Quella del coordinatore pedagogico è una professione relativamente giovane, che è andata via via definendosi nel tempo, dagli anni ’70-’80 in avanti, in modo diversificato e con tempistiche disomogenee nelle varie realtà territoriali, di pari passo con la nascita e la crescita dei servizi educativi all’infanzia.
Nell’arco di questi 40-50 anni si è delineata una transizione da un coordinatore pedagogico originario, che esercitava il proprio ruolo esclusivamente all’interno dei servizi, con gli operatori, le famiglie e i bambini, soggetti prioritari dell’alleanza educativa, a un coordinatore pedagogico moderno, che considera come destinatari l’insieme dei soggetti che operano a vario titolo per l’infanzia, nell’ottica della costruzione di una rete di alleanze plurime e della trasferibilità dei saperi con i colleghi delle diverse agenzie del territorio (sociale, sanitario, scolastico…).
L’introduzione della figura del coordinatore pedagogico, vissuta talvolta con sospetto da educatori e insegnanti, come un’intrusione nelle loro libere scelte educative, talvolta invece caricata di eccessive aspettative di onnipotenza, ha avuto un ruolo molto importante nel passaggio da una visione di servizio assistenziale alla progressiva legittimazione del ruolo educativo dei servizi all’infanzia (scuola dell’infanzia e quindi nido d’infanzia), con una ricaduta, che si è rivelata subito significativa, su aspetti cruciali quali la documentazione, la valutazione della qualità, gli scambi pedagogici, l’intercultura e i diversi modelli educativi, l’inserimento di bambini disabili, la formazione nei confronti degli operatori ma anche delle famiglie, la mediazione delle relazioni tra adulti.
Attualmente, con il riconoscimento ufficiale della professionalità del coordinatore pedagogico, a cui hanno contribuito anche l’attivazione di specifici corsi universitari di Master in coordinamento pedagogico, possiamo meglio delineare questa figura che ha ruolo e funzioni molto complesse e diversificate: in relazione alle famiglie, ai bambini, alle educatrici o insegnanti, ai gestori dei servizi (amministrazioni pubbliche, cooperative, privati), infine alla rete di istituzioni locali che si occupano a diverso titolo di infanzia. Appare evidente che, per orientarsi e all’interno di questo sistema complesso e garantire l’attuazione di processi di lavoro coerenti e integrati, sono determinanti competenze relazionali e interpersonali per favorire la comunicazione sia tra diversi enti e istituzioni, sia tra persone all’interno dei singoli gruppi di lavoro: la conduzione del gruppo, quindi, rappresenta una competenza specifica e trasversale fondamentale per definire il ruolo del coordinatore pedagogico. A questa si affiancano conoscenze psicologiche e pedagogiche sull’infanzia, una cultura sociologica sulla famiglia, ma anche competenze molto diverse, di carattere squisitamente organizzativo-gestionale relativamente al personale e alle risorse economiche.
I campi di intervento del coordinatore pedagogico
Tenterò ora di delineare, nello specifico, il ruolo e le competenze del coordinatore pedagogico all’interno dei servizi per la prima infanzia, anche con riferimento a quella che è stata la mia esperienza nei servizi educativi del Comune di Savona, in cui ho coordinato sei nidi d’infanzia e un centro per bambini e famiglie, da giugno 1979 a giugno 2017.
Le principali funzioni cui assolve il coordinatore pedagogico si possono ricondurre ai seguenti campi di intervento:
- Il sostegno al lavoro dei gruppi, attraverso una presenza regolare e costante nei servizi, sia durante l’orario frontale con i bambini, che consente l’osservazione e la riflessione sulle pratiche del fare, indispensabile per supportare la progettazione educativa e didattica, sia durante le riunioni d’équipe, dove è possibile un attento ascolto dei bisogni e delle difficoltà di educatrici e insegnanti. In queste riunioni emergono i diversi punti di vista e le conflittualità più o meno esplicite che talvolta bloccano il lavoro di un gruppo e che il coordinatore deve saper cogliere e utilizzare, valorizzando i punti di forza e le diversità dei singoli.
- L’azione nei confronti delle famiglie, attraverso la cura dell’informazione, la redazione della Carta del Servizio e del patto educativo scuola-famiglia, con particolare attenzione alle modalità di accoglienza e ambientamento, la promozione di iniziative culturali sull’infanzia e sul ruolo genitoriale, il sostegno alla progettazione del lavoro con le famiglie nei singoli servizi, rappresentando altresì un punto di riferimento per interventi individualizzati, in caso di richiesta, da parte degli operatori o delle famiglie stesse.
- L’impegno nei confronti dei bambini, che si attua con la presenza all’interno dei servizi e l’osservazione diretta dei contesti relazionali e di gioco, la promozione di esperienze didattiche innovative, la collaborazione con le educatrici e insegnanti per mettere a punto progetti individualizzati nei confronti di bambini o famiglie con bisogni speciali, la disponibilità a intervenire come sostegno all’osservazione e alla comprensione di situazioni che presentino particolari difficoltà di gestione per le educatrici, quindi l’attivazione della rete socio-sanitaria competente.
- La promozione della formazione permanente e della crescita professionale di tutti gli operatori, mediante sia interventi diretti per quel che attiene alle competenze psico-pedagogiche sull’infanzia, sia interventi esterni su argomenti più specifici relativi alla sperimentazione didattica o a altre competenze che vengano ritenute utili nell’ambito del piano di formazione annuale.
- La predisposizione e la cura degli strumenti di documentazione, che rappresentano il fattore determinante per lasciare una traccia del percorso e consentire la riflessione, il confronto e la verifica all’interno del gruppo e con altri gruppi di lavoro, indispensabile per garantire la crescita dei servizi.
- Il monitoraggio della qualità, sia in termini di autovalutazione interna che di qualità percepita dalle famiglie, fondamentale per ripensare continuamente a strategie di miglioramento e di marketing dei servizi.
- Il lavoro di supporto logistico organizzativo-gestionale che indirettamente contribuisce a rendere possibili tutti gli interventi educativi: l’organizzazione del lavoro e del contesto educativo, la composizione dei gruppi, la definizione dei turni e delle strategie di intervento in caso di carenza di personale, l’uso dell’orario non frontale, la definizione dei compiti e delle responsabilità tra gli operatori, l’organizzazione funzionale e la cura degli ambienti dedicati sia ai bambini che agli adulti, la gestione del budget per l’acquisto di arredi e materiali.
- L’attività di contatto e di relazione con la rete dei servizi locali all’infanzia e alla famiglia, valorizzando e utilizzando tutte le risorse presenti sul territorio, mettendo in atto contatti e incontri necessari a realizzare interventi coordinati e integrati con il consultorio, con i servizi sociali che seguono casi di inserimento prioritario per particolari problematiche familiari, con i servizi di neuropsichiatria e riabilitazione e con i dirigenti scolastici.
La mia esperienza
Concludo con alcune riflessioni più soggettive, originate dalla mia esperienza personale ma anche da alcune letture che ho ripreso in mano ultimamente, che attengono più al significato che al ruolo.
Mi sono ritrovata in particolare sintonia con quanto affermato da Quinto Borghi: «Il senso del mestiere del pedagogista che opera sul campo sta nell’essere capace di cogliere ‘al volo’ i problemi di chi lavora sul campo e formulare delle proposte che siano accettabili per il proprio interlocutore. E l’educatrice o insegnante accetterà tali proposte se il pedagogista è culturalmente autorevole e se, nello stesso tempo, se lo sente umanamente vicino» (Borghi, Frabboni, 2017). Questo è proprio il significato che sento calzante per la mia esperienza e che, a mio modo di vedere, dovrebbe sempre essere presente nella mente dei giovani coordinatori, anche se talvolta non è semplice da mettere in pratica.
Inoltre ho trovato molto efficace questa immagine: «Il pedagogista vede con il grandangolo ciò che l’insegnante vede con il teleobiettivo». L’insegnante vive i problemi dall’interno, ingigantiti dalla vicinanza, mentre il coordinatore deve essere in grado di vedere con una lente bifocale, che gli permette di agire a livello locale e pensare a livello generale, immergendosi concretamente nel problema e attuando allo stesso tempo un’operazione di astrazione a un livello superiore: le sue competenze teoriche e culturali e il sufficiente distacco rispetto alla situazione, gli consentono di fornire al gruppo di lavoro un punto di vista alternativo, un diverso modo di procedere per uscire da una situazione di impasse, dove il forte coinvolgimento emotivo e personale impediscono spesso di sviluppare una visione oggettiva.
È proprio l’equilibrio tra calore e distacco, adesione e distanziamento, che determina il riconoscimento del coordinatore come punto di riferimento e guida sicura; una guida che nasce dalla condivisione dell’esperienza concreta con educatori e insegnanti e da una solida cultura pedagogica che consente di spostare la riflessione in una cornice più ampia, culturalmente e teoricamente, all’interno della quale è possibile la rielaborazione dei problemi e la ricerca di nuove strategie. A questo proposito, un altro dei compiti basilari del coordinatore è proprio favorire lo scambio con altri servizi e realtà educative: il confronto con gli altri stimola e e arricchisce la mente, ma alla fine ognuno deve trovare la propria strada, solo così potrà seguirla con determinazione e successo.
Per concludere, vorrei utilizzare ancora un’immagine: educatori e insegnanti devono sentire che possono contare sul coordinatore come un punto di riferimento sicuro, devono potersi fidare di lui, ma senza sviluppare una totale dipendenza: l’immagine che mi viene in mente è quella di un ruolo quasi “genitoriale”, dove la base sicura, costruita dall’insieme di regole, valori e sostegno affettivo, crea le condizioni per l’esplorazione e l’autonomia.
Buongiorno. Il mio Dirigente vorrebbe istituire la figura del coordinatore pedagogico alla scuola primaria. Lo abbiamo anche alla scuola dell’infanzia. Potrebbe darmi un’idea dei compiti che potrei o dovrei svolgere nel caso specifico? Grazie
Le risponde Elio Raviolo:
A mio parere il coordinatore pedagogico dovrebbe, in primis, “appunto” favorire un buon livello di coerenza del progetto educativo e didattico a livello di team, di plesso e di istituzione scolastica.
In tal senso, potrebbe occuparsi di organizzare riunioni di lavoro per insegnanti dei diversi team che si occupano della stessa area, delle attività di continuità verticale con la scuola dell’infanzia (in collaborazione con il coordinatore di tale settore) e con la secondaria di primo grado. In relazione a quanto detto, potrebbe occuparsi di proporre attività di formazione che mirino a migliorare aspetti che risultino particolarmente importanti o per converso considerati critici (solo come esempio: la gestione degli spazi esistenti in relazione alle scelte riferite al progetto educativo e didattico di istituto, l’organizzazione dei tempi, il rapporto tra attività didattica e compiti assegnati agli alunni… ).
Un altro aspetto che merita attenzione – se non già presidiato in modo specifico – é quello di coordinamento degli interventi di sostegno e per i DSA. In tal senso é sempre importante fare in modo che tali risorse siano assegnate in presenza di casi accertati ma che siano impiegate per la classe e non per il singolo caso, facendo in modo che tali docenti siano appieno inseriti nel team di classe e nella programmazione della stessa.
Altro aspetto delicato risulta essere quella della coerenza all’interno dei singoli team, ma questo é un aspetto molto critico e importantissimo, che richiede da parte del team stesso l’accettazione di un intervento “esterno” come amico critico. Nella mia esperienza era stato molto significativo, ma io avevo potuto fruire della figura della psicopedagogista, ricavata con ore dell’organico di istituto, perché – come sai – avevo una insegnante che era anche psicologa psicoterapeuta e quindi era riconosciuta in tale ruolo.
In ogni caso la coordinatrice pedagogica dovrebbe avere un costante rapporto con il dirigente scolastico, in modo da coordinare il proprio operato rispetto alle finalità generali dell’Istituto e tenerlo al corrente degli sviluppi del lavoro e di eventuali situazioni critiche.
Buonasera, vorrei farle alcune domande. La coordinatrice pedagogica può chiedere alle proprie educatrici di utilizzare parte delle loro ferie per restare in asilo e produrre dei documenti che competono alla coordinatrice? Il colloquio conoscitivo individuale con le nuove famiglie deve essere fatto dalla coordinatrice o dalle educatrici di sezione? La coordinatrice può modificare la sezione o cambiare alcune cose al suo interno senza comunicarlo alle educatrici di sezione? Grazie
Difficile rispondere senza conoscere la situazione e i diversi punti di vista, anche perchè dovremmo conoc+scere anche quali sono le disposizione della dirigenza, quali i carichi di lavoro, ecc.. Sicuramente i probelemi fvanno fatti emergere e debbono essere messi in discuìssione (= in dialogo) franca e rispettosa dei diversi ruoli. Penso che tentare di esprimere in modo ACCATTABILE le proprie perplessità in collettivo sugli ultimi due punti sia un comportamento difficile, ma corretto e responsabile e forse di chiarezza per tutti. La risposta su un piano teorico e avulso dal contesto sarebbe che le educatrici vanno coinvolte. Sulla prima questione sarebbe bene capire quanto sia iniziativa del coordinatore o della dirigenza , ma tuttavia risulta evidente che comunque è stato un intervento mal gestito.