La pubblicazione a dicembre 2018 del rapporto CRC “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. I dati regione per regione” offre ampio materiale anche per riflessioni specifiche sullo 0-6 e sui possibili sviluppi del sistema integrato. Nell’introduzione viene proprio precisato il tema della differenziazione regionale: “Nel 2018, abbiamo deciso di sperimentare una nuova pubblicazione che si affianca all’analisi compiuta a livello nazionale nel consueto Rapporto di monitoraggio. L’obiettivo è fornire una fotografia regione per regione sulla base di una serie di indicatori e offrire quindi una panoramica sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza nei vari territori. Si tratta di un’idea maturata alla luce del 3° Rapporto Supplementare del 2017, da cui emerge chiaramente e, in maniera trasversale rispetto ai vari settori, la forte differenziazione territoriale nella fruizione dei diritti dell’infanzia, tanto che il tema delle differenze regionali è stato trattato come fattore di discriminazione nel relativo paragrafo.”
Non si tratta solo dell’ormai nota disparità nelle diffusione dei servizi tra Regione e Regione, ma può essere interessante anche rilevare la diversa tipologia di gestori presenti: L’Ente locale presente in forma significativa solo in poche regioni, la scarsa rappresentatività in molte Regioni anche dei servizi gestiti da Cooperative e soggetti no profit.
Il primo pensiero è che appare assolutamente necessario affrontare il problema dei servizi zerosei con attenzione e rispetto del contesto: non esiste una soluzione unica valida per tutta Italia e probabilmente i modelli ritenuti virtuosi tipici di qualche regione del Centro Nord sono inapplicabili, se non addirittura dannosi se trasferiti tout court in altre realtà (come già avvenuto in tempi non lontanissimi).
Lasciamo ai lettori di buona volontà l’analisi dei dati presentati nel Rapporto e svilupperemo in maniera più approfondita gli spunti qui accennati.
Riprendiamo e proponiamo all’attenzione alcuni brani dall’articolo “Il sistema integrato per un nuovo welfare educativo e sociale” della Dirigente Scolastica Rosalba Marchisciana (pubblicato su Scuola7 n. 134, aprile 2019, Tecnodid Editore). I lettori interessati potranno trovare in quella sede l’articolo completo.
Le risorse pubbliche per il SUD
Nelle regioni meridionali dove la forza economica del privato è debole e dove anche la richiesta di servizio privato è minima perché carenti le possibilità di sostenere le spese, il servizio pubblico costituisce principale punto di riferimento educativo, supportato in parte dal paritario.
Una politica scolastica e di investimenti nel settore educativo come volano sociale non può non tener conto delle specificità territoriali, se si ha davvero a cuore il superamento del divario.
Nelle regioni del sud dove alti sono i tassi di disoccupazione per di più femminili e dove i servizi pubblici per la primissima infanzia sono assenti non ha senso parlare di “rimborso” alla famiglie per spese sostenute in strutture private o paritarie; di certo non ha senso far pendere la bilancia della distribuzione dei sussidi dalla parte dei genitori che si avvalgono del servizio privato (ad esempio, le linee guida assessoriali della Regione Sicilia di attuazione del d.lgs.65/2017 stabiliscono un rapporto 70/30 tra privato e pubblico, salvo poi ricevere domande pari a zero come rimborso alle famiglie dalla maggior parte dei comuni ove le strutture private sono assenti o non confacenti ai parametri ministeriali): i bambini da zero a tre anni non sono presenti nelle strutture private perché costose e inadeguate né censiti da strutture pubbliche perché inesistenti, salvo rare eccezioni che sono lo specchio di un bisogno emergente da attenzionare.
Fare perno sulla rete delle scuole dell’infanzia pubbliche
Perché dunque non partire dalle “isole felici” come prioritari interventi da finanziare disseminare ed esportare?
Risulterebbe infatti più efficace la scelta di destinare finanziamenti e sussidi diretti in conto esercizio alle scuole dell’infanzia per favorire potenziare e migliorare i servizi esistenti, per rinnovare gli ambienti e creare spazi ludici complementari, per dotarsi di professionalità aggiuntive specialistiche ma anche per favorire l’anticipo.
Incoraggiare l’anticipo della frequenza della scuola dell’infanzia con sostegno alle sezioni primavera, ad esempio, all’interno degli stessi edifici scolastici potrebbe invertire la rotta e innescare un circolo virtuoso di rilancio, oltre che creare un ponte naturale di raccordo tra un servizio ancora da strutturare e definire (0-3) e una realtà consolidata (3-6) che può solo trarre giovamento dalla esperienza di chi ha lavorato per favorirne l’accesso.
Investimenti strutturali e non estemporanei
Destinare parte consistente dei fondi previsti per la realizzazione del sistema integrato a sostegno di servizi da attivare all’interno di realtà consolidate, assegnando intanto le somme già stanziate per il triennio 2017-2019 in attesa di impegni sistematici, per renderle funzionali al reclutamento di professionisti e alla messa in opera di ambienti di apprendimento creativi in locali idonei, permetterebbe di estendere il servizio in modo sistemico e strutturale, a supporto della stessa scuola dell’infanzia che avrebbe al suo interno un bacino naturale propedeutico da osservare.
Una assegnazione di contributi mirati, dunque, per attivare e potenziare servizi duraturi, per creare indotto, per sollecitare interventi edilizi e architettonici, piuttosto che un voucher estemporaneo, per porre argine alla deriva del “sussidio” funzionale all’oggi commerciale e al consenso del momento per porre attenzione a investimenti professionali duraturi e significativi da monitorare che siano in grado di rilanciare anche occupazione oltre che la qualità dei servizi.
Uso razionale e ragionevoli dei fondi pubblici
In un momento di forte crisi occupazionale e assenza di politiche per le famiglie, ancor più forte nelle regioni del Meridione dove limitati e già datati sono stati gli investimenti per i servizi scolastici appare del tutto fuori luogo dirottare risorse pubbliche verso compensi ad personam che non modificano lo status quo.
La maggior parte dei comuni infatti si trova in difficoltà di rendicontazione con il rischio di una vanificazione se non azzeramento delle somme assegnate in attuazione del d.lgs 65/2017 per assenza di richiedenti rimborso, per assenza di strutture private a norma. Le stesse somme potrebbero invece essere facilmente impiegate sollecitando e supportando le scuole pubbliche ad accogliere bambini dai 24 ai 36 mesi quanto meno nelle strutture in cui è possibile ricavare spazi idonei in attesa di una regolamentazione strutturata e strutturale del sistema integrato zero sei.
Una distribuzione più equa e razionale demandata alla specificità delle realtà locali e alla propositività concreta renderebbe merito a chi ha a cuore il mondo dell’infanzia ed è ben disposto a profondere energie per la definizione di un percorso strutturale sostenibile a valenza sociale.
Oltre gli stereotipi “contro” il Sud
Se è vero che i servizi per l’infanzia costituiscono una condizione ottimale per contrastare le diseguaglianze sociali e che la frequenza precoce può addirittura ridurre il gap tra bambini di livello socio-economico basso e medio, diventa necessario porre dei correttivi alla distribuzione delle risorse affinché i servizi per l’infanzia siano reale occasione di coesione sociale a lungo termine. Occorre ridurre il divario tra le regioni del Nord che poggiano su un sostrato economico più favorevole ma anche più esigente, e le regioni del Sud, lontane da standard educativi specifici per la primissima infanzia ma che nulla hanno da invidiare in termini di propositività e professionalità avvezzi a fare di necessità virtù.
Rosalba Marchisciana