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Il patto educativo scuola famiglia

Riziero Zucchi

Docente del dipartimento filosofia e scienze dell'educazione, Università di Torino.


Un’alleanza necessaria

Ogni nascita è un atto di speranza è l’aprirsi di una nuova vita non in solitudine, nel vuoto, ma in un ambito culturale che ne determina la crescita la struttura la forma. Come sottolinea Bruner il bambino è un soggetto attivo che è determinato dall’ambiente ma che lo sollecita in un’interazione dinamica.

Il primo ambito sociale è la famiglia che in seguito si aprirà a successive situazioni formative, le più importanti delle quali sono quelle strutturate: il nido e la scuola dell’infanzia. Ed è dall’incontro tra questi ambiti educativi che si crea il fondamentale fattore di crescita che è la co-educazione.

È necessaria la consapevolezza dell’importanza del collegamento tra la cultura della famiglia e la cultura delle istituzioni educative formali.

Dagli studi pedagogici più recenti (Gopnik 2017) emerge con sempre maggior dignità il peso della famiglia, di quanto il processo di individuazione primaria della persona, l’emergere della persona, sia debitore a quest’ambito formativo.

Occorre riproporre l’importanza della famiglia come ambito di crescita, come prima cellula sociale che imposta il passaggio dall’individuale al sociale, come centro di affetti che ambito di formazione valoriale, cognitivo e relazionale Il genitore porta ordine nel mondo rafforzando tutte e sole le posizioni adeguate. La mamma conferma, anzi esegue insieme col bambino le risposte adeguate, boccia quelle inadeguate, gli segnala i pericoli, scioglie ansie e paure con le coccole. Senza una disciplina dei divieti e dei consensi con cui ogni comunità umana accoglie un nuovo venuto non avviene neppure l’individuazione primaria, non si forma neppure la coerenza di una mente – il possibile, l’impossibile, la memoria, il linguaggio. Una persona di identifica solo sulla base delle risposte ‘giuste’ che la nostra infanzia impara a dare nel lungo apprendistato di realtà e di valore che ci contraddistingue come la specie neotenica, la specie dall’infanzia più lunga. (Roberta de Monticelli 2010)

La professionalità di educatori e insegnanti si apre al collegamento con questo ambito formativo esplorandone e valorizzandone la specificità. La Metodologia Pedagogia dei Genitori intende favorire questo incontro proponendo un ambito teorico pratico che valida e chiarisce competenze e conoscenze dei genitori e fornisce strumenti operativi per attuarlo concretamente.

Vi sono presupposti di base che abilitano i professionisti dell’educazione alla realizzazione del patto educativo scuola – famiglia. Si tratta della realizzazione delle competenze del professionista riflessivo, teorizzato da Donald Schön, dall’etica del riconoscimento e dell’atteggiamento di reciprocità culturale. (Schön 1993)

 

Riflessività nell’incontro con le famiglie

L’atteggiamento riflessivo nel professionista dell’educazione propone un’apertura cognitiva a tutte le risorse formative da praticare nel corso di tutta la sua attività. La preparazione ricevuta in ambito formale è solo la base che permette di accostare e sintetizzare quanto l’esperienza produce. Si traduce in apertura al reale in una continua messa in discussione del proprio sapere e del proprio operato che permette di costruire alleanze con le persone incontrate nel corso della pratica professionale che vengono riconosciute portatrici di saperi che mettono in discussione arricchendo l’agire esperto.

La tentazione è quella di praticare la razionalità tecnica, presupporre di avere una serie di strumenti oggettivi predeterminati da applicare meccanicamente, un sapere pregresso da utilizzare nell’agire quotidiano. In ambito educativo questo si traduce nel pensare di possedere strumenti specifici, tecniche da applicare, protocolli che presuppongono un atteggiamento di delega da parte di coloro che vengono definiti utenti. I genitori si limitano a fornire indicazioni tecniche necessarie per la ‘manutenzione’ del figlio.

Gli esperti dell’educazione, educatori ed insegnanti, stanno superando questa concezione ‘meccanicistica’ della loro professionalità. L’agire in ambito formativo viene sempre di più considerato un’ars, un’abilità in cui si compone l’agire tecnico a quello umano unendo il sapere pratico all’etica dei rapporti umani, la razionalità e le emozioni. Ars propone il significato di abilità creativa ma anche quello di comporre, collegare, in particolare in ambito educativo, riconoscere e far proprie le capacità e le abilità genitoriali. L’agire formativo diventa l’agire dell’incontro nella sua dimensione etica: appropriarsi dell’ethos, delle abilità dell’altro senza negare le proprie. Professionalità quindi come apertura all’esperienza degli altri ricomponendo la dicotomia tra il sapere e il fare, tra le indicazioni astratte e l’etica concreta. In questo ci aiuta l’etimologia che riconosce nel termine ars una stretta parentela con aretè, virtù in greco che a sua volta è collegata all’abilità di usare correttamente la tecnica.

 

Riconoscere generando riconoscenza

L’agire del professionista riflessivo si realizza nell’etica del riconoscimento. Questo principio relazionale, necessario per le relazioni umane, in particolare quelle di crescita, è stato proposto dai filosofi Kant ed Hegel, ma è ritornato di attualità nella riflessione riguardanti l’etica delle relazioni umane. Per Axel Honneth, della Scuola di Francoforte, il riconoscimento ha una funzione essenziale per la crescita della persona, la sua assenza porta all’esclusione sociale, provoca il sentimento di non esser all’altezza degli altri. È alla base della reciprocità umana: per esser riconosciuti dall’altra persona occorre riconoscerla. Significa accettarla e valorizzarla, prenderne in carico non solo la personalità, ma anche la cultura, le abitudini, le conoscenze. Ognuno per esser riconosciuto deve riconoscere l’altro, alla base di ogni relazione corretta vi è la reciprocità

Ogni professionista il cui impegno riguarda lo sviluppo dell’uomo per esser valorizzato nelle sue competenze deve riconoscere le competenze delle persone di cui si occupa, una situazione asimmetrica non genera solo conflitti ma impedisce una relazione di crescita implicita in ogni rapporto di crescita. Il rapporto paritario permette uno scambio in cui ciascuno, riconosciuto nelle sue capacità, assume la propria responsabilità e può iniziare un rapporto biunivoco di collaborazione. È assolutamente anacronistico l’esperto arroccato nel suo sapere che distribuisce sotto forma di consigli o ricette. È una situazione difficile anche per chi la propone, deve caricarsi dei pesi altrui, accettando la delega, rendendo passiva la persona di cui si occupa. La deresponsabilizzazione genera rancore per le aspettative generate, non c’è condivisione e questo genera continue richieste.

La persona diventa utente, utilizzatore di merci e servizi quando, invece, si tratta di relazioni umane che non possono diventare oggetto di scambio o contrattazione

Nell’etica del riconoscimento prevale la reciprocità, lo scambio paritario, la scoperta e l’attribuzione di qualità, l’individuazione delle specifiche caratteristiche di una persona e il loro potenziamento. Ne emerge la crescita umana che produce verso chi l’ha generata riconoscenza, che non è atteggiamento clientelare o di omaggio estrinseco quanto coscienza di una comune umanità, testimonianza di un patto di crescita reciproca. Sentimento duraturo che produce solidarietà educativa e propone orizzonti comuni di senso fondati sull’empatia.

Nella relazione scuola famiglia educatori ed insegnanti, per esser riconosciuti nella loro specificità dai genitori, devono a loro volta riconoscere competenze conoscenze della famiglia, che hanno pari dignità rispetto alle loro prerogative, anzi nel loro riconoscimento ci si accorge che sono complementari e quindi funzionali all’esplicitazione delle funzioni di scuola e famiglia.

 

Reciprocità nell’incontro tra le culture

Un contributo ed un approfondimento del patto educativo scuola famiglia viene da una pratica diffusa negli Stati Uniti, funzionale alla collaborazione tra gli esperti e dei soggetti dei quali si occupano, in particolare la famiglia: la Posture of Cultural Reciprocity.

Il punto di partenza è la cultura intesa non solo come bagaglio teorico, ma ciò che permette all’uomo di essere tale: abitudini, comportamenti, modi di pensare e di agire. La cultura plasma la mente (Bruner 1992), fornisce la cassetta degli attrezzi con la quale costruiamo il nostro mondo, la concezione di noi stessi e delle nostre capacità. La formazione professionale dota gli esperti di una cultura teorica che affineranno nella pratica e che si realizza in una serie di indicazioni e atteggiamenti. Anche le famiglie di cui si occupano hanno una cultura con la quale i professionisti devono confrontarsi. L’atteggiamento di reciprocità culturale sottolinea l’importanza per i professionisti di tener conto della dignità delle scelte culturale delle persone in particolare delle famiglie delle quali si occupano. Devono riflettere se i valori che sottendono alle loro scelte corrispondono a quelli di coloro che hanno di fronte e riconoscere anche i valori degli altri. L’atteggiamento deve esser di disponibilità a capire le ragioni delle scelte e dei comportamenti degli altri in un dialogo in cui non vi sono pregiudizi quanto la valorizzazione della dignità degli altri e un fine comune da raggiungere. Viene sottolineata l’importanza dell’interiorizzare reciprocità, rispetto e collaborazione al punto tale da farli diventare atteggiamenti anche esteriori. Ciò non significa per l’esperto rinunciare alla sua cultura e alla sua formazione ma farla diventare uno strumento per co costruire soluzioni in cui l’altro deve diventare protagonista con la sua cultura. In questa dimensione si apre una concertazione che evita gli stereotipi e identifica ogni situazione come unica. L’atteggiamento di reciprocità culturale impegna professionisti in un dialogo paritario in cui si realizza l’indicazione di Paulo Freire: Nessuno insegna a nessuno, ma tutti imparano da tutti.

 

Bibliografia

Bruner J.S., La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino.

De Monticelli R. 2010, La questione morale, Raffaello Cortina, Milano.

Gopnik A. 2017, Essere genitori non è un mestiere, Bollati Boringhieri, Torino.

Harry B., Culture in Special Education, Building Reciprocal Family-Professional Relationships, Brookes, Baltimore.

Schön D, 1993. Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari.

Sparti D. 2003, L’importanza di essere umani, Feltrinelli, Milano.

 

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