Francesca Rina
Coordinatrice e responsabile del servizio Nidi comunali di Cosenza. Cooperativa sociale OR.S.A.
Alcune problematiche della comunicazione di genere nelle Organizzazioni
La mia riflessione ha l’obiettivo di mettere in luce il complesso legame tra genere, comunicazione e organizzazione. Un legame che occupa e attraversa la vita quotidiana e nel privato e nel pubblico, ambiti in cui agiscono pratiche di cure, e che mi rimandano immagini di me diverse e contraddittorie.
Sia nella sfera privata, come madre, moglie, amica, sia nella sfera pubblica, come coordinatrice pedagogica, le mie pratiche di cura sono ampiamente riconosciute e spesso date per scontate, in quanto qualità femminili. Se questo nella sfera privata si scontra come la difesa e/o la non accettazione di ruoli e funzioni, con la stereotipia di genere, e mette in atto conflittualità latenti o manifeste, nella sfera pubblica pone una spinosa problematica quale quella del riconoscimento della competenza. La competenza, mi piace sottolineare, mette in campo la padronanza del compito che contempla, non è soltanto abilità, capacità di mettere in atto comportamenti e azioni per eseguire determinati compiti, ma è anche frutto di conoscenze ed esperienze acquisite nel tempo e oggetto di profonda riflessione. La competenza è il risultato di un apprendimento, coniuga il sapere e il fare e, in questo caso, la qualità dell’operare non è una questione squisitamente naturale, bensì culturale.
Sembra invece che coordinare e amministrare il processo educativo nelle istituzioni pubbliche permeate dalla regola maschile, sia la semplice esecuzione di una qualità femminile piuttosto che una competenza.
Spesso, in questo periodo, quando la contraddizione tra il mio essere donna e l’essere coordinatrice pedagogica diventa stridente, paragono l’attuale esperienza a quella precedente e lunga di gestione di un servizio educativo, un’organizzazione femminile, permeata da una regola femminile, e dove nella costruzione del processo educativo natura e cultura erano le due facce della stessa medaglia.
Difficile insomma attivare una comunicazione sensata in contesti organizzativi dove le pratiche di cura si scontrano con la negazione delle competenze, con la stereotipia dei ruoli, la conflittualità tra i generi e tra gli stessi generi. Mi riferisco alla tanto discussa conflittualità donna/donna nei luoghi di lavoro e che, nel caso delle organizzazioni preposte all’educazione, rivela l’antica competizione del potere della cura e nasconde l’antico bisogno di riconoscimento dello sguardo maschile.
Difficile attivare una comunicazione sensata se non si tiene conto del contesto organizzativo. Molti studi mettono in luce come assumano centralità nel modo di comunicare delle donne la relazione e la paura di non esserne al centro mentre assumano centralità nel modo di comunicare degli uomini la gerarchia e la paura di essere avvicinati.
E’ per questo che la comunicazione per noi donne, lungi dall’essere enfatizzata come sola forza, è anche debolezza. La sua specificità, inoltre, agisce in contesti organizzativi che a loro volta producono genere. Come infatti afferma la letteratura sul tema, le organizzazioni non riflettono soltanto l’ordine simbolico di genere delle società ma lo creano e lo trasformano seguendo logiche e processi interni e, a loro volta, i rapporti di genere nelle organizzazioni contribuiscono a creare l’ordine simbolico di genere nelle società.
Per me, oggi, l’esperienza in un’organizzazione pubblica, segnata, come sempre, dalla fatica di trovare strategie comunicative per entrare nello sguardo affettivo del mondo. Ricordo come l’essere una ragazza “troppo alta” rispetto alle coetanee mi vedeva alla fine relegata agli ultimi banchi mettendomi in contatto con il sentimento della separatezza dagli altri. Ricordo, ancora, lo stesso sentimento nel passaggio dalla scuola di una piccola comunità alla scuola di città e, poi, ancora, all’università. E ricordo la continua ricerca di strategie comunicative per colmare il bisogno di essere accetta dal mondo.
La mia nuova esperienza lavorativa è avvenuta in contemporanea al mio impatto professionale con l’istituzione pubblica.
Durante il mio vissuto ho incontrato un femminile solidale e un maschile che parlava al femminile con delicatezza.
Un incontro che mi ha accompagnato nella elaborazione delle conflittualità interne alle organizzazioni e da cui scaturisce la consapevolezza che … ricercare strategie stanca!
L’acquisizione di una maggiore disponibilità all’ascolto e all’osservazione mi conduce a proseguire nella mia riflessione. Vedo così organizzazioni tinteggiate di rosa …
Una tinteggiatura rosa…
Sembra che oggi le organizzazioni siano colorate di rosa, una tinteggiatura che, a mio parere, nasconde semplicemente il persistente colore azzurro.
Oggi le organizzazioni vivono instabilità e incessanti trasformazioni Sono caratterizzate dalla compresenza di modelli organizzativi tradizionali e innovativi. Da una parte un modello verticistico, la parcellizzazione e la separatezza delle mansioni, le competenze specialistiche, l’orientamento al lavoro individuale, il senso di appartenenza e la fedeltà legate alla presenza, l’anzianità di servizio. Dall’altra strutture snelle, competenze trasversali (relazionali, comunicazionali, organizzative) insieme alle specialistiche, lavoro di gruppo, la motivazione come arricchimento, il raggiungimento degli obiettivi.
Gli elementi che caratterizzano le organizzazioni, elasticità, flessibilità, orientamento alla gestione delle risorse umane, orientamento alla qualità, orientamento alla relazionalità, sono gli stessi che caratterizzano il femminile, abitudine alla flessibilità, attenzione agli aspetti relazionali, capacità organizzative accumulate in più mansioni, capacità di gestione del tempo per i diversi ruoli rappresentati.
Il processo di femminilizzazione delle organizzazioni non è pertanto raffigurato soltanto dall’entrata delle donne nel mercato del lavoro, ma caratterizza l’intero sistema produttivo e si estende ad entrambi i generi. In particolare è oggi caratterizzato dall’introiezione di elementi stereotipati del femminile (il materno, la cura, la seduzione) trasformati in aspetti centrali della governance. L’organizzazione diventa una sorta di “corpo vivente”, di cui le donne oggi devono prendersi cura. Il lavoro non pagato delle donne esce dalle case per entrare nelle organizzazioni, esce dal privato per entrare nel pubblico.
E’ importante, inoltre, riflettere sulle trappole della flessibilità e conciliazione sulle rispettive ambivalenze e criticità. La flessibilizzazione del mercato sembra aver aumentato l’occupazione femminile ma in verità ne riduce le prospettive di carriera. Le politiche di conciliazione tra tempi di lavoro e tempi famigliari (part – time o telelavoro) rafforzano il tetto di cristallo. E la conciliazione tra tempo di lavoro, tempo della maternità si scontra con la “cultura della presenza”, della “visibilità” che si va affermando nelle organizzazioni, dove sembra che l’importante non sia esserci ma “mostrare di esserci”, attestare la dedizione sacrificando ore in più e gratuite.
Ecco che lo scenario è una massa di lavoratrici, variabili, esterne, disponibili a svolgere lavoro gratuito, invisibile, volontario.
E mentre sempre più nelle organizzazioni si diffonde l’ideologia dell’autorealizzazione, l’affermazione del narcisismo, sempre più si diffondono le patologie depressive, compulsive e gli attacchi di panico.
Penso sia necessario avviare un processo di consapevolezza dei vissuti di genere nelle organizzazioni e del legame forte tra genere, comunicazione e organizzazione. Il che ci sollecita anche a ripensare, riprendendo una questione trattata all’inizio di questa mia riflessione, alla problematica delle competenze in quanto oggi, anche per noi donne, le competenze da acquisire sono la gestione dello stress e la capacità di vivere ambiguità ed incertezza.
Saperci essere
Per molti anni il processo educativo, come la presenza delle risorse umane nelle orgnanizzazioni, è stato segnato dal Sapere, Saper fare, Saper essere.
In tempi più recenti, con il diffondersi della centralità del corpo e delle tematiche della salute, si è aggiunto il Saper-benessere. Lo stato di salute delle organizzazioni, il benessere organizzativo è diventato così oggetto di studio e di attenzione da parte dei legislatori e delle politiche.
Per noi donne si tratta di agire la Daseinkompetenz, come dice Ina Proetorius, la capacità di “saperci essere”. Esser-ci in quel luogo, in movimento, nello spazio e nel tempo. La capacità di tenere insieme le diverse dimensioni della vita, i diversi piani, materiale e spirituale, il sé e l’altro da sé, di intrecciare, risorse, desideri e bisogni.
Competenza è anche saper fare conflitti, non per distruggersi o autodistruggersi ma per migliorare la relazione e se stessi, senza scorciatoie o linee rette come nella guerra, percorsi conosciuti al genere maschile.
Forse, come dice La Celca, c’è una quota d’indicibilità e di fraintendimento nella relazione con l’altro, una realtà con cui convivere e da ribaltare in un’arte dell’incontro, in particolare tra i generi, e, aggiungo, tra i generi e le organizzazioni. Ritengo che l’esplorazione delle reciproche vulnerabilità e delle vulnerabilità delle organizzazioni, l’agire il conflitto piuttosto che evitarlo, il coraggio della verità, non in linea retta del far guerra, ma della modalità obliqua della intersecazione di piani e livelli diversi del femminile.
Mi piace a questo proposito riportare la poesia di Emily Dickinson
Dì tutta la verità ma dilla obliqua
Il successo sta in un circuito
Troppo brillante per la nostra malferma delizia
La superba sorpresa della verità
Come a un fulmine ai bambini chiarito
Con tenere spiegazioni
La verità deve abbagliare gradualmente
O tutti sarebbero ciechi
Alcune proposte per una strategia di genere nella vita organizzativa
- Ribaltare la connotazione negativa di ogni qualità di genere e rilevarne il potenziale nella sua condizione di marginalità
- Alimentare in noi capacità e risorse che vivono di instabilità e incertezza
- Attivare misure di flessibilità e conciliazione rivolte agli uomini
- Destrutturare la “cultura della presenza” a favore di una cultura della responsabilità
- Promuovere politiche di conciliazione dei tempi per tutti
- Ripensare modelli organizzativi rispettosi delle femminilità e mascolinità
Alla fine …
… anche questa mia riflessione diventa per me possibilità di crescita e trasformazione. Una modalità del “far fronte” ai problemi della vita quotidiana, quel nuovo modo di intendere la salute, che ci propone un adattamento non più passivo, e che mi consente di lasciarmi alle spalle l’ossessiva ricerca di strategie comunicative per colmare il bisogno dell’accettazione.
Una modalità di adattamento attivo che mette in campo la capacità di saper scegliere tra le diverse opportunità anche attraverso l’ascolto dei desideri.