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La formazione in servizio come strumento di qualità dei contesti educativi zerosei

Claudia Lichene

Psicologa


La professionalità degli insegnanti, da sempre, costituisce un nodo significativo nel dibattito sul tema della formazione iniziale e in servizio. Da questo punto di vista, già nel 1991, gli Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali (DM 3 giugno 1991) prevedevano, per una professionalità così complessa

 

… un itinerario formativo e una collocazione operativa che si caratterizza per alcune imprescindibili note di qualità così definibili: orientamento maturo e responsabile all’attività educativa e didattica per l’età infantile; effettiva attuazione della preparazione iniziale a livello universitario completo […]; formazione in servizio mirata al sostegno per la soluzione dei problemi specifici dell’attività, al perfezionamento continuo della professionalità e alla crescita personale; vita professionale condotta in un ambiente di lavoro relazionalmente valido, culturalmente stimolante, fondato sulla collaborazione […] (ivi).

 

Gli aspetti costitutivi della professionalità ora esplicitati sono stati recepiti in documenti elaborati successivamente sia nel panorama nazionale, sia in quello europeo; documenti che rappresentano riferimenti importanti per delineare il profilo degli operatori dei contesti educativi per lo zerosei.

Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione sottolineano come la presenza di insegnanti preparati e attenti alle specificità dei bambini e dei gruppi di cui hanno la responsabilità educativa rappresenta un «indispensabile fattore di qualità per la costruzione di un ambiente educativo accogliente, sicuro, ben organizzato, capace di suscitare la fiducia dei genitori e della comunità» (Indicazioni Nazionali, 2012, p. 23). Il documento mette in evidenza una professionalità docente che si «arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la formazione continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica, il rapporto adulto con i saperi e la cultura» (ibidem). In linea con questa prospettiva, il documento europeo Proposal for key principles of a Quality Framework for Early Childhood Education and Care (2014), sottolinea come la competenza e la professionalità di educatori e insegnanti sia un fattore che incide positivamente in termini di efficacia, sui processi di sviluppo cognitivo e socio-emotivo dei bambini sul lungo periodo. Il documento sottolinea in più parti come l’attenzione e la cura rivolta alla formazione (iniziale e in servizio), alle condizioni di lavoro di tutti i soggetti che, a diverso titolo, operano nei contesti educativi per l’infanzia e le strategie di coordinamento pedagogico siano fattori cruciali nel garantire la qualità dell’intervento educativo. Il D.lgs. 65/2017 introduce un passaggio orientato a promuovere la costruzione di una prospettiva educativa comune e condivisa nei soggetti che, a diverso titolo, operano nei contesti educativi per l’infanzia. Il decreto, tra i principi e finalità esplicitate nell’art. 1 dichiara di voler promuovere «la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale».

Emerge, dunque, un profilo professionale davvero complesso che necessita di una preparazione iniziale ma, soprattutto, di continue occasioni di crescita professionale in servizio che aiutino a riflettere sulla pratica quotidiana in ottica di miglioramento e di acquisizione di maggior consapevolezza. Il tema della formazione del personale educativo zerosei è dunque cruciale e richiede di mettere a fuoco alcune questioni di fondo relative, in particolare, al modo in cui si possono tenere insieme teoria-saperi e pratica educativa, e a come debba essere caratterizzata la proposta formativa per gli operatori educativi dello zerosei (Bondioli, Ferrari, 2004).

 

Una progettualità intenzionale e condivisa

Compito di insegnanti e educatori è quello di promuovere apprendimento allestendo contesti significativi che possano arricchire l’esperienza del bambino consentendogli di realizzare le sue conquiste nel rispetto dei suoi tempi e degli stili diversi di apprendimento. Questo compito richiede all’adulto di costruire un curricolo aperto all’interno del quale le esperienze del bambino possono integrarsi in un progetto che le mette in continuità e consente di articolarle e farle evolvere. Il curricolo si configura come percorso di ricerca poiché parte dall’osservazione del bambino nel contesto, ne coglie interessi e curiosità, progetta percorsi e strumenti in grado di arricchirne l’esperienza per promuoverne la crescita e li valuta per apportare le modifiche necessarie (Lichene, Zaninelli, Pagano, 2017). Il cuore del curricolo così inteso è costituito dall’intenzionalità dell’adulto; una intenzionalità che non può che realizzarsi in un contesto di condivisione poiché richiama una corresponsabilità di tutti i soggetti coinvolti nel compito educativo. Progettare contesti a misura di bambino, condividere la responsabilità educativa, verificare e valutare l’efficacia del percorso pensato richiedono la disponibilità a assumere un atteggiamento critico-riflessivo verso il proprio lavoro che conduce a rivedersi e ripensare quanto fatto in un’ottica di miglioramento e innovazione (Bondioli, Ferrari, 2004). L’intenzionalità progettuale, dunque, non può che essere sostenuta dalla capacità di riflettere sull’azione educativa intesa come un pensare riflessivo proposto da Dewey (1933).

Il professionista, secondo Schön (1983), è posto di fronte a problemi connessi all’esercizio del proprio ruolo; problemi che egli risolve assumendo un atteggiamento simile a quello del ricercatore: osserva la situazione e le caratteristiche del problema, formula ipotesi sulla base delle osservazioni e conoscenze pregresse, mette alla prova le soluzioni ipotizzate verificandone l’efficacia. Dewey (1933) sottolineava che in ambito educativo si rischia di mettere in atto pratiche quasi automatiche di cui non si ha piena consapevolezza del significato pedagogico e che, per questo, impediscono di tenere vivo il processo di ricerca e di sviluppo dell’azione che è strettamente connesso alla possibilità di progettare contesti educativi di qualità. Vi è un richiamo, dunque, a quella pedagogia latente (Becchi, 1978) caratterizzata da modalità e criteri impliciti legati, in particolare, a aspetti organizzativi e relazionali che influiscono in modo significativo sul comportamento dei bambini (Bondioli, 2000).

Accrescere la consapevolezza su quello che faccio davvero, come faccio quello che faccio e sul perché, sulla base di quali teorie/valori e in vista di quali obiettivi agisco richiede di far emergere i valori pedagogici e il significato di quelle azioni che riproduciamo quasi automaticamente. Questo lavoro implica un continuo ritorno sull’azione per riflettere su ciò che fonda il nostro agire quotidiano per esplicitarlo e condividerlo con l’équipe.

 

La professionalità di educatori e insegnanti: qualche proposta

Uno degli strumenti decisivi per formare la professionalità riflessiva e approfondire i processi che la caratterizzano è rappresentato dal gruppo di lavoro che favorisce lo scambio, il confronto, la condivisione e la riflessione. Il processo riflessivo, infatti, non è mai solitario poiché l’individuo che lo intraprende fa in riferimento a un contesto, a un gruppo e a un sapere che è socialmente costruito. Inoltre, il lavoro educativo è caratterizzato dalla collegialità e dal confronto in gruppo di opinioni diverse e impone di chiarire le proprie, divenirne più consapevoli e, eventualmente, modificarle. Insegnanti e educatori, però, non possono essere lasciati soli a affrontare questo percorso che le/li mette a confronto con la dimensione emotiva del lavoro educativo.

Occorrono momenti e luoghi di presa di distanza dalla propria realtà lavorativa quotidiana per poterla vedere più in chiaro.

La presa di consapevolezza delle proprie scelte metodologiche, didattiche e educative e l’individuazione dei punti deboli non portano, automaticamente, a intraprendere l’azione di cambiamento. Perché ciò avvenga, occorre fare i conti con la fatica emotiva e le resistenze al cambiamento che si incontrano. È, allora, necessario il supporto di un formatore che nel ruolo di facilitatore sostenga il dialogo e il confronto nel gruppo, solleciti l’esplicitazione da parte dei partecipanti dei propri valori educativi (Savio, 2012; Bondioli, Savio, Gobbetto, 2017). Quale figura può occuparsi della formazione del gruppo di lavoro offrendo questo importante sostegno alla riflessione sull’esperienza? Quale ruolo può avere il coordinamento pedagogico territoriale?

Diventa fondamentale progettare percorsi di formazione in servizio avendo cura di pianificare il dove, come, quando e con l’aiuto di chi promuovere la riflessione riguardo la pratica educativa.

La formazione, in particolare quella in servizio, rappresenta un elemento strategico per la qualificazione professionale e dell’intervento educativo. Questa importanza sembra essere stata riconosciuta da alcuni provvedimenti normativi nazionali che hanno, però, lasciato aperte questioni importanti.

La Legge 107/2015, conosciuta come “La Buona Scuola”, art. 1, comma 124, stabilisce che «la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale». In questo contesto, la normativa demanda alle scuole la responsabilità di individuare le attività e i percorsi di formazione sulla base del Piano nazionale di formazione triennale e in coerenza con il PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) e i piani di miglioramento (elaborati sulla base della compilazione del Rapporto di Autovalutazione).

La Nota MIUR n. 47777 dell’8 novembre 2017, sulla ripartizione dei fondi per la formazione dei docenti, sottolinea alcuni aspetti imprescindibili che occorre vengano garantiti nella progettazione di percorsi di formazione professionalizzanti (rilevazione dei bisogni formativi, ricorso a attività di formazione e ricerca, coinvolgimento di Università, associazioni e soggetti accreditati, realizzazione di reti di scuole).

Rendere obbligatoria la formazione rappresenta un modo per affermarne il carattere strategico per la professionalità educativa che va riconosciuto contrattualmente. Ma non basta! La formazione più efficace è quella che parte da questioni che sono percepite come problemi deweyanamente intesi. Una formazione che sappia stare accanto a insegnanti e educatori per sostenerli nella quotidiana fatica della relazione educativa. Una formazione che promuova situazioni di incontro, confronto e riflessione tra educatori e insegnanti che può ridurre i pregiudizi che ci sono tra le diverse figure professionali e i diversi contesti educativi che si occupano di infanzia nella fascia di età da 0 a 6 anni.

da: Per i prossimi 40 anni

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