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Il valore educativo a fondamento dei Servizi educativi rimessi al centro dell’attenzione e del dibattito pedagogico e politico

Aldo Garbarini

Direttore Direzione Cultura, Educazione e Gioventù della Città di Torino


I Servizi educativi hanno finalmente ripreso la loro attività con una certa continuità cercando di superare difficoltà, preoccupazioni e ritardi che hanno caratterizzato il sistema all’inizio della pandemia.

Il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia ha più volte evidenziato come, nei mesi passati, del sistema educativo e dell’istruzione si sia iniziato a parlarne con grave ritardo. Pur ammettendo che l’emergenza sanitaria, prima, e poi quella economico produttiva abbiano potuto determinare complessità decisionali, tuttavia la preoccupazione per l’interruzione di un diritto fondamentale come quello relativo ai processi di educazione e di apprendimento si è palesata molto tardi.

Lo 0 6, ovvero il sistema integrato dell’educazione e dell’istruzione, è stato ancor meno all’attenzione (almeno in forma diffusa) nei livelli decisionali. Senz’altro gli operatori pubblici e privati, le associazioni, le famiglie, il mondo accademico non sono stati inerti nell’iniziare a segnalare i problemi e poi ad insistere, mentre continuava a regnare – diciamo così –­ un’ampia confusione, ma certamente la situazione dei nostri concittadini di età minore ha iniziato a farsi urgentemente sentire solo in occasione delle prime riaperture del settore produttivo. Ancora una volta, in sostanza, prevalendo le esigenze di conciliazione e di sostegno alla famiglia che, senz’altro importanti, in realtà offuscano quel valore educativo dei percorsi e dei servizi che dovrebbero – oggi- essere il fondamento principale di un nuovo sistema.

Più volte, come Gruppo Nazionale, abbiamo richiamato le conseguenze prodotte dall’interruzione dei rapporti educativi e di relazione per tutti i bambini e le bambine, nonché per gli stessi nuclei familiari, soprattutto se in condizioni di disabilità, vulnerabilità, povertà educativa ed economica, rimasti fuori o comunque ai margini del sistema.

Non abbiamo neppure sottaciuto una difficoltà complessiva, specie nello 0 3, ad assorbire i costi indotti dall’interruzione dei servizi. E se questo si appalesa maggiormente nel settore privato (che peraltro ormai rappresenta un segmento più che significativo nell’offerta complessiva), non possiamo dimenticare la crescente difficoltà nei servizi pubblici, sempre più attraversati da una tendenza alla dismissione o a una loro accentuata terziarizzazione.

Quanto finora detto ha senz’altro una premessa: il sistema educativo e dell’istruzione costa. Ma è una spesa che possiamo non permetterci?

Partiamo da una considerazione generale: siamo quart’ultimi nei paesi dell’Ocse per gli investimenti nel campo dell’istruzione, formazione e conoscenza. E’ la stessa Commissione Europea a fare notare come la spesa pubblica per l’istruzione sia sotto la media Ue sia in termini di PIL ( il 4% contro il 4.6%) sia in percentuale della spesa pubblica totale, che all’8,2% è la più bassa dell’Ue (9,9%). Non solo, ma se andiamo a vedere le previsioni di bilancio tra il 2021 e il 2023 la spesa complessiva si riduce di circa 3,5 miliardi. Questo perché, a mio avviso, la contrazione della popolazione scolastica, dovuta al purtroppo pesante calo demografico, viene valutata non come produttrice di economie da rendere disponibili per un riassetto qualitativo del sistema, ma semplicemente come una riduzione della spesa complessiva necessaria a mantenere il sistema stesso. Insomma, siamo ancora un Paese che nelle conoscenze e competenze non ha ancora individuato, come invece molte altre comunità hanno fatto, uno degli strumenti fondamentali non solo per uscire dalla crisi, ma per rilanciare fortemente un processo di progresso e di sviluppo.

Ho citato finora l’istruzione perché sono fermamente convinto, come più sopra ho già detto, che il sistema educativo 0 6 debba sempre più essere inteso come un diritto delle bambine e dei bambini, nonché delle loro famiglie, a percorsi di crescita e dell’autonomia, e non solo per trovare necessari equilibri – per quanto comunque importanti – nell’ambito di processi di conciliazione e di occupabilità (anche se come richiamerò fra poco più servizi soprattutto nella fascia 0 3 vuol dire anche maggiore occupazione, soprattutto femminile).

Insomma, finora dobbiamo prendere atto della carenza nello sviluppare politiche pubbliche adeguate a promuovere l’educazione e lo sviluppo umano a partire dalla primissima infanzia in coerenza sia con il benessere relazionale ed economico delle famiglie, sia con la prospettiva di una crescita solida e di qualità del Paese. La crisi demografica, la bassa occupazione femminile, la bassa istruzione e i processi di abbandono scolastico sono elementi connaturati a questa complessiva sottovalutazione.

Abbiamo dati, studi, documenti e raccomandazioni anche a livello europeo che ricordano come l’accesso fin dai primissimi anni di vita a servizi di qualità inducono effetti positivi sui percorsi di crescita personale anche nel lungo periodo, favoriscono la procreazione e l’occupabilità soprattutto femminile, permettono di ridurre fenomeni di vulnerabilità, povertà educativa, violenza e abbandono nei successivi percorsi formativi.

Cosa sta succedendo in questo periodo? Tra decreti, linee guida, recovery found e governi traballanti, possiamo individuare alcune linee di tendenza che ci facciano intravvedere qualche scenario futuro più o meno consolidato? Provo qui a richiamare alcune situazioni, per trarne, se possibile, una risposta.

Intanto qualche risorsa continua ad essere erogata. O indirettamente al sistema, tramite il bonus bebè o il bonus nido, nonché con l’assegno unico per i figli introdotto con la Legge di Bilancio per il 2021. O direttamente, soprattutto attraverso il Piano di azione pluriennale che mette a disposizione ogni anno risorse finanziarie che le Regioni, attraverso la loro programmazione, destinano agli enti locali che dovrebbero utilizzarli per: nuove costruzioni, ristrutturazione, messa in sicurezza, risparmio energetico di edifici pubblici che accolgono scuole e servizi per l’infanzia; spese di gestione per abbassare i costi per le famiglie e migliorarne l’offerta; formazione continua in servizio del personale e promozione dei coordinamenti pedagogici territoriali. Ho detto dovrebbero, perché la verifica dell’uso delle somme ricevute pare sia stata, in alcuni casi, non così rigorosa; tanto è che nel novembre del 2020 si è giunti nella Conferenza Stato-Regioni-Autonomie Locali all’approvazione delle schede di monitoraggio della spesa, anche se per l’anno 2020 dovranno essere trasmesse entro il mese di agosto 2023 , condizionando l’erogazione del fondo per il 2024; cioè, se spendo male (a tutto svantaggio di minori e famiglie) vengo penalizzato solo dopo quattro anni. Forse, se le spese fossero ritenute essenziali, dovremmo essere un po’ più celeri.

Possiamo inoltre registrare altri due finanziamenti certamente interessanti: il primo è l’incremento del fondo di solidarietà comunale (tralascio le motivazioni contabili della sua esistenza, che comunque data dal 2012) per 100 milioni per l’anno 2022, fino a 300 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026, finalizzata a incrementare, e qui sta a mio avviso la novità, in percentuale e nel limite dei livelli essenziali di prestazione (LEP), l’ammontare dei posti disponili negli asili nido, equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno. Fino alla definizione dei LEP, o in assenza degli stessi, il livello di riferimento del rapporto è dato dalla media relativa alla fascia demografica del comune individuata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Al di là delle definizioni tecniche, possiamo pensare possibile riaprire la discussione sui livelli essenziali delle prestazioni, depotenziati a costi standard nel D.Lgs. 65/2017? Anche qui, come purtroppo d’abitudine, si premette già che in assenza di Lep si farà riferimento ai costi standard: ma intanto, i Lep sono nominati e, soprattutto, spero si riapra un interesse generale per la definizione di diritti esigibili in qualsiasi territorio del nostro Paese ci si trovi.

Il secondo finanziamento è quello già contenuto nella Legge di Bilancio 2020, ovvero 2,5 miliardi di euro a partire dall’anno 2021 e sino al 2034 (per il primo quinquennio si tratta di 700 milioni di euro) da utilizzare per progetti di costruzione, ristrutturazione, messa in sicurezza e riqualificazione di asili nido, scuole dell’infanzia e centri polifunzionali per i servizi alla famiglia o per la riconversione di spazi delle scuole dell’infanzia attualmente inutilizzati. Considerato che questa finalità ricalca molto il primo punto del Piano di azione pluriennale, possiamo sperare che Regioni e comuni destinino d’ora in avanti i fondi annuali del Piano solo per abbassare le rette e per finanziare la formazione e/o costituire i coordinamenti pedagogici territoriali? Insomma, per rendere maggiormente universali i servizi e per consolidare un effettivo sistema integrato sul territorio? Dico questo, perché le notizie che al momento circolano in merito all’utilizzo delle risorse derivanti dal Next Generation UE sembrerebbero tutte dedicate all’incremento dei posti nello 0 6, per circa 4,5 miliardi (di cui 2,5 sono probabilmente già quelli previsti nel 2020). Recentemente Alleanza per l’Infanzia, una rete al momento formata da 33 enti ed associazioni (tra cui il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia) ha stimato che per garantire una copertura nei nidi (e solo nidi, non considerando i servizi integrativi) del 33% in ogni singola regione sarebbero necessari 4,8 miliardi di euro, mentre nel NGUE sembrerebbe, peraltro, che almeno 1 miliardo sia dedicato alle scuole dell’infanzia. Come sarà coordinata l’azione e come saranno distribuite le risorse (che andrebbero in realtà incrementate) per aumentare l’offerta di asili nido e servizi per l’infanzia e favorirne una distribuzione equilibrata sul territorio nazionale (come da obiettivi del piano)? Sempre Alleanza ha calcolato che per rendere universale il servizio (per essere chiari, gratuito) e per uscire dalla secca dei costi a carico degli enti pubblici, che molti Comuni ormai subiscono come una spesa troppo pesante nei propri bilanci, sarebbero necessari circa 4 miliardi annui per la gestione ordinaria. Qui sta uno dei nodi di fondo: finchè non entreranno seriamente in discussione i costi complessivi del sistema, che sono non solo di costruzione ma anche di gestione, finchè in sostanza non si riterrà più che opportuno “caricare” sulla fiscalità generale i costi necessari per garantire l’universalità del servizio, rischiamo di non risolvere il problema. Ci vogliono 4 miliardi ogni anno per creare un’offerta diffusa sul territorio e di qualità a garanzia di processi educativi, sociali e anche di conciliazione che tutti a parole ritengono fondamentali; non basta per convincerci che lo scopo valga uno sforzo collettivo? E ci vogliono poche centinaia di milioni all’anno per far sì che le scuole dell’infanzia, anche nel nostro meridione, eroghino tutte il servizio mensa e garantiscano tutte il tempo pieno; anche qui, lo scopo ci pare condivisibile? Peraltro stimando 47000 nuovi posti di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Occupazione in più e soprattutto, vista la dinamica di settore, femminile.

Credo che questo quadro sia necessaria premessa per ragionare su alcune altre novità, meno di ordine contabile, di questi ultimi mesi: l’atto di indirizzo politico per il 2021 del Ministero dell’Istruzione e le linee pedagogiche per il sistema integrato 0 6, elaborate dalla Commissione nazionale presso lo stesso Ministero.

Con il primo, il Ministro ribadisce l’intenzione di realizzare interventi di edilizia dedicata al segmento 0-3 da parte dei competenti Enti locali (e qui si ripropone il problema appena sollevato), nonché la costituzione di poli per l’infanzia e del correlato coordinamento pedagogico, all’interno dei quali costruire comunità educanti caratterizzate dalla continuità della cura educativa e dalla condivisione strutturale degli spazi. Annotiamo in questo caso una prima definizione, anche se genericissima, di cosa possano essere i poli per l’infanzia, a mio avviso rimanendo ancora da sciogliere alcuni nodi fondamentali. A chi faranno capo e chi li coordinerà? In un ipotetico sistema universale, la continuità 0 6 attuata nel loro contesto può determinare il superamento delle sezioni primavera o queste rimangono comunque servizio ineludibile nell’offerta educativa, come prospettato dalle linee pedagogiche 0 6 (il secondo documento che ho richiamato)? La formazione in servizio, sempre richiamata dall’atto di indirizzo, sarà effettivamente coordinata tra tutti gli operatori dello 0 6 e da chi? Sono peraltro le già richiamate linee pedagogiche 0 6 a prendere atto che la formazione iniziale per le diverse figure professionali che operano nel sistema è molto disomogenea.

Se non altro, anche se sono definite pedagogiche, le linee guida 0 6 partono da una constatazione di fondo: per favorire un accesso più ampio è necessaria la fuoriuscita del nido dai servizi a domanda individuale, determinandosi così una consistente riduzione di quelle rette contributive considerate un elemento di discriminazione nell’accesso al servizio. Mi permetto una domanda: perché parlare di uscita dai servizi a domanda individuale e poi comunque prevedere rette, seppur contenute? Insomma: se un servizio esiste non perché me lo chiedi ma perché io-Stato lo ritengo fondamentale ed essenziale, il problema di chi si accolla il costo mi pare debba cadere di per sé.

Non entro per il momento nel merito dei contenuti delle linee guida, di cui molti argomenti necessitano di riflessioni e approfondimenti: governance del sistema. famiglie come partner di un’alleanza educativa, intreccio tra educazione e cura, curricolo progettualità e scelte organizzative, professionalità nei servizi, sono solo alcuni dei titoli che richiedono un percorso partecipato che veda coinvolti tutti i soggetti interessati dal e nel sistema integrato. Quello che rimarco è che non mi pare di avere ancora notato quella spinta ministeriale – che mi aspettavo e che mi aspetto – a promuovere un ampio e sollecito processo di confronto che ci porti in tempi relativamente brevi a definire un quadro complessivo del sistema che possa rimarcare aspetti di continuità e, magari, elementi di novità in grado di interagire con quello che anche positivamente è emerso in questi difficili mesi.

Insomma, qualche fermento c’è stato, anche non ultimo un attivismo del terzo settore generalmente inteso: la rete EducAzioni, la già richiamata Alleanza per l’Infanzia, gli importanti e periodici report di CRC, l’attenzione di Saltamuri in particolare per la scuola dell’obbligo, noi come Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, con i nostri seminari a distanza sulle risorse e sulle condizioni per l’esistenza/sopravvivenza del sistema 0 6 e sui prossimi che qui annuncio, dedicati proprio alle linee guida nazionali e ad un confronto con le esperienze europee in atto. La costituzione in Parlamento di un intergruppo sui temi dell’infanzia e dell’adolesecenza.

Ma rimangono le questioni che sopra ho richiamato, relative ad un investimento che sia coerente con il sostegno ad un sistema integrato 0 6 e all’approfondimento di linee che possano delineare scenari attuali e anche futuri di governance e di pensiero pedagogico.

Non mi ritraggo, per ultimo, da richiamare “voci” che sento ogni tanto correre: se valga ancora parlare di 0 6 o se sia necessario “alzare la traiettoria” (0 12?), se si debba copiare dai cugini francesi e iniziare a parlare di obbligatorietà delle scuole d’infanzia (mantenendo comunque l’obbligo scolastico attuale o riportandolo alla secondaria di primo grado?), se lo 0 3 sia più coerente con le politiche di un dipartimento della famiglia o se la centralità educativa debba continuare a mantenere il Ministero dell’Istruzione come referente privilegiato, cosa siano i patti educativi territoriali e se questi possano diventare l’ambito di verifica dell’uso delle risorse provenienti dal NGUE se, al momento il dibattito sembra sopito ma a crisi pandemica terminata pavento ritornerà, l’autonomia regionale rinforzata debba prevalere sulla competenza statale anche in riferimento ai percorsi dell’istruzione.

Sono, a mio avviso, temi tutti concatenati che richiedono l’apertura di un confronto aperto, concreto, anche politico (nell’accezione ovviamente “alta” del termine) che come Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia proponiamo a questa rivista di aprire e condurre insieme, con l’auspicio che possa servire a tutti coloro che , per funzioni e competenze, possono concorrere a realizzare un sistema per lo 0 6 capace di rispondere alla grandi sfide non solo dell’oggi, ma anche del domani.

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