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La certezza dell’impegno di fronte all’incertezza dell’orizzonte

Irene Balaguer, Presidente Associazione Rosa Sensat dal 2005 al 2015, Barcellona, Spagna

Care amiche e amici, grazie per la vostra presenza qui ancora oggi, dopo questi due giorni intensi di lavoro che vi hanno portato a vedere e ascoltare tante nuove realtà e idee.

Sono pienamente consapevole che la vostra presenza oggi, qui, si spiega per il desiderio di rendere un omaggio a Loris Malaguzzi, il pedagogista dell’infanzia da 0 a 6 anni più importante della fine del ventesimo secolo.

Proprio per questo, da un lato mi sento un po’ “scomoda”, perché so che tante altre persone potrebbero “glossare” molto meglio di me la sua opera e il suo pensiero… ma dall’altro mi sento molto bene, perché ho avuto la grande fortuna di poter condividere con lui dubbi, certezze, progetti, follie e utopie varie, non prive di discussioni, argomenti e contro-argomenti, di analisi sulle nostre rispettive realtà sociali, pedagogiche e politiche.

Per questo motivo oggi mi sento in dovere di condividere con voi questi pensieri, consapevole che non mi sarà mai possibile restituire ciò che da lui ho ricevuto.

La vostra è la più bella tra le lingue che io conosca.

Mi piace sentire la musicalità delle vostre parole. ._ e sono altrettanto consapevole che ora la sto distruggendo… scusatemi.

Ma così io parlavo con Malaguzzi e riuscivamo a capirci anche se non era per niente facile seguire le sue parole, perché quando si appassionava parlava molto in fretta e facevo fatica a capirlo.

Mi piace molto il titolo di questo Convegno: “Educazione e/è Politica”, un bel gioco di parole che si può fare con la vostra lingua e che tanto piaceva fare a Loris. Ma è un gioco non solo linguistico quello che propone questo titolo.

Su questo tema c’è stata una complicità molto forte e consistente tra noi due: educazione e politica sono due concetti inscindibili. Sono le due facce della stessa realtà, che per noi andavano insieme.

È proprio in questo contesto di complicità che proverò a sviluppare il mio intervento, che si incardina su due concetti sempre presenti nella sua riflessione e azione pedagogica: la certezza e l’incertezza.

 

  1. La certezza dell’impegno

Fin dall’inizio della relazione di Malaguzzi con Reggio è evidente la certezza dell’impegno politico e sociale per ricostruire, sulla distruzione, una nuova realtà.

Ricordo, a proposito, la vecchia e bella storia del suo viaggio in bicicletta per lavorare a fianco delle cittadine che, mattone su mattone, ricostruivano una scuola per i bimbi della città.

In questa scena quasi metaforica, che racconta in modo preciso il suo modo di procedere, inizia una storia di costruzione di un progetto che va al di là delle pareti della scuola… è un progetto che “salta i muri”. Un impegno etico e politico: quello della certezza di articolare un progetto libero da condizionamenti, un progetto di creazione che combina realtà e immaginazione. È l’utopia che

diventa realtà.

Il “bambino”, il bambino in azione e interazione che la vita collettiva gli offre, è la sua fonte d’ispirazione, un “cantiere quotidiano”, la materia prima per le sue scoperte.

Si lascia trascinare dallo stupore per le capacità multiple dei bambini, che rischiano di passare senza essere viste, se non si costruisce un nuovo sguardo e un nuovo ascolto su ciò che realmente dà senso alle loro azioni.

Loris resta fedele al vecchio impegno con l’infanzia, perché dà voce e protagonismo a chi non parla, a chi ancora oggi sta aspettando pieno riconoscimento.

C’è la certezza che un impegno di potenziale trasformazione non può essere un fatto individuale: ci deve essere una scommessa collettiva.

Si deve fare “équipe”. Ma quale “équipe”? Malaguzzi cercava e lavorava per collettivi impegnati.

Tessendo con sguardo acuto, con lo stesso sguardo con cui guardava ai bimbi, scoprendo le qualità di tutte le persone diverse che potevano far crescere una nuova realtà educativa per i bambini da 0 a 6 anni.

Un collettivo disposto a imparare, sia da quello che nasce dai bambini, sia da quello che usciva dai dibattiti o dalle discussioni condivise.

Un’équipe con capacità di interrogarsi e porsi questioni, un”équipe eterogenea, diversa, quindi ricca, che rompe con i modi tradizionali di entrata dei professionisti a scuola. Perché per fare qualcosa di nuovo bisogna co-costruire un dibattito nuovo, ma anche nuove azioni.

Forse questa certezza, lecita e comprensibile, è quella che fa dall’esperienza di Reggio un fatto unico e irrepetibile. Perché, certo, possiamo trovare ovunque dei professionisti impegnati, lo sappiamo bene; ma per fare dei collettivi “eterodossi” ci vogliono una capacità e un’abilità che poche persone hanno, che Malaguzzi possedeva e che hanno caratterizzato tutta la sua opera.

La certezza del suo impegno e la sua convinzione facevano saltare le norme. L’impegno di Malaguzzi nasce dal bisogno di affiancare la società attiva, di affiancare le donne; il triangolo di relazioni, cosi logico, si chiude nelle scuole di Reggio, con le famiglie e la società. Un processo in continuo dialogo, ascolto, scambio di partecipazione e democrazia reale è l’elemento fondamentale di una realtà che, pezzo su pezzo, giorno dopo giorno, va prendendo forma.

É l’impegno, politico e pedagogico, di un modo nuovo di intendere l’educazione: un’educazione aperta, un’educazione di tutti quelli che la vivono.

Per la maggior parte di quelli che sono oggi qui, questa idea può sembrare qualcosa di logico, elementare, ma negli anni settanta del secolo scorso era una vera rivoluzione, la più pacifica delle rivoluzioni.

Un’educazione emancipatrice della comunità intera: bambini, professionisti, famiglie e società, sono gli attori, tutti attivi, di un processo di apprendimento comune.

Ma l’impegno politico, come quello di tutti i grandi maestri che ci hanno preceduto, non si può limitare a costruire una realtà educativa forte e potente in una sola città, Malaguzzi sente il bisogno di far conoscere questa realtà al di là dei confini della sua Reggio Emilia.

Sente l”impegno di “fare pedagogia” della politica educativa di Reggio e così comincia a costruire una rete di relazioni e di scambi in tutta Italia, da nord a sud, da est a ovest, con migliaia di visite, per incoraggiare Comuni e insegnanti che iniziavano a creare scuole per i bambini piccoli, attraverso gli incontri e i Convegni organizzati dal Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia. Cosi, in quegli anni, nasce la rivista Zerosei e più tardi la rivista Bambini.

 

Dall’Italia al mondo intero, un mondo in una società in continuo cambiamento.

É in occasione di questo suo impegno per andare “al di là” che, in Spagna, abbiamo la fortuna di conoscere questo progetto collettivo divenuto realtà nella vostra città e di avere costruito con voi un rapporto molto stretto, ma in modo speciale con Malaguzzi.

Loris diventa un partecipante costante nelle nostre scuole estive, per circa venti anni.

Cosi abbiamo avuto la fortuna di condividere con lui le certezze, le difficoltà, i dubbi sulle nostre realtà e sul mondo di quegli anni, ormai quaranta anni fa.

Scusatemi per la mia insolenza, ma penso che la nostra complicità fu cosi rapida, vicina e forte perché in noi trovò la possibilità di lavorare strettamente con un gruppo d’insegnanti antifascisti che sognavano di conquistare un giorno la democrazia. Questo era già un motivo abbastanza rilevante per contare sul suo generoso impegno. La clandestinità del nostro lavoro lo faceva sentire di nuovo un giovane partigiano.

Ma penso che questo non fosse l’unico motivo.

Condividevamo, modestamente, gli stessi desideri di emancipazione delle persone, in modo speciale per le persone da 0 a 6 anni, creando scuole per i bambini piccoli e partendo della certezza che il diritto all’educazione inizia dalla nascita.

Ci riconoscevamo eredi del rinnovamento pedagogico del ventesimo secolo, un’eredità che ci spingeva ad andare più lontano, a interrogarci e a trovare nuove risposte.

Condividevamo anche la frustrazione per gli evidenti limiti della formazione accademica dei nuovi insegnanti. Avevamo la certezza che il dialogo dalla pratica alla teoria avrebbe consentito di progredire, dall’una all’altra. Forse per questo motivo Malaguzzi era innamorato delle nostre scuole estive, perché in questi incontri e dialoghi era molto difficile distinguere il tempo di riflessione sulla psicologia, la sociologia o le neuroscienze con le esperienze di scuole e insegnanti che stavano cambiando il loro quotidiano a scuola… gli spazi di danza o di risate con le conversazioni politiche che sorgevano in modo organizzato o spontaneo con la partecipazione di persone di origini diverse.

Per tutto questo siamo stati fortunati, per aver potuto godere del suo generoso impegno verso di noi, perché il suo era anche il nostro impegno e Malaguzzi si alimentava e lo alimentava a ogni incontro. La pedagogia è politica.

 

  1. L’incertezza dell’orizzonte

Vent’anni fa l’Università di Milano organizzò un convegno-omaggio a Loris Malaguzzi con un bellissimo titolo: “Nostalgia del futuro”.

Ancora oggi sentiamo quella nostalgia, perché Loris aveva questa capacità di immaginare il futuro, di creare utopie, di andare sempre al di là.

In sua assenza l’orizzonte mi risulta più incerto.

Voi italiani avete una facilità invidiabile nel costruire dei buoni titoli, con una gran dose di metafora; un dono che noi non abbiamo.

Ad esempio: per la seconda parte del mio intervento avrei bisogno proprio del nome dato a una vostra mostra: “L’occhio se salta il muro”.

Sono consapevole che “l’occhio se salta il muro” della mostra di Reggio non faceva riferimento a ciò che adesso vi propongo, come orizzonte, ma da qui, per me, nasce l’incertezza.

Quell’occhio doveva saltare il muro della scuola per avere un orizzonte ampio, o saltare, in senso contrario, il muro della scuola per scoprire le potenzialità dei bambini. Oggi ci troviamo di fronte un muro che può sembrare invalicabile: È: il muro della paura che conduce alla paralisi. Sono queste, dal mio punto di vista, le due grande forze da battere in questa crisi che viviamo.

Una crisi che con impunita sta distruggendo alcune delle più grandi conquiste sociali del secolo scorso, e tra queste l’educazione che avevamo raggiunto, in modo più o meno generale, nei Paesi europei.

Vent’anni fa l’Europa era per noi una grande speranza democratica e sociale.

Dieci anni fa, nella scuola estiva, ci siamo riconosciuti in un orizzonte comune, dichiarandolo nel Manifesto per una Nuova Educazione Pubblica.

Una dichiarazione che si concludeva assumendo due impegni, condivisi tra tutte le persone ed entità presenti:

  1. Lavorare per fare diventare realtà il contenuto della dichiarazione, con la volontà di andare avanti in ogni nostra scuola, città o paese, per approfondire nelle nostre pratiche e azioni pedagogiche e sociali l”idea di una nuova Europa della cittadinanza, un’Europa aperta, plurale, ottimista, creativa, piena di speranze e progetti di futuro, un’Europa senza frontiere tra i Paesi che oggi la configurano, solidale con il mondo.
  2. Vigilare in modo coordinato perché le riforme e le politiche educative di ogni Paese e dell’Unione europea si potessero sviluppare per rinforzare i diritti dei bambini, considerati “cittadini”, al di là della necessaria previsione di risorse umane e materiali.

Due impegni che ci consentivano di avere una rinnovata speranza nel futuro e rendere visibile l’utopia condivisa: quella di una nuova educazione pubblica.

Oggi tutto quello che si diceva nella Dichiarazione è diventato tabù per due ragioni: la prima è che l’educazione pubblica in Europa è in crisi e ci troviamo sotto l’assedio delle idee neoliberali che dominano il panorama europeo. La seconda, non meno preoccupante, è che la crisi economica e il modo in cui è stata gestita hanno generato nei nostri Paesi un sentimento comune antieuropeo e xenofobo.

Dobbiamo essere consapevoli delle idee che oggi dominano l’Europa, che ci abbagliano costantemente verso il consumo, il dominio dei mercati, il discredito del pubblico, e lo fanno con tutti i mezzi, con un bombardamento continuo, potente, così potente che ci acceca e ci rende difficile vedere le piccole luci vive di quello che esiste e resiste, nonostante la sua forza.

Invece, bisogna sapere che esistono, che dappertutto ci sono vere meraviglie educative che hanno luce propria.

Ma, quello che non sanno le forze dominanti è che, come diceva Marta Mata «la testardaggine, una delle qualità del buon maestro, deve presiedere la ricerca di proposte e risposte in ogni momento, per potere andare avanti con il passo giusto».

Dunque, con testardaggine, ma anche con incertezza, penso che bisogna fare uno sforzo tra realtà e utopia.

Per saltare il muro che ci indebolisce bisogna superare il pessimismo in cui ci vogliono affogare, per potere andare al di là, per respirare, per immaginare, per avere speranza, per sentirci forti e potenti! Bisogna avere chiaro che l’orizzonte è qualcosa d’infinito; quando ci sembra di raggiungerlo, già ne appare un altro.

Queste realtà di soli orizzonti sono uno stimolo per andare avanti, ma possono provocare incertezza.

Può darsi che un orizzonte sembri possibile soltanto come una meta per pochi, ma deve prevalere l’ottimismo, che mi viene dalla conoscenza della realtà, dalla mia età e anche perché conosco tante persone che, con più o meno incertezza, cercano nuovi orizzonti.

Dobbiamo essere consapevoli che, ancora oggi, il nostro punto di vista sull’educazione pubblica – e ancora di più sull’educazione dei più piccoli – è considerato una questione marginale. Ma questa apparente marginalità, invece di angosciarci, va trasformata in uno stimolo alla resistenza.

Quindi, con incertezza, ma anche con convinzione, vi propongo tre punti per affrontare il futuro, con vecchi e, allo stesso tempo, nuovi orizzonti.

Primo. Fare della “Convenzione sui Diritti dell’infanzia” il nostro grande strumento.

È stata approvata 25 anni fa ma è ancora poco conosciuta e, dunque, poco rispettata.

Sono consapevole che, per molti, e tra loro anche Malaguzzi, la Convenzione poteva essere migliore, lo so.

So che è stata fatta senza tenere conto dell’opinione dei bambini, dunque è adulto-centrica. Ed è anche molto eurocentrica, perché rispetta poco o nulla le diverse visioni culturali che sull’infanzia convivono nel mondo. Ma, nonostante tutto, penso sinceramente che sia un magnifico strumento per tutti quelli che riconoscono il bambino come “persona” fin dalla sua nascita, con diritti civili e diritti politici.

E questo ci conduce di nuovo alla difficoltà di separare pedagogia e politica, perché sono state compagne di viaggio nella lunga conquista di individuare e riconoscere i Diritti dell’infanzia.

Se ci proviamo, vedremo la forza che ci possono dare alcuni diritti civili:

– diritto alla propria identità,

– diritto alla libertà d’espressione,

– diritto alla libertà di pensiero,

~ diritto alla protezione della vita privata,

– diritto all’onore,

~ diritto a essere ascoltato.

Questi diritti dobbiamo sentirli molto vicini all’educazione per cui lottiamo e rispettarli interpella tutti gli adulti che hanno relazione con i bambini.

E per quanto riguarda i diritti politici, per esempio:

– diritto all’educazione,

– diritto al gioco, alla cultura e alle arti,

– diritto alla non discriminazione.

Questi diritti devono essere garantiti dai Governi, e tutti noi che lavoriamo con i bambini abbiamo il dovere di esigerli, con la forza che ci dà la Convenzione sui Diritti dell’infanzia, ratificata da tutti i Paesi del mondo, meno che dagli Stati Uniti e dalla Somalia.

La Convenzione può darci forza giuridica e politica ovunque, e obbliga noi persone adulte a mantenere una relazione con i bambini in quel modo cosi semplice e allo stesso tempo così profondo, come ci diceva Ianusz Korczak: «un giorno ho scoperto che non dovevo parlare ai bambini ma con i bambini».

 

Secondo. Fare della democrazia il nostro stile, la maniera di vivere con l’altro, con gli altri.

Personalmente, quello che più mi preoccupa della crisi è che finisca per distruggere la democrazia. Mi preoccupa la spirale negativa che avvolge la democrazia formale.

Ma ancora di più mi preoccupa quella crisi che può distruggere la vita quotidiana.

Dunque, dal mio punto di vista, uno di quegli orizzonti vasti che dobbiamo mettere a fuoco è quello di mantenere e fare crescere la partecipazione, la presa di decisioni e la responsabilità collettiva.

Sono da sostenere le piccole realtà pratiche con i bambini e tra loro, con i compagni e tra noi, con le famiglie e tra loro, con la società vicina. Una co-costruzione apparentemente piccola ma costante, come la pioggia fin che sembra che non bagni ma penetra e contribuisce a far rinascere e a dare frutti.

È quella democrazia che fa si che le persone piccole o grandi abbiano imparato a pensare e a riflettere da soli, ad avere un’opinione propria, diversa e anche in conflitto con quella degli altri, a essere persone libere, solidali e felici.

Terzo. Fare delle relazioni la nostra forza.

Forse sbaglio con questo terzo punto?

Ma ovunque sia andata ho potuto conoscere persone meravigliose e scuole magnifiche. Potete pensare che sono stata fortunata, oppure che, nonostante siano molte, di Paesi e culture molto diversi, sono sempre una minoranza.

Ma è quella sponda che sostiene la pianura, sono proprio quelle piccole luci, eclissate o quasi invisibili per i potenti riflettori dei poteri che dominano oggi il mondo. Ma ci sono.

Dunque si tratta di tessere, di tessere un arazzo cosi grande e vasto come siamo capaci, un arazzo che sarà diverso, come diversa è la realtà educativa del mondo. Sarà diverso lo spessore dell’ordito, sarà diverso il colore e il materiale… sarà diverso, perché nella diversità si trova la sua forza. Un arazzo, però, che condivide una trama, quella di rispettare i bambini, quella di cercare il meglio per accompagnarli nel loro processo di emancipazione e di scoperta del mondo.

E adesso incominciare a tessere è possibile, la tecnologia lo permette e facilita; domani sarà normale e alla portata di tutto il mondo.

Dunque, si tratta di condividere i tessuti o le reti che ognuno di noi possiede, per fare un grande arazzo che ci unisca, per sapere che non siamo soli e che siamo in tanti, molti di più di quelli che possiamo immaginare e possiamo condividere una grande utopia, rendendo visibile quello che esiste, ma che da soli non vediamo.

Amiche e amici, credo che sia giunto il tempo per agire e sostenere quello che abbiamo conquistato e ottenuto.

Dobbiamo organizzare la resistenza, perché sappiamo che la storia dell’umanità non è lineare, ma è fatta di progressi e di retrocessioni.

Ed è proprio per questo che oggi abbiamo bisogno di orizzonti concettuali e geografici vasti da raggiungere, con l’umiltà e la certezza di sapere che ce ne saranno alcuni che non potremo raggiungere, ma con la speranza che certamente altri li raggiungeranno.

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