
Raffaele Mantegazza
Art. 15
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
Nel film “Stand by me”, che dovrebbe essere visionato da ogni educatore ed educatrice, quattro preadolescenti si mettono in viaggio alla ricerca di un loro compagno che poi troveranno senza vita all’interno di un bosco. Durante questo viaggio iniziatico i ragazzi condividono tutto emozioni, segreti, confidenze; solo uno dei quattro, essendo andato a bere al fiume ed avendo visto un cerbiatto, sceglie di tenere per sé quell’esperienza, di non metterla in comune con gli altri. È un momento molto alto e molto forte del film perché mostra una delle questioni forse più importanti che oggi educatori ed educatrici si trovano a dover affrontare: la questione è quella della capacità di ragazzi e dei bambini di avere spazi e tempi personali per pensieri ed emozioni da tenere per se stessi.
La società del web, della società del mondo virtuale è una società del tutto trasparente, all’interno della quale mancano sempre più spazi per comunicare con se stessi, per trattenere all’interno di sé le proprie emozioni e i propri pensieri; anzi quando qualcuno lo fa viene accusato di essere egoista, come se serbare dentro di sè (termine evangelico: Lc 2, 19) una opinione o un’emozione rispetto al mondo significasse avere qualcosa da nascondere. L’occhio della rete è ovunque, ci chiede i nostri gusti, ci chiede le nostre emozioni e i nostri sentimenti.
È difficile parlare di libertà e segretezza della corrispondenza nel mondo di Echelon e delle altre tecnologie che intercettano e archiviano le nostre comunicazioni, e che se anche le fossero legittimate giuridicamente non lo sono certo eticamente.
Lungi da noi ovviamente contestare l’importanza assoluta della socializzazione e della condivisione dei sentimenti, ma crediamo che i bambini e le bambine debbano essere abituati fin dalla più tenera età anche alla libertà e segretezza della loro opinioni e della loro corrispondenza, anche quando questa si traduce in un disegno o in uno scarabocchio. Potrebbe essere allora un valido esercizio di tutela del proprio mondo emotivo e fantastico chiedere ai bambini di realizzare un disegno da tenere per sé, da non mostrare a nessuno, il disegno segreto che rimarrà soltanto loro; o ancora are ad ogni bambino ad ogni bambino una piccola scatola da portare a casa e nella quale conservare ciò che vogliono, al riparo anche dallo sguardo dei genitori, con i quali ovviamente si prendono accordi. Tutto questo costituisce un riparo e da un certo punto di vista anche un antidoto rispetto all’immersione, speriamo più tarda possibile, che i ragazzi e le ragazze sperimenteranno dentro il mondo della comunicazione totale e della trasparenza imposta.
Art. 16
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.
Parlare del viaggio, dello spostamento, del necessario sradicamento e ri-radicamento che è tipico dell’Homo sapiens, significa parlare ai bambini del diritto al cambiamento. Ovviamente tutto questo è possibile partendo dai loro viaggi, dei loro spostamenti.
È da evitare accuratamente di mettere i bambini le bambine migranti al centro di pratiche di auto-narrazione se non si è del tutto certi che essi abbiano elaborato la tragedia e le difficoltà che stanno alle spalle dei loro viaggi. Spesso si chiede a questi bambini di raccontarsi credendo di dare loro uno spazio catartico e invece riattivando antiche ferite. È molto più interessante e meno pericoloso parlare del viaggio in una dimensione più domestica.
Anche lo spostamento da casa a scuola, anche il viaggio fatto nel paese vicino per andare a giocare al parco possono essere pretesti (letteralmente pre-testi, testi che vengono prima) per riflettere sull’importanza di questo diritto allo spostamento. Il viaggio ti cambia, ti costituisce come essere umano. E dunque in questo senso sarà inevitabile riflettere con i bambini e con le bambine sull’esperienza del Covid, sul “lockdown”, orribile parola inglese che è diventata parte integrante della nostra vita, su quanto l’importanza dello spostamento è stata sottolineata soprattutto nel momento in cui per motivi sanitari questo diritto è stato limitato.
Insieme al diritto al viaggio esiste poi anche la capacità del raccontare: l’essere umano ha diritto a spostarsi perché essendo un essere sociale ha poi la possibilità di far vivere il proprio viaggio anche ad altri, attraverso la narrazione, il racconto.
Il viaggio non è una pratica egoista ma è un contributo che ogni essere umano potrà apportare ai suoi simili. Insegnare ai bambini e alle bambine a raccontare non solo cosa hanno visto nel viaggio e che cosa hanno fatto ma come sono cambiati a causa del viaggio, chiedere loro attraverso un disegno, una recita, una canzone di riflettere sul come il viaggio ha cambiato la loro identità, rende il diritto allo spostamento non soltanto qualcosa di concreto e di pratico (spostarsi per andare a scuola, per andare al lavoro, per fare affari, per divertirsi) ma qualcosa di profondamente antropologico, incentrato sull’esperienza tipica dell’ umano e sulla presenza dell’uomo e della donna nel mondo.
In questo senso, riflettendo sull’esperienza del viaggio come cambiamento individuale e come racconto collettivo, anche il fenomeno delle migrazioni viene inteso come miglioramento dell’umanità, come confronto tra diverse esperienze e diverse appartenenze. Il libero migrare degli esseri umani però deve essere veramente libero. Quando lo spostamento è causato dalla fame, dalla guerra, dalla povertà non si può più parlare di diritto al viaggio ma di obbligo a spostarsi causato dalla privazione di altri diritti. Lo sguardo sulle migrazioni deve essere arricchito anche di questa considerazione per non diventare semplicemente qualcosa di retorico.