
Diana Penso
La nostra civiltà, e di conseguenza il nostro insegnamento, hanno privilegiato la separazione a scapito dell’interconnessione, l’analisi a scapito della sintesi…
Per pensare localmente si deve pensare globalmente, come per pensare globalmente si deve pensare localmente
(E. Morin, la testa ben fatta).
Già negli Orientamenti del ’69, successivi alla Legge 444 istitutiva della scuola materna statale, veniva ribadito che nella scuola dell’infanzia non si poteva parlare di programma.
“Nella scuola materna non è possibile nè si deve mirare a svolgere un sistematico «programma» differenziato per temi culturali, o per valori sociali, etici, religiosi, giacché non lo consentono ancora nè le esperienze, nè le strutture mentali, nè gli interessi del bambino, nè i livelli della sua maturazione psichica.”
Per sostenere lo sviluppo del bambino dunque occorreva svolgere una serie di attività, spesso eredità della scuole tradizionali agazziane. Queste attività, rivolte allo sviluppo delle diverse educazioni, venivano poi proposte di volta in volta attraverso la presentazione di piccole lezioni frontali, o attraverso la costruzione di manufatti, denominati ‘lavoretti’, costruiti attraverso materiali di recupero (mollette, rotoli di carta..)
“L’attività educativa della scuola materna si configura cioè in forme che non possono essere distinte e distribuite in settori rigidi e indipendenti e in appositi orari. Naturalmente, questo non comporta che non debbano essere sviluppati tutti gli aspetti della personalità infantile; l’educatrice approfondisca e svolga consapevolmente quanto affiora dalla molteplicità delle esperienze quotidiane e dagli atteggiamenti spontanei o indotti del bambino;a tal fine gioveranno procedimenti didattici che rispettino l’unità integrale dello sviluppo infantile.”
E quindi l’organizzazione didattica veniva così impostata
– Educazione religiosa;- Educazione affettiva, morale e sociale;- Gioco ed attività costruttive e di vita pratica;- Educazione intellettuale;- Educazione linguistica;- Libera espressione grafico pittorica e plastica;- Educazione musicale;- Educazione fisica;- Educazione sanitaria. (Orientamenti per le attività della scuola materna, 1969)
A sostituire l’espressione attività, per la prima volta negli Orientamenti del’91, venne introdotto il concetto di campo di esperienza, termine tuttora adottato nelle Indicazioni per il curricolo del 2012, che rappresentava allora un’assoluta novità.
Quale innovazione conteneva il concetto di campo di esperienza?
In questo termine sono presenti due aspetti: l’idea di campo e quello di esperienza.
La teoria del campo (Field Theory) elaborata dallo psicologo K. Lewin sostiene che l’individuo non può essere studiato isolatamente, ma soltanto in una dinamica che egli definisce di campo.
Per campo Lewin intende un luogo fisico o metaforico in cui compare l’oggetto di indagine e con il quale l’ambiente globale, in cui l’oggetto si presenta, costituisce una totalità di fenomeni coesistenti che interagiscono.[1]
La Field Theory sostiene che “ogni essere umano vive in un campo in cui tutti gli elementi che entrano ed escono, nonché tutti gli eventi che vi accadono sono strutturalmente interagenti e ne sono a loro volta influenzati”.
In campo psicologico questa teoria si traduce nel fatto che nel momento in cui interviene qualcosa, si modifica anche il tutto: ogni individuo interagisce con il gruppo, lo influenza e contemporaneamente ne è influenzato.
Il campo viene poi definito di esperienza in quanto l’ esperienza è il fondamento della conoscenza stessa. Certamente il primo apprendimento passa attraverso i sensi e il movimento e dunque attraverso il fare e l’attività. “Sin da piccoli abbiamo conosciuto il mondo toccandolo, prendendolo e portandolo alla bocca. Semplicemente gattonando abbiamo scoperto, conosciuto e differenziato le superfici e gli oggetti di casa. Abbiamo compreso la differenza fra la morbidezza di un tappeto, il freddo delle piastrelle, la ruvidità del muro e il calore del pupazzo di peluche. Per i bambini toccare è conoscere” (Galimberti, 1999).
Già Dewey aveva sostenuto, nel primo articolo del Mio credo pedagogico l’importanza di partire dalle esperienze e dalle attività sociali del bambino per impostare la metodologia su una stretta connessione fra il fare e il pensare, tra la vita e la scuola (Dewey, 1982).
A partire da Dewey, passando attraverso le realizzazioni delle scuole attive, si sviluppa una “teoria generale dell’esperienza” che si arricchisce poi degli apporti del cognitivismo del Piaget (l’esperienza stimola il pensiero ad assimilare nuovi dati trasformando gli schemi mentali già posseduti) dello strutturalismo del Bruner (l’azione diretta con le cose costituisce il punto di partenza per forme di rappresentazione più simboliche).
L’esperienza reale, gli elementi di difficoltà presenti nelle situazioni problematiche della vita costituiscono “lo stato iniziale di quell’esperienza che si chiama pensiero”.
L’apprendimento dell’esperienza è significativo non solo perchè comporta la soluzione di un problema, ma anche perché permette di imparare quali sono state le modalità che si sono utilizzate per risolverlo. Il bambino, mentre realizza un comportamento esplorativo (per esempio nel gioco) arriva a scoprire da solo funzioni, significati e relazioni delle situazioni e a far proprie procedure conoscitive che poi vengono riapplicate quasi spontaneamente in altre situazioni che possiedano qualche carattere simile.
Gli Orientamenti del ’91 affermano dunque che i campi di esperienza costituiscono “i diversi ambiti del fare e dell’agire del bambino” e quindi essi sono “i settori specifici ed individuabili di competenza nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività, sviluppa il suo apprendimento, acquisendo anche le strumentazioni linguistiche e procedurali, e persegue i suoi traguardi formativi, nel concreto di una esperienza che si svolge entro i confini definiti e con il costante suo attivo coinvolgimento”.
Il documento individua poi sei campi educativi di esperienza, in tal modo gli insegnanti, hanno a disposizione sei ambiti strutturali entro cui progettare il proprio lavoro didattico.
Successivamente portati a 4 nelle Indicazioni della Moratti, i campi di esperienza sono tornati ad essere 5 nelle Indicazioni per il curricolo del 2007 del Ministro Fioroni e c’è una nuova disposizione di essi nel testo, che lascia intravedere un nuovo modo di guardare al bambino e all’apprendimento o perlomeno a sottolinearne alcuni aspetti. Negli Orientamenti del 1991 il primo campo era il corpo e il movimento, nel documento del 2007 il primo posto è assegnato al sé e l’altro, ad affermare la centralità delle emozioni, dell’affettività e della socializzazione nel percorso di apprendimento.
Infine le Indicazioni più recenti del 2012 del Ministro Profumo confermano l’accezione del termine campo di esperienza e li descrivono come “ un insieme di oggetti, situazioni, immagini e linguaggi, riferiti ai sistemi simbolici della nostra cultura, capaci di evocare, stimolare, accompagnare apprendimenti progressivamente più sicuri”.
Specificano, attraverso un linguaggio più chiaro e accessibile che il campo di esperienza tiene conto del vissuto del bambino, della sua esperienza concreta, del suo modo di accostarsi alle situazioni, di assegnare loro significato, ma al tempo stesso è anche il contesto entro cui le esperienze si svolgono: un concetto dinamico in cui le parti coinvolte (bambino, docente e contesto) si trasformano reciprocamente, si arricchiscono, si evolvono.
I 5 campi di esperienza attualmente sono così suddivisi:
- Il sé e l’altro
- Il corpo e il movimento
- I discorsi e le parole
- Immagini, suoni, colori
- La conoscenza del mondo
1. Il sé e l’altro è il campo in cui confluiscono tutte le esperienze ed attività esplicitamente finalizzate, che stimolano il bambino a comprendere la necessità di darsi e di riferirsi a norme di comportamento e di relazione indispensabili per una convivenza unanimemente valida.
2. Il corpo e il movimento è il campo di esperienza della corporeità e della motricità, teso a promuovere la presa di coscienza del valore del corpo, “inteso come una delle espressioni della personalità e come condizione funzionale, relazionale, cognitiva, comunicativa e pratica”.
3.Immagini, suoni, colori è il campo di esperienza che considera tutte le attività inerenti alla comunicazione ed espressione manipolativo- visiva, sonoro-musicale, drammatico – teatrale, audio visuale e massmediale, con il loro continuo intreccio.
4.I discorsi e le parole è lo specifico campo delle capacità comunicative riferite al linguaggio orale strumento essenziale per comunicare e conoscere, per rendere via via più complesso e meglio definito il proprio pensiero, anche grazie al confronto con gli altri e con l’esperienza concreta e l’osservazione..
5. La conoscenza del mondo infine è il campo di esperienza relativo all’esplorazione, scoperta e prima sistematizzazione delle conoscenze sul mondo della realtà naturale e artificiale, cioè il campo della conoscenza scientifica e della matematica in ordine “alle capacità di raggruppamento, ordinamento, quantificazione e misurazione dei fenomeni e dei fatti della realtà” (Miur, 2012).
La costruzione dell’apprendimento
Perché è preferibile utilizzare il termine campo di esperienza a quello tradizionale di attività?
Il concetto attività rimanda alla dimensione del “fare”, ma manca in questa espressione l’idea del pensiero, della riflessione, della comunicazione e del contesto, dimensioni necessarie perché ci sia apprendimento.
”L’apprendimento – affermano le Indicazioni– avviene attraverso l’azione, l’esplorazione, il contatto con la natura, gli oggetti, l’arte, il territorio, in una dimensione prevalentemente ludica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza...”
Ma l’attività, il fare da solo non basta: per comprendere e conoscere la realtà occorre poterla comunicare, condividere, riorganizzarla, rappresentarla, assegnarle significato all’interno della propria storia… le attività stesse si svolgono in un contesto, in ambiti che prevedono l’organizzazione di spazi, di tempi e che coinvolgono il bambino. Alcune attività ad esempio possono essere svolte solo se sono presenti spazi adeguati, materiali che stimolino la ricerca, strategie di accompagnamento adeguate da parte di educatori e insegnanti..Ad esempio per consentire la libera esplorazione, occorre predisporre spazi idonei quali angoli, laboratori…
Le Indicazioni precisano molto bene come avviene l’apprendimento a questa età.
“Fin dalla scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno e non ad una sequenza lineare, e necessariamente incompleta, di contenuti disciplinari. I docenti, in stretta collaborazione, promuovono attività significative nelle quali gli strumenti e i metodi caratteristici delle discipline si confrontano e si intrecciano tra loro, evitando trattazioni di argomenti distanti dall’esperienza e frammentati in nozioni da memorizzare.”
Acquisire competenze significa giocare, muoversi, manipolare, curiosare, domandare, imparare a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione, l’osservazione e il confronto tra proprietà, quantità, caratteristiche, fatti; significa ascoltare, e comprendere, narrazioni e discorsi, raccontare e rievocare azioni ed esperienze e tradurle in tracce personali e condivise; essere in grado di descrivere, rappresentare e immaginare, “ripetere”, con simulazioni e giochi di ruolo, situazioni ed eventi con linguaggi diversi .
Emerge dunque dalle nuove Indicazioni un modello di apprendimento che suggerisce l’immagine della mente, attivamente volta all’integrazione delle attività e delle esperienze, cioè all’attribuzione di significati al mondo fisico, culturale e psicologico. Non possiamo non fare riferimento ai padri fondatori della pedagogia, quali Bruner, Vygotsky, Dewey, Freinet fino ad arrivare alle ultime ricerche di Gardner e Morin. L’attività cognitiva è un continuo processo di ri-costruzione delle esperienze e delle conoscenze che avviene in modo circolare e reciproco.
Le conquiste sono spesso incerte, labili e occorrono esperienze significative, stimoli adeguati, ampliamento progressivo del campo di applicazione perché l’esperienza ripetuta produca atti consapevoli e perché si ottenga la stabilità e la trasferibilità dei concetti. Apprendere non vuol dire immagazzinare nozioni e concetti o semplicemente fare ma riflettere sull’esperienza che si va facendo, parlarne, discutere, rivivere l’esperienza avviata, rappresentarla, imparare a ragionarci sopra…
Le teorie socio-costruttiviste oggi ci dicono che la mente è connettiva, non isolazionista, lavora più sulle relazioni che riesce a stabilire piuttosto che su singoli dati o elementi di conoscenza separati.
La conoscenza non si costruisce attraverso la raccolta di nozioni e informazioni, al contrario si realizza attraverso le esperienze del fare e dell’agire, l’incontro con la cultura degli adulti, attraverso continue interazioni tra adulti e bambini e tra bambini e bambini, la comunicazione e la riflessione su ciò che avviene e ciò che si scopre…
E’ evidente che la pratica dell’attività pura e semplice, della lezione, del lavoretto, del fare tutti insieme le stesse cose, di apprendere attraverso schede, libri di testo, deve essere superata.
Occorre individuare percorsi didattici che sollecitino “risposte attive”, pensare a itinerari che nascano dalla ricerca, dall’osservazione e dalla riflessione sulla realtà.
Progettare per attività o per campi di esperienza?
Purtroppo però non sempre l’innovazione introdotta dalla concezione di campo di esperienza è stata compresa: i campi sono stati spesso considerati come una successione di attività, una serie di filoni da sviluppare e dunque ancora una volta come azioni del fare, separati tra loro, trascurando del tutto l’intreccio che il campo di esperienza include.
Secondo questa interpretazione allora, l’organizzazione didattica viene suddivisa attraverso un’ articolazione rigida o “ordinata” e organizzata. Questo modello – mutuato dalla scuola primaria – prevede la suddivisione del curricolo in attività ben definite ( linguistico – espressiva, logico-matematica, psicomotoria, ecc.) e la conseguente suddivisione dei compiti all’interno del gruppo docente.
Un modello così concepito presenta indubbiamente un elevato livello di leggibilità (almeno per gli adulti) e un’organizzazione ben scandita in tappe, procedure, momenti per l’apprendimento; ma rischia di “spezzettare” il curricolo in tanti frammenti difficilmente comprensibili per il bambino, che rischiano di far perdere la significatività e la globalità dell’esperienza.
La proposta fondata sul concetto di campo di esperienza si basa sulla stretta interazione fra i diversi campi che, inseriti in una programmazione didattica puntuale e coerente, concorrono insieme allo sviluppo di una proposta formativa, capace di realizzare le finalità e gli obiettivi, salvaguardando l’unitarietà dell’ esperienza conoscitiva del bambino.
Questa impostazione esclude una articolazione “separata” dei percorsi di sviluppo: la crescita della soggettività del bambino, il suo divenire sociale, l’affinarsi di capacità intellettuali (rappresentazione, pensiero, soluzione di problemi) avviene secondo un processo che non può essere promosso per compartimenti separati, ma attraverso situazioni che lo coinvolgano emotivamente, che sollecitino la sua mente, che lo spingano a immaginare e a riflettere, che lo invitino a socializzare, condividendo con altri, i risultati delle sue elaborazioni.
In tale prospettiva i contenuti dell’apprendimento non si muovono su rigidi binari disciplinari ma, pur nella specificità dei singoli campi, fanno riferimento ad ambiti più ampi (della comunicazione, del corpo, del pensiero logico-matematico, del pensiero scientifico…) si legano l’uno con l’altro in una rete interconnettiva con gli altri campi, di cui occorre tenere conto per non cadere in un prescolasticismo estremamente dannoso.
La scuola dell’infanzia va ripensata in questo senso, come un percorso nel quale a ciascun bambino venga data la possibilità di esprimere la propria soggettività, di interagire e comunicare con altri in maniera produttiva, di sviluppare quelle abilità “sensoriali, percettive, motorie, linguistiche e intellettive” che lo impegnano nelle prime forme “di riorganizzazione dell’esperienza e di esplorazione e ricostruzione della realtà” .
Negli ultimi anni, sono stati sperimentati approcci progettuali integrati, in cui non vi è una distinzione così artificiosa tra i vari campi di esperienza del bambino e dove, anzi, si cerca di non trascurare l’aspetto motivazionale che sta alla base dell’elaborazione e dello sviluppo di un progetto.
Queste progettazioni rappresentano il tentativo di conoscere la realtà utilizzando i linguaggi e le procedure dei vari saperi; può succedere che venga privilegiato, volta per volta, un particolare ambito, ma sempre all’interno di una visione integrata dei saperi, dove il corpo non è separato dalla mente o la relazione dagli aspetti cognitivi.
Dunque una scuola dell’infanzia che si pone come finalità quelle dell’apprendimento e dello sviluppo dei bambini, attraverso una pedagogia che si costruisce nelle relazioni, nella cura e nell’ascolto, non può prevedere poi di ridurre i saperi e le competenze in una successione di obiettivi, da dover successivamente misurare, verificare in modo rigido.
Per crescere occorre incontrare qualcuno con cui confrontarsi, qualcuno che ci ascolti e da ascoltare, capace di essere al contempo limite e risorsa, lavorando insieme attorno ad oggetti, a saperi, attraverso attività di gioco, operative espressive. E’ soprattutto attraverso l’interazione con gli altri, l’insegnante, i pari, attraverso il raccontare e il mostrare che i bambini scoprono cos’è e come si rappresenta il mondo… (Morin, 2000).
Le attività e le esperienze svolte nella scuola dell’infanzia vanno raccontate attraverso un “pensiero narrativo” che permetta al bambino di mettere in relazione tra loro esperienze, situazioni presenti, passate e future in forma di ‘racconto’, che le rende attuali e oggetto di possibili ipotesi interpretative e ricostruttive (Bruner, 1997).
Gli avvenimenti vissuti, raccontati e partecipati ad altri consentiranno la condivisione di sentimenti, pensieri: i bambini potranno ricostruire attraverso il proprio racconto e quello degli altri il senso delle esperienze e delle attività che si realizzano.
Percorsi di conoscenza
Fraintesi come discipline e attività separate tra loro, utilizzati come saperi codificati, i campi di esperienza in realtà sono attività svolte dal bambino nella sua interazione con l’ambiente; percorsi di esperienza individuale e collettiva; strumenti di riflessione e di dialogo; punto di partenza per costruire “cultura”; occasioni per discriminare, progettare, classificare, ecc. , operazioni mentali che servono a introdurre il bambino in una dimensione anche simbolica e cioè all’accostamento al mondo della cultura degli adulti.
L’articolazione dei contenuti per “campi di esperienza”, propria degli “Orientamenti” e delle Indicazioni, potrà introdurre i bambini verso il cammino della conoscenza, del piacere di raccontare ed ascoltare, della passione a discutere e sperimentare e verificare.
Un progetto per campi di esperienza va costruito dunque a partire da:
- dall’osservazione di ciascun bambino, sui dati raccolti in continuità con la loro storia culturale, tenendo conto delle loro caratteristiche, dell’ambiente sociale di riferimento, delle risorse disponibili;
- dalle conversazioni e dalle discussioni dei bambini;
- dall’individuazione di contenuti, di tempi, di strumenti di lavoro per offrire a tutti i bambini pari opportunità culturali;
- attraverso la predisposizione di contesti, di situazioni, di sollecitazioni favorevoli all’acquisizione delle competenze richieste;
- la definizione e la scansione dei tempi, la distribuzione dei compiti e dei ruoli, nonché l’ attribuzione di responsabilità;
- l’articolazione del lavoro secondo gruppi di varia composizione;
- la globalità e l’unitarietà dell’esperienza, le interconnessioni con altri campi di esperienza, non separando i saperi e le discipline tra loro;
- l’ esperienza diretta, il gioco, il procedere per tentativi e errori, la discussione, la riflessione, l’apprendimento per scoperta;
- la documentazione intesa come itinerario per ri-esaminare, ri-evocare, ricostruire e socializzare il percorso compiuto, per creare memoria di quanto si va facendo e nello stesso tempo, per sistemare, ordinare, classificare le esperienze fatte durante l’intero anno scolastico e renderle leggibili per tutta la comunità;
- la verifica e valutazione, intesa come riflessione sulla realizzazione del progetto educativo – didattico, strumento per controllare e ridefinire la proposta educativa e le dinamiche relazionali, strumento di crescita qualitativa che condurrà i docenti a ridiscutere, esplicitare e auto valutare, in gruppo, le scelte psicopedagogiche che sottendono il loro operato; a descrivere, valutare i comportamenti dei bambini, nei diversi contesti, a ridefinire l’organizzazione del lavoro e del progetto educativo, per qualificare e individualizzare gli interventi per consentire opportunità di conoscenza e di ragionamento sulla realtà che permetteranno al bambino, di approfondire e sistematizzare gli apprendimenti e di avviare processi di simbolizzazione e formalizzazione (Loschi, 1993).
Bibliografia
Bruner J. (1997). La cultura dell’educazione. Milano: Feltrinelli.
Dewey J. (1982). Il mio credo pedagogico. Firenze: La Nuova Italia.
Galimberti U. (1999). Psicologia. Torino: Garzanti.
Loschi, T. (1993). Programmare per campi d’esperienza. Bologna: Nicola Milano.
Miur (2012). Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo.
Morin, E. (2000). La testa ben fatta. Milano: Raffaello Cortina.
Munari B. , Restelli, B. (2002). Giocare con tatto. Milano: Franco Angeli.
Grazie!
Ottime sintesi e bibliografia
Mi è davvero servita questa lettura.
Grazie Francesca
Grazieeeeee
mi piacerebbe sapere di più sui corsi ,grazie Diana
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