della malnutrizione, destinata alle bambine perché poco considerate in famiglia e non degne di assorbire le scarse risorse che circolano. Il tasso di mortalità delle bambine fra zero e cinque anni supera del 75% quella dei bambini.

L’Unicef cerca di puntare su specifiche azioni per migliorare la vita delle bambine e delle ragazze e prevenire la violenza agita contro di loro:

  • garantire l’accesso a scuola a tutte le bambine,
  • offrire loro “competenze utili” per la vita quotidiana / Life skills);
  • sostenere gli sforzi dei genitori, in taluni casi anche con sussidi economici, al fine di arginare i rischi per le bambine;
  • lavorare per il cambiamento negli atteggiamenti e nelle norme delle comunità
  • rafforzare i sistemi giudiziari, sociali e penali.

In Italia

I dati elaborati dalle Forze dell’Ordine in Italia per Terre des Hommes, diffusi per il lancio della campagna Indifesa, per la protezione e la tutela dei diritti delle bambine, sono ancora allarmanti. In Italia 1 donna su 3 ha subito almeno una forma di violenza da bambina, di cui l’11% sono abusi sessuali.

Donatella Vergari, Segretario Generale Terre de hommes afferma che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito in Italia a un’impennata di casi delittuosi in cui i bambini e, in misura ancora maggiore, le bambine sono vittime. Urge pertanto l’attivazione di una rete di servizi di assistenza efficienti- medici, psicologi e legali – concepiti specificatamente per le vittime.

Secondo noi urge, però, soprattutto un’attenta campagna di prevenzione e sensibilizzazione rivolta a genitori e famiglie e, principalmente, una profonda opera di educazione contro la discriminazione di genere, come richiesto dalla Convenzione di Istambul.

Risulta pertanto oltremodo inopportuna, per usare un eufemismo, la campagna scatenata dalle frange oltranziste del cattolicesimo più intollerante contro il comma 16 della legge n. 107, nota come Riforma su La Buona scuola, che recita testualmente “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto–legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.119”. (Legge contro il femminicidio).

Ora tutti, o quasi tutti purtroppo, si rendono conto che i principi affermati dalla legge e i valori da essa sollecitati sono ineccepibili anche appunto in funzione di un’azione educativa e preventiva nei confronti degli abusi, o della mancanza di rispetto dei diritti delle bambine e delle ragazze oltre che nei confronti di ogni tipo di discriminazione.

Si tratta di una rivoluzione culturale che intacca stereotipi e pregiudizi di genere duri a morire perché assunti inconsapevolmente dall’ambito antropologico-culturale di appartenenza.

Le nuove bambine

Ed ecco la scoperta che non avremmo voluto conoscere, che ci ha portato improvvisamente a una dolorosa consapevolezza, rivelataci da Loredana Lipperini con il suo interessante testo “Ancora dalla parte delle bambine”.

Quasi quarant‘anni fa Elena Gianini Belotti scriveva “Dalla parte delle bambine” dove raccontava come l’addestramento sociale e culturale all’inferiorità femminile si compisse nel giro di pochi anni, dalla nascita all’ingresso nella vita scolastica e nei luoghi deputati all’educazione: famiglie, nidi, scuole materne ed elementari.

“Si ritorna con la massima disinvoltura a ridurre il soggetto di genere femminile a un assemblaggio di pezzi di carne privo di umanità, di intelligenza, dignità, volontà, consentendogli l’unico obiettivo di piacere all’uomo e di conquistarsi con ogni mezzo “il principe azzurro”, ribadendo una dipendenza psicologica e affettiva dal maschile che cancella ogni altro progetto di vita e conduce a un insensato sperpero di se stesse”.

Il significato del titolo del libro della Lipperini palesa che purtroppo tutto è ancora drammaticamente vero!

La scoperta che la Lipperini mette in luce provocandoci un risveglio brusco consiste nel prendere atto che, lungi dal coltivare il progetto della propria autorealizzazione, molte bambine/ragazzine/adolescenti attuali hanno come modelli le famose fatine Winx, le altrettanto famose bambole (si fa per dire) Bratz e i filmati Sex and the city!

Di conseguenza che cosa sognano di essere le “nuove”bambine”?

“Le loro bambole sono sexy e rispecchiano o (inducono) i loro sogni: diventare madri, ballerine, estetiste, mogli di calciatori…”recita il quarto di copertina.

Da un’intervista fatta a un’aspirante miss Italia, il libro citato riporta l’affermazione che il desiderio più vivo “è quella di sposare un miliardario…”.

Che l’obiettivo sia il successo, il quale servirà a portare a un ottimo matrimonio, fa capire che niente è cambiato! Soltanto il mezzo per riuscirvi appare uno solo: l’avvenenza fisica.

Anche la laurea servirà a costituire “la pedagogia del sapere femminile come ornamento”.

Per poter affermare tutto questo l’autrice fa un’analisi minuziosa della rete Internet: i blog, i forum, le chat, i siti, i videogiochi, i personaggi virtuali oltre che prendere in considerazione la letteratura per l’infanzia, i libri scolastici, i giornali, i fumetti, la pubblicità, la televisione. E si interroga intorno ad una domanda cruciale: – Come è possibile che ragazze che volevano diventare presidenti degli Stai Uniti abbiano partorito figlie che sognano di sculettare seminude a fianco di un rapper?

Evoluzione o regressione?

In Italia certamente non siamo nel terzo mondo eppure siamo oggi in presenza di una regressione rispetto alle conquiste delle donne che hanno caratterizzato le generazioni femminili comprese tra gli anni 50 e la fine del secolo scorso.

Non è che non ci fossimo accorte del fenomeno delle veline e affini, non è che non avessimo notato le schiere delle aspiranti miss ingrossarsi di anno in anno ma pensavamo che fosse un gioco ingenuo per una bella ragazza desiderare di avere un riconoscimento, sia pur effimero, della propria bellezza.

Quello che ci era sfuggito era che il fenomeno stava diventando di massa e che dietro non c’era un vero e proprio progetto di autorealizzazione ma “un’opportunità” in più per fare un buon matrimonio…

Ci era sfuggito che già a sei anni molte bambine al posto di un giocattolo chiedono le scarpette alla moda con la zeppa alta, che ancora dalla terza elementare spesso si fanno regalare i jeans a vita bassa e le magliette corte per mettere in mostra l’ombelico (e le madri le assecondano quando non sono loro stesse a proporre) non solo perché così detta la moda ma anche per una specie di iniziazione indotta al tirocinio di seduttività!

Non avremmo mai pensato di poter scoprire che ragazzine di dodici anni potevano finire nelle discoteche a fare le cubiste, avendo già provato tutto del sesso, facendosi di cocaina e pasticche come la cosa più naturale del mondo! (Marida Lombardo Pijola – Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa. Feltrinelli). L’industria dell’intrattenimento e quella della società dello spettacolo con il loro sottobosco e le contaminazioni subculturali che ne discendono si stanno diffondendo tra le preadolescenti senza incontrare nessun filtro critico.

Le giovani degli anni 70 e 80 si opponevano al sistema, oggi queste, senza nemmeno saperlo, lo confermano.

Come abbiamo fatto a non accorgercene?

Avevamo forse messo in atto quello che Galimberti chiama il meccanismo del diniego. Non volevamo prendere consapevolezza del fenomeno e preferivamo pensare che fosse un evento di nicchia, isolato, tipico dell’entourage di certi ambienti, della Rai o del cinema.

Purtroppo non è così e Loredana Lipperini ci ha aiutato ad aprire gli occhi.

Vogliamo restare indifferenti? O vogliamo riprendere a fare delle serie riflessioni all’interno della scuola, a partire dal nido, e dalla scuola dell’infanzia ed elementare per aiutare a ridare coraggio, lucidità, intelligenza, volontà alle nuove bambine? Per sostenerle nella maturazione di un’identità di genere finalmente liberata, consapevole e autentica, dimostrando la competenza, la responsabilità, lo smalto di cui saranno capaci le future donne che oggi sono ancora delle piccole bambine?

Perché, anche se non avevamo voluto accorgerci della deriva fin qui descritta, per fortuna esistono giovani donne, consapevoli del valore e della dignità femminile che sanno coniugare l’autorealizzazione e la relazione, con risultati sorprendenti e addirittura affascinanti, di un fascino vero, non legato solo all’apparire, che possono fare da esempio per orientare le nuove generazioni femminili.

Urge però correre ai ripari e, per esempio, riattivare il Comitato Pari Opportunità presso il Ministero della Pubblica Istruzione con compiti formativi, a partire dalla scuola dell’infanzia.

Ci riferiamo non al semplice Comitato paritetico, previsto oggi dal contratto di lavoro che, così come è impostato, difficilmente può interessarsi a diffondere nella scuola la cultura delle Pari Opportunità.

Intendiamo un Comitato che si faccia carico di orientare consapevolmente bambine e bambini, ragazze e ragazzi verso la maturazione della loro identità di genere, evitando il più possibile vecchi stereotipi o nuove storture o quei condizionamenti che hanno caratterizzato o ancora caratterizzano, come abbiamo visto, l’educazione.

Un Comitato PPOO composto da soggetti femminili e maschili, che abbiano approfondito sia la tematica del genere che quella della formazione.

Saprà la Ministra Giannini raccogliere questa sfida?

Alla prossima puntata proveremo ad approfondire la deriva dei nuovi bambini, vale a dire dell’identità maschile, che ancora di più abbisogna di essere presa in considerazione.

 

Bibliografia

Lipperini Loredana – Ancora dalla parte delle bambine – Feltrinelli, Mi, 2007.

Pijola Marida Lombardo – Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa.– Feltrinelli, Mi, 2007

Documentazione:

Carta dei Diritti della Bambina

Lascia un commento