
Diana Penso
dalla maestra -mamma al docente- professionista
Quali sono le competenze richieste oggi a un insegnante di scuola dell’infanzia e come si sono costruite e modificate tali capacità nel corso degli anni?
Esiste una grande distanza tra la concezione di maestra degli anni passati e quella attuale di docente: forse si può meglio comprendere tale distacco se si pensa a come alcuni decenni fa veniva definita e concepita la scuola materna.
L’idea di scuola materna come grande famiglia (e quindi tutta giocata sui paradigmi familiari) è un’eredità dell’”800: fu la grande educatrice francese Paolina Kergomard che, alla fine dell’Ottocento, aveva mutato la tradizionale denominazione di “sala d’asilo” in quella di “scuola materna”. Questa espressione in Italia fu fatta propria dalle Sorelle Agazzi.
“La scuola – scrive Rosa Agazzi – è una piccola casa e una grande famiglia. Che si fa in famiglia? Ci si muove, si lavora, si discorre, ci si lava di frequente, si mangia, qualche volta ci s’inquieta per qualche imprevisto; in famiglia ci si vuol bene e per questo si procura di aiutarci vicendevolmente, di farci reciproco piacere … Anche nella scuola materna si lavora, si discorre, si mangia, ci si lava di frequente, ecc . E la maestra, come una buona massaia, diffonde il proprio affetto tra i piccoli, propone attività stimolanti e rapportate alle possibilità dei bambini, cura l’ordine della scuola. La maestra, insomma, come la mamma.”
In quegli anni, l’equazione mamma- maestra venne introdotta ufficialmente nell’asilo infantile con i primi Programmi adottati per questo grado scolastico nel 1914 (R.D. 4/1/1914 n. 27).
Vi si legge infatti: “La maestra-mamma le troverà (le occasioni), se starà tra i bimbi e non in cattedra come una professoressa, se giocherà con loro, se li aiuterà e li veglierà, insomma, come la madre. E chi conosce i sentimenti dei fanciulli meglio delle buone madri?”. E ancora, all’educatrice si chiede “un cuore pieno di affetto e di entusiasmo pronto ad ogni cura, ad ogni fatica, ad ogni sacrificio”.
Ma già in tale Documento appare per la prima volta il concetto di “maestrità”, con l’affermazione «Non è maestra di bimbi chiunque voglia». Viene così introdotto l’immagine di “professionalità”, cioè la necessità di un “sapere pedagogico” nella cura e nella crescita dei bambini. Si afferma che non è sufficiente “sentirsi portati” verso i bambini o “amarli” per occuparsi d’infanzia, si allude a una preparazione teorica e pratica, anche se si continua di fatto a richiedere ruoli solo prevalentemente assistenziali e caritatevoli.
I programmi del 1945 (D.M. 9/2/1945 n. 459) riprendendo il concetto di maestra-mamma, insistono sulla necessità di considerare l’ambiente scolastico alla stregua di quello familiare: “In una scuola, che fa derivare dalla famiglia la semplicità e l’intimità e, dalla madre, la naturale bontà, temperata solo dalla saggezza, non si può parlare di un programma e tanto meno di materia d’insegnamento “. E ancora: “Se vuole educare (il bambino) la maestra cerchi di avvicinarsi alla sua anima con amore e materna comprensione. La fiducia che ella saprà suscitare nel bambino le consentirà di guidarlo con quegli accorgimenti che la mamma usa con i propri figli”.
Va detto, però, che qualche elemento di dubbio riguardo questa assimilazione della figura dell’insegnante a quella della mamma, i programmi la lasciano trasparire in un successivo passaggio del testo:
“Tutto quanto si è consigliato presuppone che l’insegnante senta amore per i bambini, sia dotata di freschezza spirituale e di ariosa cultura, abbia immaginazione fervida, facoltà di narrare con arte naturale e suggestiva, fermezza e pazienza amorosa, calma e padronanza di sé in ogni istante: tutte attitudini fondamentali che non sempre la madre possiede, ma che invece nella maestra sono indispensabili”.
In ogni caso, viene riproposta la metafora della casa, della famiglia per identificare l’essenza della scuola “materna”; anche la figura dell’insegnante, ovviamente, viene definita intorno a questa metafora, soprattutto quando si sottolinea il valore dell’amore come principale elemento professionale per capire e far crescere i bambini. Proprio per questi specifici caratteri della scuola materna, i programmi del 1945 ribadiscono che in questo grado scolastico non si può parlare di un programma vero e proprio, né tanto meno di materie di insegnamento, ma si possono solo indicare i principi e le linee fondamentali a cui le insegnanti possono ispirare la loro azione educativa.
Gli Orientamenti del 1958 (D.P.R. 11/6/1958 n. 584), pur tentando di definire una più netta differenza tra scuola e famiglia (la scuola continua ed integra l’opera della famiglia) non si allontanano dall’impostazione dei precedenti programmi quando affermano che “la scuola adeguerà i suoi procedimenti allo spirito della educazione materna”.
E infatti all’educatrice viene richiesto “di partecipare alla vita dei bambini con amore materno “, anche se con “illuminata cultura generale specifica, che consenta una chiara coscienza dei fini e dei mezzi dell’educazione infantile”.
Saranno gli Orientamenti del 1969 (D.P.R. 10/9/1969 n. 647) a segnare una netta inversione di tendenza rispetto al passato riguardo all’identità professionale dell’educatrice.
Viene decisamente abbandonata l’assimilazione di tale figura a quella materna attraverso la proposizione di un profilo professionale più caratterizzato in senso culturale e pedagogico: per la prima volta in un documento rivolto alla scuola materna viene abbandonata la figura della maestra vice – madre. Non solo, al richiamo “dell’amore materno come amore partecipabile anche dalle non madri e come criterio supremo dell’educazione infantile” il testo preferisce il richiamo all’ “attitudine ad aggiornare e migliorare le proprie capacità professionali”.
Nel profilo dell’educatrice, gli Orientamenti del ’69 distinguono fra attitudini fondamentali di personalità e preparazione professionale. Fra le prime sono ritenute fondamentali in primo luogo la capacità di “instaurare rapporti umani con adulti e bambini” oltre che la “capacità di amare i bambini e coltivare in genere buoni rapporti umani”; sono inoltre considerate indispensabili condizioni di salute fisica e mentale”. Ma altre doti sono considerate importanti per svolgere adeguatamente il compito di educatrice: “un costante equilibrio, tendenza all’ottimismo, all’umorismo, allo spirito lieto”, evitando ansietà, iperaffettività, malumore, intolleranza, sfiducia”.
Per quanto riguarda gli aspetti più squisitamente professionali, si sottolinea l’esigenza di “una preparazione di base, costituita da una elevata cultura generale e da una sicura cultura specifica di pedagogia, psicologia e sociologia, tenute costantemente aggiornate”. Come si vede, il testo considera ugualmente importanti la formazione iniziale e in servizio del docente. Non mancano accenni alle competenze di carattere didattico e quando si afferma che l’educatrice “dovrà darsi un serio metodo relative modalità tecniche ed organizzative, e animarlo con prontezza di iniziativa e con spirito creativo“.
Da quanto detto sin qui, si può comprendere come gli Orientamenti del ’69, segnino definitivamente il tramonto della maestra intesa come mamma e delineino nuove caratteristiche dell’ insegnante di scuola materna. Viene dunque introdotto il concetto di “professionalità”, cioè la necessità di un “sapere pedagogico” nella cura e nella crescita dei bambini. Si afferma che non è sufficiente “sentirsi portati” verso i bambini o “amarli” per occuparsi d’infanzia, ma si fa riferimento anche a una preparazione teorica e pratica.
Dagli anni ottanta in poi la concezione della figura d’insegnante è cambiata, essa ha assunto un carattere sempre più specialistico, caratterizzata da un “sapere prevalentemente pedagogico” dove l’unica forma di conoscenza ritenuta valida, si pensava fosse di carattere disciplinare. Si riteneva che per fare di sé bravi maestri fosse fondamentale acquisire tecniche e metodologie.
Gli Orientamenti ’91, al capitolo 4, denominato Strutture di professionalità, affermavano che: “Essere insegnante di scuola materna comporta oggi un profilo di alta complessità e di grande responsabilità e richiede la padronanza di specifiche competenze culturali, pedagogiche, psicologiche, metodologiche e didattiche unite ad una aperta sensibilità e disponibilità alla relazione educativa con i bambini”.
Oggi si pensa invece che per costruire e descrivere il mestiere di “maestra” non basta il linguaggio della scienza; c’è in esso molto di più delle discipline e delle didattiche
Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 al personale scolastico viene richiesto un profilo professionale alto, costituito da saperi “professionali”, capacità progettuali e e saperi “relazionali”.
Lo stile educativo dei docenti si ispira a criteri di ascolto, accompagnamento, interazione partecipata, mediazione comunicativa, con una continua capacità di osservazione del bambino, di presa in carico del suo “mondo”, di lettura delle sue scoperte, di sostegno e incoraggiamento all’evoluzione dei suoi apprendimenti verso forme di conoscenza sempre più autonome e consapevoli.
La professionalità docente si arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la formazione continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica, il rapporto adulto con i saperi e la cultura. La costruzione di una comunità professionale ricca di relazioni, orientata all’innovazione e alla condivisione di conoscenze, è stimolata dalla funzione di leadership educativa della dirigenza e dalla presenza di forme di coordinamento pedagogico.
Le competenze degli insegnanti
Dunque l’insegnante si presenta come figura di riferimento per i bambini e per gli adulti con una solida preparazione culturale, capace di operare collegialmente sia con i bambini che con gli adulti, con profonde competenze nei vari ambiti in cui si svolge la sua funzione, con capacità professionali, relazionali, in grado di integrare il proprio lavoro all’interno del progetto educativo della scuola, elaborato dal Collegio Docenti.
Possiamo suddividere le diverse competenze in:
- Competenze relazionali
- Competenze culturali e professionali
- Capacità operative
1. Competenze relazionali
La capacità di stabilire relazioni, di entrare in rapporto profondo con i bambini, di essere interessati al mondo dei bambini, motivati a conoscerlo, il desiderio di accompagnarli nei loro percorsi, la curiosità di scoprire e conoscere il loro mondo interiore, costituisce la premessa indispensabile per scegliere di fare questo “mestiere”.
Anche i documenti rivolti alla scuola dell’infanzia ribadiscono che “a fondamento di questa scelta professionale è indispensabile che vi sia un’aperta “sensibilità e disponibilità alla relazione educativa con i bambini”. (Orientamenti ’91)
Questa preoccupazione espressa dagli Orientamenti non è nuova: già i precedenti Orientamenti del 1969 vi avevano insistito con una certa enfasi, individuando come attitudine fondamentale dell’educatrice quella di “instaurare positivi rapporti umani con adulti e bambini”.
La disponibilità ad incontrare il bambino (a educarlo) implica capacità e competenze tecniche e professionali (ossia consapevolezze sul piano teorico e operativo), ma anche – forse in egual misura -doti personali come sensibilità, curiosità, motivazione, flessibilità, ascolto, ecc.
Questo significa, innanzitutto, la capacità di sapersi porre in relazione con i bambini, con tutti i bambini, anche con quelli che sembrano -per condizioni personali o per fattori socio-ambientali – volersi sottrarre al rapporto con l’adulto e con i compagni, o mettono in atto modalità relazionali di allontanamento dell’altro. Significa anche saper costruire dei rapporti significativi; essere in grado di saper “contenere” le emozioni dei bambini; essere disponibili al dialogo e all’ascolto.
Oggi l’importanza della relazione educativa e quindi della capacità di ascolto dell’adulto, della capacità di accogliere e contenere le emozioni infantili e lo stretto collegamento con l’apprendimento cognitivo e mentale, viene ammessa e riconosciuta da più parti.
“Lo sviluppo cognitivo si fonda sui rapporti relazionali e che esso è possibile solo all’interno di un quadro relazionale positivo…”[1] “L’interazione affettiva rimane il principale contesto entro il quale il bambino costruisce e sviluppa le sue relazioni sociali ed i suoi schemi conoscitivi, servendosi della mediazione interpersonale per strutturare i significati e per interpretare al realtà ” [2]
E ancora :”.”La relazione educativa dovrà essere pensata, divenire intenzionale ed essere oggetto di verifica…”[3]
Nelle Nuove Indicazioni per il curricolo emanate dal Ministro Fioroni nel settembre del 2007 si riafferma che: “La scuola dell’infanzia si propone come contesto di relazione, di cura e di apprendimento…promuove una pedagogia attiva e delle relazioni che si manifesta nelle capacità degli insegnanti di dare ascolto e attenzione a ciascun bambino, nella cura dell’ambiente, dei gesti e delle cose.”[4]
L’ascolto e la relazione non si esplica solo in un generico affetto rivolto ai bambini ma si realizza nelle capacità di praticare l’ osservazione; di documentare il proprio lavoro; di predisporre verifiche sistematiche e di valutare i risultati della propria attività.
2. Competenze culturali e professionali
Nel disegnare le competenze culturali e professionali del docente occorre partire da una necessaria e forse scontata premessa: l’epoca in cui viviamo è contraddistinta da profonde e continue trasformazioni che richiedono frequenti revisioni dei tradizionali modelli interpretativi della realtà e l’elaborazione di nuovi schemi di conoscenza e di lettura. Gli insegnanti del futuro dovranno possedere una formazione flessibile e dinamica, in grado di rispondere adeguatamente alle richieste di una società in continua trasformazione.
Il profilo professionale dell’insegnante non sfugge a questa logica di cambiamento costante.
Elemento di novità, posto dagli Orientamenti’91, è l’accento posto sul possesso di un’ampia cultura generale; novità che si collega alla profonda innovazione del curricolo della scuola materna, in particolare ai sistemi simbolico – culturali, sia come punti di riferimento del curricolo, sia come “componenti fondamentali” della preparazione dell’insegnante. Preparazione che dovrebbe essere di livello universitario e continuamente aggiornata, attraverso momenti di formazione in servizio “mirata al sostegno per la soluzione dei problemi specifici dell’attività, al perfezionamento continuo della professionalità e alla crescita personale”.
Il profilo che emerge dai Nuovi Orientamenti dunque è quello di un professionista con una solida preparazione culturale e con profonde competenze nei vari ambiti in cui si svolge la funzione docente.
Uno degli aspetti maggiormente sottolineati della professionalità docente è il richiamo alla necessità di una cultura, e questo richiamo è ancor più significativo se si pensa che storicamente alla maestra per i più piccoli è stata negata o non riconosciuta questa caratteristica. E qui per “cultura” s’intende non solo il “complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici, tipi di comportamento, trasmessi e usati sistematicamente…ma anche la capacità di orientarsi, di sapersi muovere all’interno del mondo delle idee di oggi; “cultura”, quindi, come repertorio di conoscenze, acquisizioni, competenze, ma anche come curiosità, ricerca, interesse, confronto.
3. Capacità operative
Tutto ciò che si è appreso, studiato, compreso del mondo dei bambini infine va tradotto in capacità operative, in una serie di atteggiamenti e comportamenti che accompagnano il saper fare dell’insegnante nella concreta attività didattica.
Il lavoro collegiale
Tra le capacità operative emerge la dimensione collegiale e sociale: per essere buoni docenti occorre aprirsi alla dimensione sociale.
Il docente della scuola dell’infanzia appare quale nuova figura professionale che si apre alla dimensione della corresponsabilità e della collegialità, a collaborare con il territorio e le risorse presenti, per migliorare la qualità dell’offerta, “nella consapevolezza che la scuola è uno de nodi della più ampia rete de territorio, che con il territorio interagisce e che del territorio legge i bisogni, interpreta la cultura, utilizza le risorse. ”[5].
La professionalità dell’insegnante dunque si realizza non solo all’interno della sezione, nel rapporto con i propri bambini e le famiglie ma si esplica anche in un ambito di collegialità e questo comporta la capacità di saper interagire in gruppo, in modo positivo e costruttivo, di saper lavorare e progettare con altri adulti, tenendo presente la globalità dell’ambiente scuola, in quanto l’insegnante non opera da solo, ma inserito in una rete complessa di rapporti, all’interno della quale agiscono vari protagonisti (bambini, colleghi, genitori, Funzionari Educativi, Dirigenti, la stessa istituzione).
Possiamo ritenere quindi che la dimensione collegiale richiede all’ insegnante:
la disponibilità all’ascolto; la capacità di tener conto del punto di vista degli altri; capacità di adattamento; la disponibilità a superare positivamente le situazioni di conflitto; la motivazione al confronto e alla socializzazione delle esperienze.
Nella scuola dell’infanzia la dimensione collegiale riguarda, sia la conduzione delle attività didattiche e la gestione della sezione, sia le attività di programmazione e formazione.
Per quanto riguarda la conduzione delle attività didattiche e la gestione della sezione, l’ insegnante si trova spesso a svolgere e a condividere le attività con altre colleghe e quindi deve confrontarsi continuamente sulle linee metodologiche e didattiche da seguire ed essere capace di collaborare anche con altri operatori.
Per quanto riguarda le attività di programmazione, l’ insegnante deve essere in grado di organizzare attività, di condividere idee e progetti, di partecipare a momenti di formazione e di aggiornamento. Operare in gruppo significa elaborare un progetto pedagogico, programmare obiettivi educativi che non siano il frutto di scelte individuali, improvvisate ma, al contrario che si pongono in continua interazione fra le diverse persone del gruppo, per realizzare, ciascuno con il proprio stile e secondo le rispettive competenze, quanto è stato deciso e programmato assieme.
La capacità di lavorare in gruppo
Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno di essi svolge un ruolo specifico e riconosciuto, basandosi sulla circolarità della comunicazione e garantisce il benessere dei singoli, mirando allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso.
Il collegio docenti della scuola dell’infanzia è formato da singole persone che condividono il compito educativo, al fine di progettare e realizzare gli obiettivi previsti, attraverso il contributo di tutti, un collegio docenti è un gruppo di lavoro e la sua caratteristica è quella di avere un compito da eseguire in comune; di dover raggiungere obiettivi; di doversi occupare delle medesime attività, di dover percorrere la stessa strada…
Emerge quindi l’esigenza di costruire nel gruppo, una comune base culturale che utilizzi un linguaggio pedagogico condiviso, nei contenuti e nella metodologia, acquisito e sostenuto anche nei corsi di formazione e di aggiornamento.
Un gruppo docenti che voglia rendersi capace di buona integrazione psicologica e sintonia operativa dovrà concordare una sorta di “patto regolativo” per strutturare in forme idonee e soddisfacenti il lavoro da svolgere nel gruppo.
Per passare da un gruppo di docenti ad un team (gruppo di lavoro nel quale si realizzano progetti elaborati in comune, discussioni collettive, si assumono decisioni collegiali) fortemente motivato, occorre una gradualità di un processo che porti al cambiamento attraverso momenti di “contrattazione”.
Ma un gruppo educativo che collabora, condivide e assume la responsabilità dei progetti, non s’improvvisa, al contrario è frutto di un’elaborazione collettiva, espressione di una volontà di accordo e collaborazione. La capacità di programmare non si conquista facendo appello solo alle buone intenzioni degli insegnanti, ma si realizza attraverso un percorso di ricerca di convergenza, a volte di punti di vista differenti.
Superare eventuali disaccordi, attraverso la “mediazione”, il confronto, la discussione, sono aspetti fondamentali di convivenza e di competenza professionale che gli educatori e le educatrici devono dimostrare di possedere, per elaborare, costruire e condividere progetti.
Tutto questo va costruito attraverso momenti d’incontro, di discussione, di assunzione di responsabilità educativa, momenti d’aggiornamento e formazione.
Quando ci si incontra insieme con le altre insegnanti, sia in momenti di attività sia in situazioni di formazione, ognuno porta nel gruppo le sue idee, le sue motivazioni, le proprie aspettative e proprie modalità di comunicazione: è necessaria allora, una fase preliminare di discussione sugli obiettivi.
Il momento ideale è sicuramente l’incontro durante i primi giorni d’inizio anno, dandosi le prime regole che stanno alla base di un team di lavoro.
Al fine di assicurare la partecipazione di tutti, è bene che le idee, le perplessità e le proposte vengano rispettosamente accolte e apertamente discusse, mantenendo bene in vista l’obiettivo principale del lavoro: il benessere dei bambini, dei genitori e dello stesso gruppo delle educatrici.
La comunicazione tra le docenti deve essere ispirata alla franchezza e alla collaborazione: a tal fine è necessario che essa sia chiara e comprensibile per tutti. Questa chiarezza è fondamentale anche per dialogare e per confrontarsi: in tal modo il personale educativo può riflettere sul lavoro svolto, apprezzarne i risultati positivi e, eventualmente, rivedere e integrare quei percorsi su cui si provano dei dubbi o delle perplessità circa la loro reale efficacia.
Il gruppo educativo dovrebbe “essere una squadra in grado di lavorare in un’ atmosfera che offra senso di stabilità, soddisfazione. apertura ai cambiamenti e flessibilità”[6]; essere gestito pedagogicamente ed organizzativamente dall’insieme degli operatori che, pur agendo con compiti differenziati, lavorano in uno spirito di cooperazione.
Da un’organizzazione del lavoro così impostato, nasce e si può diffondere un atteggiamento nel quale siano valorizzate le differenti personalità, le idee, le potenzialità e attitudini di tutti.
All’interno di un Collegio, le diversità di punti di vista e di pensieri, costituiscono una ricchezza che va riconosciuta e integrata, attraverso un processo di ricerca, una sinergia di gruppo, finalizzata al miglioramento della qualità della vita della scuola dell’infanzia.
“E’ in questo intreccio di relazioni, in questo “andirivieni” di interventi e di confronti che si fonda il senso del collettivo, come comunità educante “( L.R.Saitta)
Operare collegialmente, vuol dire pensare assieme, confrontarsi costantemente con i colleghi, mettersi nella condizione di ascolto, programmare, organizzare attività, quindi misurarsi apertamente senza paura del dissenso, purché esso non sfoci in conflitto o in indifferenza.
La collegialità è un modo di agire, di gestire i rapporti, di assumere decisioni tra colleghi e operatori, non in maniera individualistica, ma attraverso il contributo e la responsabilità di tutte le persone che condividono un progetto.
C’è un altro aspetto operativo che ha modificato profondamente il concetto di professionalità docente ed è l’assegnazione di significato all’ambiente educativo nella formazione dei bambini, agli ambienti di apprendimento intesi come luoghi educativi, stimolanti e ricchi di significato.
Lo spazio della scuola è il luogo in cui avvengono i rapporti educativi, il contesto carico di significati affettivi, di connotazioni educative e formative, luogo degli affetti, dove ciò che conta è come ci si sente al suo interno, dove si sviluppano vissuti, memorie, affetti attraverso i quali il bambino sperimenta e costruisce la sua identità. Nello spazio si cresce e si educa.
L’ambiente, così come viene strutturato e organizzato parla, fa l’accoglienza, gli spazi spesso presentano la scuola, infatti è attraverso di essi che si comunicano implicitamente modi di stare, di muoversi e parlare con gli altri, di assumere abitudini e piccole regole di convivenza.
Il luogo nel quale i bambini vivono e lavorano, secondo com’è pensato e predisposto, promuove o meno l’apprendimento; gli spazi ben organizzati predispongono all’esplorazione, promuovono la curiosità, favoriscono la riflessione sull’esperienza…
L’ambiente va organizzato in modo che i bambini possano esprimersi in modo attivo nelle strutture della sezione, d’intersezione, di laboratori, nei quali essi possano svolgere attività di movimento, esplorazione, manipolazione per organizzare ed elaborare le loro esperienze, dove anche i materiali didattici hanno una funzione e un significato.
Da maestra a professionista: negli anni questo percorso ha rappresentato una vera e propria “elaborazione culturale” individuale e di gruppo, un vero e proprio itinerario di ricerca.
I requisiti della “maestrità” oggi sono molteplici: l’importanza del sapere psicologico, pedagogico, linguistico, sociologico, antropologico, ma anche l’essere presenti nella crescita, nell’ esperienza e nelle storie delle bambine e dei bambini del bambino, l’ essere pronti a cogliere segnali, richieste, bisogni, scoperte emotive e cognitive, sentire, accompagnare ecc… , l’essere capaci di lavorare in modo collegiale, di riflettere, documentare da soli o insieme agli altri, attraverso le narrazioni, i diari, le osservazioni, i dibattiti, le emozioni, le riflessioni ecc..
Capacità di relazionarsi, di organizzare ambienti, progettare attività stimolanti, riflettere sul proprio operato, così come ci ricordano le Indicazioni del 2012.
La presenza di insegnanti motivati, preparati, attenti alle specificità dei bambini e dei gruppi di cui si prendono cura, è un indispensabile fattore di qualità per la costruzione di un ambiente educativo accogliente, sicuro, ben organizzato, capace di suscitare la fiducia dei genitori e della comunità.
La progettualità si esplica nella capacità di dare senso e intenzionalità all’intreccio di spazi, tempi, routine e attività, promuovendo un coerente contesto educativo, attraverso un’appropriata regia pedagogica.
[1] Nuovi Orientamenti per le attività della scuola materna, luglio 1991
[2] Nuovi Orientamenti per le attività della scuola materna, luglio 1991
[3] Rapporto Intermedio per la revisione dei Nuovi orientamenti, 1989
[4] Indicazioni per il curricolo, settembre del 2007
[5] Il progetto educativo della scuola dell’Infanzia del Comune di Roma, tesi 8.2, Comune di Roma, 2004
[6] Puliatti C., Occhipinti C.,op.cit.
Mi è piaciuto molto il suo articolo “Il mestiere di maestro nella scuola dell’infanzia”. Insegno ormai da 20 anni e vivo nel sud Italia. Mi piacerebbe che si organizzassero corsi di parent training e teacher training nella mia scuola dove sono presenti numerosi nomadi che sono portatori della loro cultura, ma non comprendono l’importanza di acquisire conoscenze e competenze proprie di una cultura più largamente condivisa. Per questo siamo in presenza di numerosi casi di bambini e ragazzi con uno scarso interesse verso lo studio, in generale. Forse dei corsi di aggiornamento si rendono necessari…
Organizziamo delle formazioni: noi siamo disponibili. Ci sono strutture a cui appoggiarsi? Temi più urgenti?
La maestra del mio nipotino di tre anni non é in grado di fargli mangiare a pasto la pastasciutta che a casa mangia da mesi. Il bambino torna sempre senza aver mangiato a pranzo.
Cara signora, il momento del pranzo a scuola è un momento molto delicato che infatti, nel piano di accoglienza, viene inserito solo alla fine dell’inserimento dei primi giorni nella scuola dell’infanzia.
Il pranzo risponde ad obiettivi non soltanto di tipo alimentare: infatti si tratta di una momento nel quale il bambino ricorda i sapori, gli odori e le persone che gli sono familiari(la pastasciutta di scuola non ha lo stesso sapore e odore della pastasciutta di casa, magari fatta dalla nonna o dalla mamma).
Prima di pormi il problema del pranzo e di quanto mangi il bambino (aspetti peraltro di grande importanza) mi porrei alcune domande.
1. Forse a casa è imboccato o aiutato?
2. L’inserimento è avvenuto in modo graduale, nel rispetto dei tempi del bambino o è stato forzato?
3.Il bambino è inserito nella vita della scuola? Gioca con gli altri, va volentieri a scuola, si è fatto degli amichetti?
Se la risposta è positiva, non mi preoccuperei più di tanto. Si tratta di aspettare con fiducia i tempi di adattamento al nuovo ambiente, vedere gli amichetti che mangiano, porta di solito i bambini a mangiare spontaneamente .
4. Qual è il rapporto tra famiglia e insegnante? Lei mi dice che la maestra “non è in grado”. Esiste un rapporto di fiducia reciproca o di diffidenza? I bambini sono molto abili a percepire le relazioni sotterranee che passano tra genitori e insegnanti, e se la famiglia mostra qualche diffidenza, il suo atteggiamento sarà a sua volta oppositivo.
Le consiglierei quindi innanzitutto di cercare di stabilire un rapporto di fiducia e richiesta di collaborazione con le insegnanti, chiedendo con empatia di aiutarvi in questo impegno e poi le consiglierei di aspettare i tempi del bambino, senza forzature, aiutando il bambino nel processo di acquisizione di autonomia e di graduale distacco dalle consuetudini familiari.
Diana Penso
Grazie.