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Il nuovo nucleo Alzheimer dell’RSA Luigi Accorsi di Legnano e il metodo Montessori

Sara Gioia

Filosofa


Si, è lei, eccola, la signora con l’Alzheimer”

“No, non è quella con l’Alzheimer, è la signora Alice. Semplicemente Alice.”

È così facile dimenticarsi delle vite che si celano dietro la malattia. Eppure, come può una fase finale della vita non troppo fortunata arrogarsi il diritto di far scomparire tutto ciò che è stato? Perché “la signora con l’Alzheimer” non può essere ancora Alice, Anna, Sara, Carmela?

È da questo presupposto, dalla voglia dirompente di restituire identità e dignità, dalla mia passione infinita verso le persone colpite da questa subdola malattia che le rende così vere e forti e fragili allo stesso tempo e dall’incontro fortunato di competenze con la Dott.ssa Maruca Manuela (Piscopedagogista esperta Metodo Montessori) che nasce il nuovo progetto del Nucleo Alzheimer dell’RSA Luigi Accorsi di Legnano, realtà di proprietà e gestita da KCS caregiver.

KCS caregiver fa parte del consorzio stabile KCS, che racchiude realtà cooperativistiche e non, che operano nei diversi settori del sociale e del socio sanitario, abbracciando tutte le età di utenza.

Immaginate per un attimo di essere in mezzo alla nebbia, intravedete dei volti ma non li distinguete neppure strizzando gli occhi, saranno amici o nemici? Immaginate di pensare di trovare soluzioni per uscire da quella situazione ma sembra che la nebbia non sia solo attorno a voi per cui non riuscite a pensare, a ragionare, a mettere in ordine le idee; e allora provate a tornare indietro ma non ricordate da dove siete arrivati, provate a gridare aiuto ma le parole escono diverse da come le avevate in mente. Tutto questo è spaventoso.

 

 

E allora, esiste un modo per superare la paura? Come possiamo comprendere la nebbia che circonda i nostri ospiti e rendere i loro pensieri più nitidi? O meglio, come possiamo rendere la nebbia meno paurosa? C’è qualcosa che possiamo fare per ottenere attimi di felicità nonostante questa nebbia?

Nel corso degli anni si sono susseguite tantissime teorie, valide e utili. Nella nostra continua formazione teorica ed empirica abbiamo appurato che nessun metodo si oppone ad un altro, ma si tratta di contenuti che talvolta si assomigliano e altre volte si completano.

Tra i vari metodi possibili, noi dell’RSA Luigi Accorsi abbiamo scelto come prevalente il metodo Montessori. La decisione è nata, non solo dall’incontro fortunato tra me e la dott.ssa Maruca Manuela ma oserei dire che è stata quasi una scelta insita nella natura di KCS caregiver. Come consorzio vantiamo figure professionali e competenze diverse l’una dall’altra.

Ed è così che agganciando il mondo dei bambini e quello degli anziani abbiamo deciso di approcciare il metodo Montessori 0-99, fidandoci delle teorie che nell’ultimo decennio hanno dimostrato gli effetti positivi del metodo su persone anziane affette da demenza.

 

 

Il Metodo di Maria Montessori, o meglio la pedagogia montessoriana si basa sull’indipendenza e sulla libertà di scelta, di movimento e sul “libero” sviluppo fisico e psicologico del bambino.

La libertà viene garantita in un ambiente che possa soddisfare tutte le sue esigenze cognitive, pensato affinché sia stimolante, facilmente accessibile e a misura in cui l’adulto osserva i bambini e il loro comportamento. Fin qui non sembra evidente il collegamento con il mondo geriatrico. L’innovazione è stata, infatti, pensare il processo evolutivo esattamente al contrario, come involuzione.

Del bambino, in particolare, si conoscono i bisogni cognitivi di ogni fase, bisogni che si ritrovano nelle fasi dell’anziano colpito dall’Alzheimer.

Per spiegarmi meglio farò riferimento alla scala di Reisberg. Se pensiamo alle fasi della malattia di Alzheimer, infatti, ci rendiamo conto che esistono più fili conduttori che uniscono l’età del bambino e una delle fasi del morbo. In età adolescenziale assistiamo a un’esplosione di ormoni in cui i ragazzi sono mine (talvolta impazzite) alla ricerca del loro posto nel mondo; sono diretti, ribelli, talvolta confusi. Questo periodo non può forse essere associato ai comportamenti ambigui nella prima fase della malattia? Confusione, linguaggio non sempre appropriato, “sono adulto e forte ma mi sento strano ma sufficientemente tranquillo” in quanto questi segnali di allarme sembrano futili e non incidono sulla vita professionale e sui rapporti sociali.

 

 

Il bambino intorno ai 6 anni è abbastanza competente, sa vestirsi da solo e alimentarsi ma necessita di supervisione dell’adulto sia per la scelta dei vestiti che del cibo. Non sa provvedere completamente a sé stesso, non guida, non decide, talvolta non sa ancora scrivere. E così in una fase successiva la persona affetta da demenza disimpara a scrivere se non si allena, non può guidare, fatica a prendere decisioni di vita quotidiana e riesce a scegliere solo tra una limitata varietà di proposte. La persona involve giorno dopo giorno. All’età di 4 anni, il bambino impara ad essere parzialmente autosufficiente ad esempio sulla vestizione mettendo al posto giusto pantaloni e maglietta, sull’alimentazione imparando l’utilizzo corretto delle posate, adotta un linguaggio più comprensibile. Tutte attività che la persona con Alzheimer disimpara: confonde un pantalone con una maglietta, il linguaggio si impoverisce, utilizza strumenti non convenzionali per alimentarsi.

E così, mentre il bambino ogni giorno scopre una potenzialità in più, l’anziano con demenza perde una competenza. Non riuscirà più a camminare, ad andare in bagno in autonomia, a sentire gli stimoli, a verbalizzare le emozioni, a tenere dritto il tronco.

Questo processo di inviluppo continua inesorabile fino al neonato e quindi allo stadio finale della malattia dove ogni cura e attenzione diventano necessarie per la sopravvivenza.

Da questa lunga ma doverosa premessa e da questo nuovo modo di guardare partendo da qualcosa di molto conosciuto per esplorare l’ignoto, si è deciso di cambiare le cose all’interno del nostro nucleo Alzheimer.

Per cambiarle e cambiarle sul serio occorre agire sulla cultura. Non è facile far passare nuove idee, nuovi modi di lavorare, nuovi concetti a chi ha sempre agito in un altro modo. Difficile far passare l’idea che sia più dignitosa una caduta che una contenzione, difficile pensare che sia meglio straparlare piuttosto che non parlare proprio, difficile far comprendere che sia meglio dormire per terra che con una fascia a letto.

 

 

Per cui, da dove cominciare? Noi abbiamo deciso di partire dalla formazione su larga scala valutando molto attentamente le attitudini e le motivazioni di ogni operatore. Dall’analisi successiva abbiamo formato la squadra da inserire nel nucleo Alzheimer. Si sono susseguite riunioni di contenuto, motivazionali, di gestione e in equipe abbiamo definito i piani di lavoro “liberi” ossia concepiti sul bisogno di ogni singolo ospite, senza orari fissi e senza regole rigide.

Abbiamo cambiato l’immagine del nucleo rendendolo accogliente, personalizzando gli ambienti e le camere per favorire l’orientamento spaziale, camuffando le uscite per prevenire disturbi del comportamento. Ogni stanza ha quindi un colore diverso e una bacheca in legno con all’interno oggetti personali facilmente riconoscibili, esiste una zona tv con annesso caminetto per rendere piacevole lo spazio e creare delle sedute intermedie per incentivare la persona con wandering a riposare, abbiamo infine ricreato dei setting stimolanti come il mercato, la lavanderia, la fermata dell’autobus, la cabina telefonica.

Abbiamo contattato poi i familiari per creare legami solidi e di fiducia e ricostruito le storie di vita degli ospiti. Abbiamo infine, cercato di creare una routine quotidiana agli anziani tramite l’ambiente, un’equipe stabile e programmi di attività giornaliere e riproposte. In particolare l’ambiente è organizzato in modo da dare istruzioni: ogni setting è arricchito con materiali e indicazioni specifiche, come ad esempio il tavolino per il trucco e parrucco con l’indicazione “se hai voglia puoi indossare gioielli e truccarti”, oppure la cesta della biancheria pulita con il cartello “se hai voglia, potresti aiutarmi a piegare i panni”.

 

 

Tale organizzazione permette agli ospiti di sentirsi maggiormente al sicuro nella nebbia di cui parlavamo. La routine, soprattutto se stimolante ed emotivamente positiva, diventa abitudine e l’abitudine può rimanere impressa in quella sfera di memoria denominata procedurale. La memoria procedurale così come la competenza emotiva sono fattori che rimangono a lungo e per noi è estremamente importante vista la fugacità delle informazioni che immagazzina chi soffre di demenza.

Il mattino comincia con il dolce risveglio: chi ha voglia di stare a letto un po’ di più si alza quando lo desidera. Dopo l’igiene e la vestizione, gestite stimolando gli anziani a far da soli curando prima di tutto l’ambiente (avere vestiti, sapone, calzature a portata di mano e facilmente reperibili), gli anziani fanno colazione e iniziano a prendersi cura del loro contesto di vita preparando centro tavola con i fiori, sistemando canovacci, piegando tovaglioli, lavando bicchieri e tazze del caffè, provvedendo alle faccende domestiche.

Va bene, sembra si tratti di un ambiente di lavoro piuttosto che di riposo, ma non è così. Tentare di ridare ai nostri ospiti l’idea di casa e di cura permette loro di sentirsi accolti, utili, di avere uno scopo e un ruolo sociale.

 

 

Questo è indispensabile per il mantenimento delle facoltà cognitive e per garantire il benessere alle persone con demenza. Le attività proposte, inoltre, sono conosciute e non creano ansie da prestazione; sono le attività che rientrano nel grande contenitore della memoria procedurale.

A metà mattina si organizza l’attività guidata con l’educatrice o le figure professionali presenti (a settimane alterne arteterapista, danzaterapista, pet terapista).

Si propongono attività montessoriane su cui tutti gli operatori del nucleo protetto sono formati, attività di natura creativa o di stimolazione cognitiva.

Nel pomeriggio si ripropongono altre attività montessoriane (per rimanere legati al concetto di abitudine) e attività di natura ludica per andare incontro alla stanchezza mentale di fine giornata. Sono attività di breve durata e dove non esistono regole precise.

L’operatore, partendo dal concetto pedagogico di imitazione del bambino, mostra all’anziano l’attività proposta che si tratti di incastri, fiori, colori, faccende domestiche e lascia libera la persona affetta da demenza di imitare l’operatore o di gestire i materiali che si trova davanti come meglio crede. Il nostro obiettivo non è mai il risultato finale ma la reazione. Una persona concentrata, tranquilla, emotivamente controllata è per noi il migliore risultato.

In fondo si tratta proprio di questo: ogni nostro gesto, ogni progetto, ogni cambio di rotta, ogni riunione ha il fine di pensare a cosa fare per dare anche solo nel qui ed ora in cui vivono i nostri ospiti un attimo di felicità. Gli operatori del nucleo Alzheimer sanno che ogni attimo è prezioso e che ogni disturbo che sfocia in aggressività, agitazione, apatia è il risultato di qualcosa andato storto nel contesto e soprattutto che il comportamento che un anziano con demenza adotta è il migliore comportamento che in quel momento lui possa avere.

Su questa base ogni nostro gesto è controllato e studiato in base alla persona che abbiamo davanti e non sarà mai un malato di Alzheimer, saranno sempre per noi Alice, Anna, Sara e Carmela.

 

 

Per concludere, non ci si ferma mai! Il 15 Aprile 2023 inaugureremo l’Alzheimer Cafè rivolto ai familiari, ai volontari, ai caregiver e ai loro cari affetti da demenza. È un luogo protetto in cui persone che condividono le stesse esperienze, lo stesso vissuto emotivo, le stesse difficoltà possono confrontarsi, aiutarsi ed avere il supporto di esperti abbassando le difese e lasciandosi coccolare davanti ad una fumante tazza di caffè.

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